Sergio Rizzo, Corriere della Sera 3/5/2014, 3 maggio 2014
I TRE GUARDIANI DEL BILANCIO E LA RESISTENZA DEI BUROCRATI
Alla fusione fredda ci avevano già pensato qualche anno fa. Era il tempo del traballante governo dell’Unione guidato da Romano Prodi, e forse anche a causa della fragilità della situazione politica il piano non riuscì. Ma determinanti, assicura chi conosce bene la vicenda, furono le resistenze interne di Camera e Senato. Se c’erano voluti anni e sforzi inenarrabili per integrare le biblioteche di Palazzo Madama e Montecitorio, separate soltanto da una porta, figuriamoci la fatica inenarrabile per mettere insieme i due uffici di bilancio. A dispetto di ogni ragionevolezza, l’idea della fusione fu quindi lasciata cadere. Eppure sarebbe bastato un pizzico di buonsenso, se non di lungimiranza (merce piuttosto rara nel Palazzo), per rendersi conto che prima o poi la questione si sarebbe riproposta.
E infatti adesso, com’era ampiamente prevedibile, ci risiamo.
Al termine di un iter a dir poco astruso i presidenti delle Camere Laura Boldrini e Piero Grasso hanno potuto finalmente nominare i tre componenti dell’Ufficio parlamentare di bilancio, una sorta di autorità indipendente che dovrà vigilare sul rispetto dei vincoli di bilancio imposti dal fiscal compact europeo e dalla nostra Costituzione. Di più. Questo organismo, dotato di professionalità adeguate e autorevolezza istituzionale, dovrebbe essere una specie di controllore della compatibilità dei provvedimenti economici del governo con la tenuta dei conti pubblici. Con assoluta indipendenza dai partiti e dal governo. Sul ruolo dell’Ufficio parlamentare di bilancio, affidato al suo presidente Giuseppe Pisauro e ai due componenti Chiara Goretti e Alberto Zanardi, va ricordato che esistono opinioni discordanti. C’è chi, per esempio il Movimento 5 Stelle, lo considera uno spreco: niente altro che un doppione della Corte dei conti. C’è chi invece ne lamenta i rischi di sovrapposizione con la Ragioneria generale dello Stato. Anche se la Corte dei conti è una magistratura e per svolgere funzioni tipiche dell’analisi economica come quelle richieste alla nuova autorità dovrebbe essere decisamente rafforzata in quelle specializzazioni, come del resto aveva ipotizzato lo stesso ex presidente Luigi Giampaolino. Mentre la Ragioneria non può essere certo considerata indipendente dall’esecutivo: è un pezzo del ministero dell’Economia. Il nuovo organismo, simile del resto a quelli che esistono in gran parte dei Paesi occidentali, dovrebbe fare qualcosa di molto diverso dalle «bollinature» dei capitoli di bilancio.
Non che non esistano, però, rischi di curiose e insensate duplicazioni. Il primo problema che Pisauro, Goretti e Zanardi dovranno affrontare è quello dell’organizzazione della struttura. L’operazione più logica sarebbe prendere quella quindicina di capaci funzionari di Camera e Senato che fanno le pulci alle manovre economiche mettendo spesso parlamentari e cittadini nelle condizioni di capirci qualcosa, e farli lavorare insieme, fondendo i due uffici di bilancio attualmente esistenti. Ma qui, oltre alle resistenze già sperimentate, nascono alcuni interrogativi. Il primo e certo più rilevante, di natura economica. Se i due uffici venissero incorporati nella nuova autorità, chi pagherebbe gli stipendi? Continuerebbero a farlo Camera e Senato, o i compensi graverebbero sui conti del costituendo Ufficio parlamentare di bilancio, per cui la legge stanzia in tutto 6 milioni di euro l’anno, e che con quella cifra dovrebbe provvedere a ingaggiare, chissà, anche fior di consulenti e specialisti? E in questo caso, quali dovrebbero essere i contratti di lavoro di riferimento? Forse quelli dei consiglieri parlamentari?
Già così ce n’è abbastanza perché la faccenda rappresenti un bel rebus. Senza considerare le possibili conseguenze del progetto di riforma del Senato, che potrebbe impattare anche sui compiti in materia di conti pubblici della Camera alta.
Le prossime settimane, se non i prossimi mesi, saranno senza impiegati per sciogliere tutti questi nodi. Ma anche fiaccare le opposizioni degli apparati che nel frattempo si dovessero manifestare. La cosa da scongiurare è che di fronte a difficoltà apparentemente insormontabili, per tagliare la testa al toro si decida di lasciare tutto com’è. E invece di avere un solo Ufficio parlamentare di bilancio si finisca per averne addirittura tre. A proposito: ieri quello del Senato ha battuto un colpo, affondando la manovra renziana sull’Irpef.