REPUBBLICA 4-5 MAGGIO 2014, 5 maggio 2014
CRONACHE DI REPUBBLICA DEL 4/5/2014
L’ROMA
ENNESIMA giornata di follia, ormai incredibilmente ordinaria, comincia lontano dallo stadio Olimpico, nel pomeriggio, a una manciata di ore dal fischio d’inizio della finale di Coppa Italia tra Fiorentina e Napoli. E precisamente nei parcheggi di Tor di Quinto dove, secondo i piani predisposti dalla questura, i tifosi del Napoli avrebbero dovuto parcheggiare le loro automobili.
Succede però che una ventina di loro, forse dopo essere venuti a contatto con alcuni poliziotti, abbiano travolto un chioschetto della zona, gestito da un noto ultrà della Roma, Daniele De Santis. A Tor di Quinto De Santis lo conoscono tutti. Ecco, quel gruppo di tifosi napoletani, ieri pomeriggio, ha preso di mira il chiosco sbagliato. Quello che accade dopo è affidato al racconto di alcuni testimoni oculari. De Santis, visibilmente alterato viene visto affrettarsi verso alcuni gruppi di ultrà azzurri: «Abbiamo visto questo ragazzo
enorme, grassissimo e pelato — raccontano — era ubriaco, barcollava, ma urlava come un pazzo “vi ammazzo tutti, vi ammazzo tutti”. La cosa strana è che era solo e, da solo, si stava dirigendo contro una schiera di tifosi del Napoli ». Con sé aveva un piccolo arsenale di bombe carta e fumogeni. Continua il racconto dei testimoni oculari: «Non sappiamo dire quanti colpi abbiamo sentito sparare (sul posto la Digos ha repertato sei bossoli) perché in quel momento tra fumogeni e bombe carta e grida non si
capiva più niente. Né possiamo dire che sia stato lui. Sappiamo solo che dopo pochi minuti l’abbiamo visto tornare di corsa, terrorizzato». Cosa sia successo, chi sia stato a premere il grilletto è ancora da accertare. De Santis, al momento, è il principale indiziato anche se, interrogato dalla polizia, ha negato di essere stato lui a sparare. Nelle prossime ore verrà sottoposto allo stub, l’esame delle tracce di polvere da sparo sulle mani. Non si esclude tuttavia che a sparare possa essere stato qualcun altro. Forse una guardia
giurata, racconta qualcuno.
A terra, non lontano da dove saranno ritrovati i 6 bossoli, vengono soccorsi tre uomini, uno ferito alla mano, uno al braccio, l’altro in fin di vita. Continuano i testimoni: «Dopo un po’ abbiamo visto De Santis che tornava di corsa. Continuava a inveire contro i napoletani, e quelli lo inseguivano urlando, saranno stati una ventina. L’hanno raggiunto, l’hanno sopraffatto e l’hanno riempito di botte. Se ne sono andati quando hanno visto che era a terra e non si muoveva più». A quel
punto, da un edificio lì vicino, una casa di produzione cinematografica, la Ciak, è uscito un uomo che ha provato a soccorrere il ferito, portandolo in salvo all’interno. «Dopo pochi minuti, però, abbiamo sentito un frastuono». Erano altri tifosi del Napoli che tornavano per fare giustizia, stavolta in cinquanta: la loro ira era montata a dismisura di fronte alle prime tragiche notizie sullo stato di salute di Esposito. Hanno spaccato i cancelli e sono entrati. «Hanno cercato di ammazzarlo in tutti i modi, l’hanno preso
a calci, pugni, bastonate. Gli hanno rigirato le caviglie e spaccato le gambe. A un certo punto, uno ha preso in mano un carrellino montacarichi giallo, di quelli che si usano per i colli pesanti durante i traslochi, e l’ha colpito alla testa». Quando nuovamente De Santis non dava più segni di vita il gruppo ha abbandonato il Ciak, non prima di ammonire il proprietario, l’uomo che aveva prestato il primo soccorso: «Se mio fratello muore — ha detto uno degli aggressori, con evidente accento napoletano — Io torno qui e ti ammazzo pure a te».
La polizia è arrivata pochi minuti dopo e ha posto sotto sequestro l’intera area. Dopo una breve perquisizione è stata trovata anche la calibro 7,65, era in un bidone della spazzatura. «L’ho messa lì io — ha spiegato uno dei testimoni — L’ho notata nel cortile e ho pensato che se l’avessero trovata quelli del Napoli ci avrebbero sparato a tutti».
Nel frattempo le ambulanze hanno circondato la zona: Esposito ferito al petto è stato portato via di corsa all’ospedale più vicino, insieme agli altri feriti; De Santis privo di sensi è arrivato in un altro pronto soccorso con fratture ovunque, le gambe spezzate e un trauma cranico.
Inizia un giro di telefonate tra prefettura e questura, e alla fine si decide: la partita si gioca comunque. La tensione come un’onda entra tra gli spalti dell’Olimpico, il fischio d’inizio tarda 45 minuti. Vietato dare informazioni nel corso del match sulle condizioni del ragazzo colpito da un proiettile che è rimasto incastrato nella colonna vertebrale. Il capitano del Napoli Marek Hamsik, arrivato sotto la curva nord per parlare con i tifosi, è finito sotto un fitto lancio di petardi. Uno di questi ha sfiorato un vigile del fuoco, che è caduto a terra stordito ed
è stato portato via dai colleghi per essere medicato. Un commento su tutti alla giornata, quello del presidente del Senato Pietro Grasso: «Spesso il malessere sociale trova queste occasioni per esplodere in una violenza senza senso, che non possiamo accettare. Bisogna reagire, evitare che si ripetano».
Alle 21.45 la finale di Coppa Italia inizia in un clima surreale, con i fischi all’inno di Mameli cantato da Alessandra Amoroso.
LORENZO D’ALBERGO SARA GRATTOGGI
Un derby sospeso, arresti a ripetizione e quell’abbreviazione “Spqr” tatuata sulle dita che ieri sera avrebbero premuto il grilletto di una calibro 7.65 per ben sei volte contro i tifosi del Napoli. Daniele De Santis, «una testa calda, pronta a dare di matto da un momento all’altro» secondo i poliziotti che sono intervenuti ieri sera in viale di Tor di Quinto e lo hanno interrogato per tutta la notte al pronto soccorso del policlinico Gemelli, ha sempre fatto di tutto per non passare inosservato. E anche se ieri ha ripetuto «non sono stato io, un altro ha sparato», al suo nome si ricollegano pagine e pagine di cronaca da stadio. Nel 1996 “Gastone” (così lo chiamano gli amici in curva) viene arrestato insieme ad altri boss della Sud per minacce all’allora presidente della Roma Franco Sensi: in quella retata di 18 anni fa furono arrestati sette leader della curva appartenenti ai “Boys” e al gruppo “Frangia ostile”. Ma il precedente più eclatante è quello del derby Lazio-Roma del 21 marzo 2004. Insieme ad altri sei capi ultrà, De Santis scavalca il recinto di gioco: per lui e per chi lo accompagnava la stracittadina andava sospesa. Secondo i leader delle curve, un bambino era stato investito da un mezzo della polizia: una voce infondata che si trasformò in una vera e propria dimostrazione di forza da parte delle due tifoserie estreme. Per la serie «decidiamo noi se e quando si gioca». Ogni ipotesi di reato, da quella di violenza privata a istigazione a disobbedire le leggi dello Stato, passando per il complotto, è finita però prescritta.
Dalla possibile condanna alla completa riabilitazione: Daniele De Santis, oggi 48enne con agganci nel mondo dell’estrema destra, sembrava essersi rimesso in riga. E da qualche tempo era conosciuto da tutti come il gestore del chiosco con vista sui campi di calcetto del parco di Tor di Quinto. Fino a ieri sera, fino a quei sei colpi di pistola e al viaggio fino al pronto soccorso del Gemelli con una tibia spezzata.
ARTICOLI SUGLI INCIDENTI DI ROMA USCITI SU REPUBBLICA IL 5/5/2014
MASSIMO LUGLI
ROMA .
«Nessuna trattativa con gli ultrà». La partita poteva e doveva essere giocata e il colloquio tra Hamsik, il capitano del Napoli e Genny a’ carogna, boss dei supporter napoletani, è servito per stemperare la tensione e smentire le voci, sempre più allarmanti, su un morto e un bambino coinvolto negli scontri. Il questore Massimo Maria Mazza rimanda al mittente le accuse sulla gestione dell’ordine pubblico in un day after fatto di polemiche. «Quello di Daniele De Santis, l’ultrà romano che ha sparato, è stato il gesto, isolato e imprevedibile, di un folle». Sulla stessa linea il ministro dell’Interno Angelino Alfano. «Nessuna trattativa, non sta ne’ il cielo ne’ in terra» spiega.
Alfano annuncia anche un giro di vite durissimo sulla violenza negli stadi. «Sto pensando a un rafforzamento del Daspo e a un Daspo a vita». Il disegno di legge, promette, arriverà entro 15 giorni, prima della fine del campionato. E intanto la sparatoria di domenica mette a rischio la Supercoppa del 24 agosto. «La Lega all’indomani delle violenze prima di Napoli-Fiorentina aveva ipotizzato l’Olimpico in caso di vittoria del Napoli» spiega Giancarlo Abete, presidente della Figc. «Un evento carico di incroci
pericolosi, avremmo a Roma i tifosi di Napoli e Juve, una situazione su cui riflettere».
Il bilancio finale della sparatoria in via di Tor di Quinto dice che i quattro feriti sono stati tutti arrestati: De Santis, ricoverato per numerose fratture dopo il pestaggio, è accusato di tentato omicidio e porto abusivo di arma clandestina e i tre napoletani (compreso Ciro Esposito, il ferito più grave) dovranno rispondere di rissa. Al pronto soccorso sono stati medicati anche cinque agenti, due carabinieri e due steward. Escluso, nonostante le testimonianze di alcuni tifosi che parlano di una decina di provocatori con spranghe e petardi, che “Gastone” (soprannome di De Santis) avesse dei complici. «Dai video risulta la presenza di due persone che non hanno avuto alcun ruolo, a sparare è stato solo lui» dice il questore.
Le immagini del capo degli ultrà napoletani con la scritta “Speziale Libero”, riferita a uno degli assassini dell’ispettore Filippo Raciti hanno suscitato sdegno e reazioni. «È una vergogna, lo Stato ha perso» accusa Marina Grasso, la vedova di Raciti che ha ricevuto la solidarietà di Angelino Alfano, del capo della polizia Alessandro Pansa, del presidente del senato Pietro Grasso e del presidente del Consiglio Matteo Renzi. «Mi sento meno sola» dice Marina Grasso e questa, forse, è l’unica nota positiva della giornata.
CARMELO LOPAPA
ROMA . Il pugno duro del governo su curve violente e derive criminali del mondo ultrà sarà il contrappasso inevitabile e immediato dopo la vergogna dell’Olimpico. Daspo oltre i cinque anni, divieti preventivi di ingresso allo stadio, perfino un Daspo a vita e poi vigilanza raddoppiata sul tifo organizzato e sulle infiltrazioni criminali.
Il Viminale si è attivato in piena domenica per elaborare un piano da “Inghilterra anni Ottanta”. Il ministro Angelino Alfano ne ha abbozzato le linee guida nei colloqui con alcuni prefetti e dirigenti del dicastero. Tutto dovrà essere pronto per il consiglio dei ministri della prossima settimana, un ddl che non a caso Palazzo Chigi vuole varare prima della fine del campionato del 18 maggio per ottenere l’approvazione in Parlamento in estate. «Sarà fondamentale essere pronti e operativi prima dell’inizio del prossimo campionato, le scene alle quali abbiamo assistito non possono più ripetersi, ormai non si può più distinguere tra quel che accade dentro e fuori lo stadio» ha spiegato ai suoi il ministro. La presenza in tribuna autorità del premier Matteo Renzi (con famiglia) e del presidente del Senato Pietro Grasso hanno certo contribuito a prendere atto di quanto la situazione — perfino in una occasione solenne come la finale di Coppa Italia — sia ormai sfuggita di mano. Il presidente del Consiglio non cede alla tentazione di reagire alle polemiche in cui tenta di trascinarlo Grillo sullo Stato in trattativa con “Genny a’ carogna”. «Stamattina (ieri, ndr ) sono andato a vedere la partita di mio figlio, l’entusiasmo dei ragazzi e dei genitori della Settignanese, quello è il calcio» raccontava in serata ai collaboratori: «Perché non me ne sono andato dallo stadio, sabato sera? Perché io non fuggo, non lo lascio a loro, ai violenti».
La sua risposta alle violenze arriverà,
vuole metterla per iscritto a stretto giro. E allora eccoli quei «provvedimenti più seri contro la violenza mascherata da tifo e le infiltrazioni criminali nelle curve» invocati in queste ore anche dalla seconda carica dello Stato, Grasso. Sarà intanto un disegno di legge e non un decreto per il solo fatto che i campionati sono appunto al traguardo,
quello di serie A praticamente concluso. E difficilmente, si ragiona al Viminale, la Presidenza della Repubblica riconoscerebbe i criteri di necessità e urgenza previsti dalla legge. Il piano è articolato e passa attraverso una riorganizzazione complessiva della disciplina di contrasto alla violenza. La misura più drastica sarà il
Daspo a vita: chi si macchia di reati gravi che abbiano attinenza col mondo del calcio, commessi dentro ma anche fuori dagli stadi, sarà radiato a vita dagli spalti. Addio squadra del cuore, accessibile solo in tv e non ci sarà tesserà del tifoso che tenga. Nella pianificazione del ministero degli Interni è prevista quindi un inasprimento delle
sanzioni individuali, al di là del divieto di ingresso negli stadi, e a questo scopo saranno intensificate le misure di prevenzione affidate alle forze dell’ordine. Tradotto, maggiore libertà di manovra degli inquirenti al fine di evitare che episodi come quello di sabato si verifichino: controlli precedenti alle partite e bonifica del territorio.
È in questa chiave che entrerà in gioco una sorta di “Daspo preventivo”, nel senso che potranno essere bloccati i potenziali teppisti della domenica, impedendo loro di raggiungere l’area dello stadio per un determinato incontro o per un intero periodo. E questo, anche se i soggetti in questione non rientrino ancora nella “lista nera”
delle questure. È la svolta alla quale allude il ministro Alfano quando dice che «dobbiamo dare maggiore efficacia sanzionatoria ed estendere gli effetti temporali del Daspo». Ecco, il Daspo: finora la misura più temuta dagli oltranzisti del tifo violento, ma che ha un limite di tempo, non supera i cinque anni. Dal prossimo campionato, se
la legge sarà approvata nei termini previsti, quei paletti saranno superati. Fino al limite estremo della esclusione appunto «a vita». Sarà l’«ergastolo» del tifoso.
Sul tavolo dei tecnici del Viminale si stanno però studiando anche misure per incidere sui fenomeni di gruppo. Perché il tifo deviato, in Italia come in pochi altri paesi ormai in Europa, conduce dritto ai gruppi ultrà. Il governo non intende criminalizzare l’intero tifo organizzato, ma sarà intensificata la vigilanza, perché quella condotta finora si è dimostrata lacunosa. E anche lì, la tessera del tifoso è stata misura necessaria ma all’evidenza non sufficiente. In particolare, si cercherà il modo per disinnescare quel corto circuito della disperazione sociale che negli ultimi anni ha attirato ai cancelli degli stadi mondi prima distanti per sfogare rabbia e frustrazione dentro o appena fuori. Nel mirino, in particolare, il rischio di infiltrazioni criminali: è ormai noto alle forze di polizia che in molte tifoserie alcuni soggetti, magari con precedenti penali, partecipano solo per organizzare disordini. Sono comunque sempre presenti sugli spalti per marcare il territorio, mantenerne il controllo. Sarà l’ennesima stretta, il governo vuole trasformarla nel colpo di grazia sul tifo violento.
PAOLO BERIZZI
FABIO TONACCI
QUANTI “Genny ‘a carogna” e “Gastone” ci sono nel calcio italiano? Di quante piccole “tigri Arkan” — il nome di battaglia di Zeljko Raznatovic, capo ultrà della Stella Rossa Belgrado e criminale di guerra — sono ostaggio le curve e i club e, a volte, come si è visto nella bolgia dell’Olimpico, lo Stato?
DANAPOLIa Torino, da Roma a Milano e poi Catania, Brescia, Verona. Ogni curva il suo capo. Ogni capo il suo territorio. Ogni territorio le sue regole scritte a suon di botte e minacce. Un uomo solo (o quasi) al comando. Uno che decide, fa e disfa per tutti. Nelle curve metropolitane «tutti» vuol dire anche 10 o 15mila persone. Che ti obbediscono e ti seguono. Pure
all’inferno, se occorre.
‘A CAROGNA E IL CLAN
Gennaro De Tommaso non è un tifoso come gli altri. Non solo per quel nomignolo “a carogna” che da solo vale più di qualsiasi biografia. Ma per la sua famiglia,
la cui storia di criminalità di strada si intreccia con due clan di camorra: i Misso del Rione Sanità e i Giugliano di Forcella. C’è lo zio, Giuseppe de Tommaso, detto “l’assassino”. E c’è il padre di Gennaro, Ciro, detto “Ciccione a Carogna”, condannato per associazione camorristica e per fatti di droga, per i quali si è beccato in primo grado 24 anni. «È stabile fornitore di stupefacenti dei Giugliano», si legge nella sentenza. Genny cresce in quell’ambiente lì. Ha un bar nel cuore di Forcella ed ha scalato i Mastiffs, diventandone il capo. Per chi non conosce i mastini del Napoli, basti sapere che sono considerati i tifosi più violenti, teste calde, dalla coltellata facile.
Si fa conoscere subito, Genny. Si guadagna “sul campo” due Daspo, uno nel 2001, un altro nel 2011, poi revocato. Nel suo passato accuse di rapina e spaccio, ma sulla fedina nessun precedente che lo leghi direttamente alla camorra. «È lui il capo di tutta la curva del Napoli», indicò nel 2008 il pentito Emilio Zapata Misso, disegnando ai magistrati la geografia ultrà del San Paolo, con i nomi degli infiltrati mafiosi in curva.
L’ASSE MILANO-TORINO
Milan, Inter e Juventus rivali giurate? Sul campo,
forse. In curva, un tempo. Poi sono arrivati i nuovi capibastone e con loro l’amore per gli affari, lo spaccio di coca, il business delle trasferte e del merchandising, la politica «nera». Si chiamano Giancarlo Lombardi detto “Sandokan”, Loris Grancini, e Franco Caravita, per tutti ”Franchino”. Dietro di loro pesa da tempo l’ombra della criminalità organizzata. Grancini è a capo dei Viking della Juventus. Campione di poker, è considerato uomo vicino a Cosa nostra e alla cosca calabrese dei Rappocciolo. Gli investigatori della Squadra Mobile milanese lo ritengono «abilissimo a far perdere le proprie tracce soprattutto per il suo inserimento in circuiti criminali di elevato spessore». Grancini e i suoi Viking hanno
sede a Milano, dove, nel 2011, sostiene la candidatura in consiglio comunale del pidiellino Marco Clemente.
Sandokan gira in Ferrari e va poco in curva sud a San Siro. Però la controlla. Il secondo anello milanista è roba sua. Nel 2007 finisce dentro dopo l’agguato a colpi di arma da fuoco ai danni di un ultrà del gruppo Commandos Tigre capeggiato da Ricky Cardona: è l’atto più eclatante di una violenta faida interna alla curva sud. Oggi sono tutti lì e comandano più di prima. Pestaggi. Lotte per il potere. Quella che ha visto protagonisti in questi anni, sponda Inter, il “teppista” Nino Ciccarelli, fondatore dei Viking neroazzurri, e “Franchino” Caravita, storico capo dei Boys. Una scia di precedenti Ciccarelli e Caravita. Violenze. Agguati. Sprangate.
LA PIAZZA DI ROMA
Come “’a carogna”, anche Daniele “Gastone” De Santis, il romanista arrestato sabato, gestisce un bar al circolo sportivo Boreale, ritrovo dei fascisti di tutta la città. Ma non è più lui a comandare dentro l’Olimpico. Al centro della Sud, dagli anni Settanta, nessuno smuove i Fedayn, capeggiati da Fabio Catalano. Alle sue spalle, ogni domenica, una fauna di pregiudicati. C’è poi Nicola Follo, leader dei Padroni di Casa. È un gruppo più piccolo, un centinaio di ragazzi o poco più, tutti estremisti di destra di Casa-Pound. I neri hanno il controllo dello stadio, ormai. Sulla sponda laziale, settore Irriducibili, il gerarca è ancora Fabrizio “Diabolik” Piscitelli: 47 anni, in prigione per traffico di stupefacenti tra l’Italia e la Spagna.
Per trovare i rossi bisogna salire a Livorno, terra delle ex Brigate autonome livornesi, oppure nella piccola Teramo. Qui si scopre la storia di Davide Rosci, 31 anni, comunista, guida del “Teramo Zezza”, ribattezzata la curva più a sinistra d’Italia. È stato condannato a 6 anni di carcere per l’assalto al blindato dei carabinieri del 2011, durante una manifestazione
degli Indignati.
DA VERONA A CATANIA
«Il salto di qualità, che è anche un salto nel buio, alcune curve lo hanno fatto quando si sono consegnate alla criminalità organizzata», spiega Maurizio Marinelli, direttore del Centro studi sicurezza pubblica della Polizia. Mafia e pallone, dunque. C’erano i boss di Brancaccio dietro l’esposizione dello striscione “Uniti contro il 41 bis” durante Palermo-Ascoli nel 2002. Ora in Sicilia il tifo più pericoloso è quello di Catania. La curva è in mano a Michele Spampinato. È lui che, a 31 anni, subisce una “puncicata” durante una trasferta a Roma il 21 gennaio del 2008. Ed è lui, a marzo di quest’anno, a firmare una lettera contro il presidente del Catania Pulvirenti, a nome di tutti i tifosi rossoblù. È daspato, ma lo stesso un capopopolo.
C’è anche chi dalla curva è scappato e oggi fa il latitante in Costa Rica. Come Andrea Fantacci, ras storico delle disciolte Brigate Gialloblù dell’Hellas Verona. Oggi la curva veronese si autogestisce, tifo spontaneo “all’inglese”: basta gruppi e basta capi. Troppo riconoscibili. Troppe grane con la giustizia, quando i magistrati mettono sotto torchio le tifoserie turbolente. È il caso di Bergamo e Brescia. La curva nord atalantina, guidata dal “Bocia” Claudio Galimberti, è stata messa alla sbarra dal pm Carmen Pugliese per anni di violenze, in particolare per l’assalto a colpi di molotov all’ex ministro Maroni reo di aver introdotto l’odiata tessera del tifoso. I cugini bresciani, tra daspo e divisioni interne, non se la passano meglio. «Ma di farci schedare dallo Stato — ripete Diego Piccinelli del gruppo Brescia 1911 — non ci pensiamo nemmeno».
ROBERTO SAVIANO
LE VICENDE accadute allo Stadio Olimpico — dentro e fuori — hanno dell’incredibile, e non semplicemente per il grado di violenza raggiunto. Genny ‘a carogna è diventato il simbolo mediatico di Napoli-Fiorentina per il suo soprannome buffo e feroce, per le foto che lo ritraggono cavalcioni sulle transenne dello stadio, che ricordano le immagini di Ivan Bogdanov, detto “Ivan il Terribile”, l’ultrà serbo che a Marassi il 12 ottobre 2010 guidò gli scontri che portarono all’interruzione di Italia-Serbia. Ma la fama di Genny ‘a carogna dipende da altro: è lui che ha evitato una vera e propria rivolta dopo la sparatoria fuori dall’Olimpico. C’è tutta una parte di società civile e di istituzioni che è stata letteralmente salvata dalle decisioni di Genny ‘a carogna. Perché la diffusione delle notizie avrebbe potuto far insorgere la tifoseria mettendo a ferro e fuoco una Roma impreparata. Il questore di Roma, Massimo Mazza, dice che non c’è stata trattativa.
È OVVIO che formalmente non è stato chiesto a Genny ’a carogna se svolgere o meno la partita ma che semplicemente è stato accordato a Marek Hamsik il permesso di informare la curva del Napoli sulla situazione del tifoso ferito, visto che giravano voci che fosse morto. E dover avvertire un capo ultras del calibro di Genny ‘a carogna non è trattare?
Come se ciò non bastasse, Genny ‘a carogna non sarebbe solo un uomo che ha precedenti per droga e un Daspo, ma è segnalato più volte dai pentiti come una sorta di anello di congiunzione tra camorra e tifoseria. Emiliano Zapata Misso, che è nipote di Giuseppe Misso, capo storico della camorra napoletana, parla di una tifoseria eterodiretta dai clan e fa riferimento proprio a Genny, che è figlio di Ciro De Tommaso, ritenuto affiliato al clan Misso. E in passato Genny aveva fatto parte dei Mastifss, i mastini, storico gruppo napoletano. D’improvviso ora ci si accorge che nelle tifoserie organizzate la camorra ha un ruolo importante. Eppure basta leggere le inchieste degli ultimi anni, le dichiarazioni dei pentiti. Testimonianze che parlano di un altro gruppo ultrà chiamato Rione Sanità, comandato da Gianluca De Marino, non un tifoso qualsiasi, ma il fratello di un membro dell’ala militare del clan Misso. E potremmo raccontare ancora dei rapporti tra il gruppo Masseria Cardone e il clan Licciardi, o dell’infiltrazione dei Mazzarella nei Fedayn o nelle Teste matte.
Secondo le forze dell’ordine, a sparare a Ciro Esposito, il trentenne di Scampia ora in pericolo di vita, sarebbe stato un ultrà della Roma, Daniele De Santis, detto Gastone. Le tifoserie romane e laziali non sono libere da pressioni criminali, tutt’altro. Non esiste curva che non raccolga
un tifo organizzato in continua dialettica con la criminalità. Ricordate la scena del nipote di Giuseppe Morabito “U Tiradrittu”, Giuseppe Sculli, durante la partita Genoa-Siena del 22 aprile 2012? Quando gli ultras del Genoa, per protesta, chiesero ai giocatori di levarsi le magliette, fu Sculli in persona ad andare a mediare con loro. Giuseppe Sculli viene spesso considerato vittima del nonno, capo ‘ndranghetista indiscusso, ma in realtà non ha mai preso le distanza dalle ‘ndrine di San Luca, anzi, ha ribadito in diverse occasioni la fedeltà a suo nonno e al suo sangue.
Due anni prima fece discutere la fotografia che ritraeva Antonio Lo Russo, figlio di Salvatore, capo dell’omonimo clan camorristico, a bordo campo al San Paolo di Napoli nel corso della partita Napoli-Fiorentina del 13 marzo 2010. Lo Russo è appena stato arrestato a Nizza, era latitante e ora attende l’estradizione. Quindi non stupiamoci se si è scelto di andare a parlare (o a trattare, la sostanza cambia poco) con chi ha più potere delle istituzioni in quel contesto, perché ha una struttura organizzata. Lo Stato c’era, ma era nascosto dietro le spalle di Hamsik. Il calcio è intoccabile, ogni critica genera tifo, non analisi. Qualsiasi riferimento sembra essere contro una squadra o a favore di un’altra. Ma gli ultras sono molto più che persone talvolta violente: hanno un ruolo di consenso e di business. Una parte della tifoseria organizzata fa sacrifici e si svena per seguire i propri idoli, ma i vertici cosa fanno? Chi vende hashish, erba e coca? Ogni domenica gli stadi diventano mercati di droga, teatri di guerra non controllati in cui gli ultras portano bombe carta e bengala. Eppure questo non si può dire, per la solita, ingenua storia che continuiamo a raccontarci sul calcio che unisce. Al calcio tutto
è concesso e tutto è permesso e in un Paese dove la corruzione ha travolto tutto. L’inchiesta partita da Napoli di Giuseppe Narducci e Filippo Beatrice cercò proprio di individuare i punti di contatto tra calcio corrotto e potere dei clan. Poi tutto si fermò.
Ora, gli ultras dello sport sono i primi ad agire: ma cosa succederà quando gli ultras della rabbia politica si riverseranno nelle strade? Ci si rivolgerà al Genny ‘a carogna della situazione per non far accadere il peggio? Il presidente del Senato Pietro Grasso che consegnava le medaglie ha suggellato il senso della serata. Una sparatoria, feriti, bombe carta su calciatori e forze dell’ordine. E le istituzioni consegnano medaglie. Sapete come si chiama, ad esempio, il presidente della Figc, quell’organo che un ruolo nella riforma del calcio pure avrebbe dovuto averlo? Forse non ne conoscete il nome, ma il volto sì, poiché predilige essere intervistato al termine delle partite della nazionale: nei momenti fatui. Giancarlo Abete, nominato presidente della Figc il 2 aprile 2007, due mesi dopo la morte di Filippo Raciti a Catania. Da allora sono passati sette anni, un’eternità. Nulla è cambiato e ciò che è accaduto descrive lo stato comatoso dello sport più importante in Italia. Perché c’è bisogno di un presidente della Figc se il risultato è questo? Perché, come sempre in Italia, i vertici non hanno alcuna responsabilità dei fallimenti? Chiedetevi chi è Giancarlo Abete e quali sono stati i risultati del suo lavoro. Altrimenti De Andrè avrà per sempre ragione e continueremo ad assisteremo inermi all’ennesima occasione in cui lo “Stato si costerna, si indigna e si impegna, poi getta la spugna con gran dignità”.