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 2014  maggio 03 Sabato calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - QUELLI DI KIEV ALL’ATTACCO DEI FILORUSSI


LASTAMPA.IT
L’Ucraina sprofonda nel caos. L’unica buona notizia dal fronte è la liberazione degli osservatori Osce. Ma il bollettino di guerra parla di decine di morti in poche ore e scontri a fuoco nelle città. E mentre Kiev rilancia spiegando che l’offensiva contro i filo-russi andrà avanti, Mosca lancia la sfida chiedendo di rinviare le previste elezioni in Ucraina.



L’AVANZATA

Le notizie si rincorrono confuse con il rischio autopropaganda. Il sindaco di Slaviansk - roccaforte della protesta filorussa - ha affermato che in nottata sono morti oltre dieci civili del vicino villaggio di Andreievka che tentavano di bloccare un corteo di auto degli ultra nazionalisti di Pravi Sektor.



IL FRONTE

Il governo di Kiev ha reso noto che le operazioni militari contro i separatisti filo-russi nell’est del Paese continuano e, dall’alba, le truppe sono in azione anche nei pressi di Kramatorsk. Il ministro dell’Interno, Arsen Avakov, ha precisato che l’esercito ha preso il controllo di una torre della televisione della città, che si trova non lontano da Slaviansk, centro dove venerdì è cominciata l’operazione di Kiev per “domare” i ribelli. «La fase attiva delle operazioni è continuata all’alba», ha scritto il ministro sulla sua pagina Facebook, «non ci fermeremo». Proprio a Sloviansk sono state liberati gli osservatori dell’Osce che erano tenuti in ostaggio da alcuni giorni.



LA SVOLTA SUGLI OSSERVATORI

Gli osservatori militari dell’Osce in ostaggio a Slaviansk sono stati liberati. Lo ha reso noto Vladimir Lukin, inviato del Cremlino nel sud-est ucraino, citato dalla tv Russia Today. «Tutte le 12 persone che ho nella lista sono libere», ha riferito Lukin, citato dall’agenzia Ria Novosti. Il 25 aprile i filorussi avevano preso in ostaggio 12 persone, di cui 8 osservatori militari dell’Osce e quattro militari ucraini che li accompagnavano. Uno degli osservatori, quello svedese, era già stato rilasciato per motivi di salute.



LA STRAGE DI ODESSA

La situazione in Ucraina è precipitata ieri, quando il governo di Kiev ha lanciato un’offensiva a Est. Il bilancio degli scontri è di quasi sessanta morti in 24 ore, incluse le 42 persone che hanno perso la vita in un incendio a Odessa, dove la polizia ha poi arrestato 130 persone. Una strage, quella della città sul Mar Nero, che ha scatenato l’ira di Mosca, che «indignata» per «i crimini commessi», ha chiesto «a Kiev e ai suoi sostenitori occidentali» di «assumersi le loro responsabilità». Le autorità cittadine hanno dichiarato tre giorni di lutto cittadino e il capo regionale della polizia di Odessa, Petro Lutsiuk, è stato licenziato. Il blitz dell’esercito ucraino rischia di essere il colpo di grazia agli accordi di Ginevra, secondo Mosca, che ha chiesto un intervento dell’Osce e una riunione urgente del Consiglio di sicurezza dell’Onu contro quella che considera una «operazione punitiva» e «criminale», rilanciando anche l’ultimatum sul gas a Kiev per la fine di maggio.



IL PRESSING DELL’OCCIDENTE SU PUTIN

Per il Cremlino è «assurdo» parlare di elezioni in Ucraina dopo la tragedia di Odessa e l’escalation nel sud-est. «Dopo quello che è successo, sullo sfondo dell’aperta spirale di conflitto nel sud-est del Paese, non capiamo di che elezioni stanno parlando Kiev, le capitali europee e Washington», ha detto Peskov, portavoce di Putin. Mosca ha anche ammesso di aver perso la sua influenza sulle forze di autodifesa del sud-est ucraino. Dagli Usa, intanto, Obama e Merkel hanno ammonito che l’Occidente è pronto a far scattare contro la Russia la fase 3 delle sanzioni, quelle settoriali, in particolare se saranno ostacolate le prossime presidenziali del 25 maggio. Entrambi hanno chiesto inoltre a Mosca di attivarsi per la liberazione immediata degli osservatori militari dell’Osce in mano ai ribelli filorussi di Sloviansk, ma uno dei loro leader, Denis Pushilin, autoproclamato presidente della Repubblica popolare di Donetsk, ha annunciato che il blitz di Kiev ritarderà il loro possibile rilascio.

REPUBBLICA.IT
KIEV - Sono stati rilasciati, senza condizioni, i sette osservatori Osce tenuti in ostaggio in Ucraina, ma non si placa la tensione nel Paese: Viaceslav Ponomariov, autoproclamato sindaco di Slaviansk, aveva annunciato la sua intenzione di rilasciare gli osservatori militari. La notizia è stata confermata da Vladimir Lukin, inviato del Cremlino nel sud-est ucraino, citato dalla tv Russia Today: "Tutte le 12 persone che figuravano nel mio elenco sono state liberate", ha affermato. I membri del gruppo dell’Osce hanno retto bene, ha detto ad Associated Press uno degli osservatori rilasciati, il colonnello tedesco Axel Schneider. "Hanno avuto un atteggiamento positivo e questo ha dato loro la forza di affrontare la situazione".

Nel frattempo il governo di Kiev ha reso noto che le operazioni militari contro i separatisti filorussi nell’est del Paese continuano e, dall’alba, le truppe sono in azione nei pressi di Kramatorsk: "La battaglia è in corso", ha scritto su Facebook il ministro dell’Interno ucraino, Arsen Avakov.

Avakov ha precisato che l’esercito ha preso il controllo di una torre della televisione della città, che si trova non lontano da Slaviansk, dove venerdì è cominciata l’operazione di Kiev per ’domare’ i ribelli: "La fase attiva delle operazioni è continuata all’alba", ha scritto il ministro sulla sua pagina Facebook, "non ci fermeremo".

Il sindaco Ponomariov ha affermato che in nottata sono morti oltre 10 civili del vicino villaggio di Andreievka nel tentativo di bloccare un corteo di auto degli ultra nazionalisti di Pravi Sektor. Ci sono anche 40 feriti, ha aggiunto. Le forze di Kiev, invece, hanno registrato 5 morti e 12 feriti nell’operazione: lo ha reso noto in un briefing nella capitale il capo del centro anti terrorismo ucraino, Vasili Krutov, che ha anche detto che Kiev ha il "pieno controllo" dell’area esterna a Sloviansk, di tutte le strade importanti di accesso e dei 14 checkpoint precedentemente in mano ai filorussi.

Rogo di Odessa: 42 morti, ma bilancio potrebbe aggravarsi. Sono, intanto, 42 i cadaveri recuperati finora nella ’Casa dei Sindacati’ della città di Odessa, nel sud dell’Ucraina. Ma il bilancio dei morti del rogo scoppiato la scorsa notte nell’edificio potrebbe essere più grave. La polizia ha arrestato più di 130 persone dopo gli scontri scoppiati tra lealisti e filorussi, a cui si sono uniti anche decine di tifosi di calcio, che ieri hanno rapidamente trasformato la città portuale in un campo di battaglia. L’incendio sarebbe stato causato da bombe molotov lanciate contro il secondo e terzo piano dell’immobile. La maggior parte delle vittime è morta soffocata, ma molti - secondo il ministero dell’Interno- si sono gettati dalle finestre per fuggire le fiamme. Gli arrestati rischiano accuse che vanno dalla partecipazione a disordini all’omicidio premeditato.

Rimosso il capo della polizia. Il capo della polizia di Odessa, Petr Lutsyuk, è stato rimosso dall’incarico per decisione del ministro dell’Interno dell’Ucraina, Avakov. Stamattina Lutsyuk aveva invitato i cittadini alla calma dopo le violenze di ieri.

Due giorni di lutto. Dichiarati, ad Odessa, due giorni di lutto. Intanto, oggi ad Odessa è arrivata Yulia Tymoshenko, l’ex premier scarcerata dopo la ’rivoluzione’ a Kiev ed ora candidata per il partito Batkivshchina (Patria) alle prossime presidenziali, per verificare la situazione.

Le accuse di Mosca Il Cremlino, che ha ammesso di aver perso il controllo sui gruppi di ’autodifesa’ operanti nel sud-est del paese e dunque non può risolvere la crisi da solo, accusa le autorità di Kiev di aver partecipato direttamente al ’crimine’ di Odessa e il Il primo vice presidente del Senato russo, Aleksandr Torshin, ha detto di ritenere necessaria una commissione internazionale per indagare sugli scontri e sull’incendio. Secondo Torschin, tale commissione deve comprendere Paesi che non sono coinvolti nel conflitto ucraino. Per il Cremlino, inoltre, è "assurdo" parlare di elezioni dopo l’escalation nel sud-est: "Dopo quello che è successo a Odessa, sullo sfondo dell’aperta spirale di conflitto nel sud-est del Paese, non capiamo di che elezioni stanno parlando Kiev, le capitali europee e Washington", ha detto i portavoce di Putin, Dmitry Peskov.

Kiev replica: "Servizi russi dietro a scontri". Kiev non ci sta e replica alle parole di Mosca, accusando i servizi russi di aver armato i separatisti filorussi che si sono asserragliati nell’ufficio dei Sindacati: "Quello a cui abbiamo assistito ad Odessa è stata una provocazione della Fsb per distrarre l’attenzione dall’operazione anti-terrorismo in corso nell’est dell’Ucraina", ha detto il capo dello staff della presidenza ucraina, Serhiy Pashynsky.

In serata, il ministro degli esteri russo, Serghej Lavrov, in una telefonata con il segretario di Stato Usa, John Kerry, ha detto che "l’operazione punitiva nel sud-est ucraino sta sprofondando il Paese in un conflitto fratricida".

Le reazioni. La tensione in Ucraina preoccupa gli altri Paesi: il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier si è detto "costernato e scioccato" dalle violenze di Odessa: "La tragedia di Odessa ci deve aprire gli occhi - ha aggiunto -, la violenza genera violenza senza ritorno". In Italia è intervenuto anche Silvio Berlusconi, criticando "l’inconcludenza e l’ignavia dell’Europa che si è messa al seguito degli Usa".


REPUBBLICA.IT
KIEV - E’ guerra civile. Kiev ha ripreso oggi quella che definisce un’operazione "anti terrorismo" contro i separatisti filorussi del sud-est. L’attacco è iniziato alle 4.30 locali (3.30 in Italia). Trentotto persone sono morte in un incendio dopo gli scontri a Odessa. Lo riferiscono fonti ufficiali. Ma non solo. Si combatte in tutto l’Est dell’Ucraina. "Molti" militanti filo russi sono stati uccisi e feriti anche a Sloviansk. Gli scontri continuano e secondo quanto detto dal presidente ad interim, Oleksandr Turchynov, nel corso dell’offensiva lanciata da Kiev alla citta dell’Est, almeno due soldati ucraini sono morti, mentre altri sette sono rimasti feriti. Sono stati abbattuti anche due elicotteri Mi-24 e danneggiato un elicottero Mi-8.
Ucraina, Kiev lancia la controffensiva nell’Est. Presidente: "Molti morti e feriti tra filorussi"
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Obama ha invocato la via di un dialogo: "In ucraina vogliamo una soluzione diplomatica". Stati Uniti e Germania "sono uniti contro le azioni illegali della Russia in Ucraina e determinati a coordinare le proprie azioni, comprese le sanzioni contro Mosca", ha detto il presidente americano nel corso della conferenza stampa alla Casa Bianca con la cancelliera tedesca Angela Merkel. "Se le elezioni non avverranno in modo regolare e non ci sarà una stabilizzazione della situazione le nuove sanzioni saranno inevitabili dopo il 25 maggio", ha aggiunto il cancelliere tedesco dal Rose Garden.

Le forze di Kiev hanno lanciato "un’operazione su vasta scala" per riconquistare la città in cui sono tenuti come ostaggi dai ribelli filorussi gli osservatori dell’Osce. Sparatorie ed esplosioni sono state avvertite stamattina nella città ucraina separatista filorussa, dove le campane delle chiese hanno iniziato a suonare a distesa fin dall’alba per avvisare la popolazione del pericolo.

Odessa in fiamme. E’ di almeno 38 morti anche il bilancio delle vittime degli scontri tra separatisti e lealisti a Odessa, città portuale ucraina sul Mar Nero. "Uno di loro è stato colpito da un proiettile", ha riferito una fonte all’agenzia Interfax, "mentre per quel che riguarda gli altri non si conosce la causa della loro morte". La Casa dei Sindacati è stata data alle fiamme. Le persone sono morte nell’inncendio. Gli scontri sono violentissimi.
Ucraina, gli scontri a Sloviansk
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Cremlino accusa Kiev: "Distrugge accordo di Ginevra". Dure accuse arrivano da Mosca all’indirizzo del governo ucraino, dopo l’avvio dell’operazione odierna. Il Cremlino, ha riferito da Vienna il rappresentante russo all’Osce Andrei Kelin, ha chiesto all’Osce di prendere misure per fermare "l’operazione punitiva" delle autorità di Kiev. Ferma la condanna di Putin che, dice il portavoce presidenziale Dmitry Peskov, ha definito l’intervento un "atto criminale". Secondo Mosca, ’indignata’ per quanto sta avvenendo, la decisione del governo ucraino, "sta distruggendo tutte le speranze per l’attuazione degli accordi di Ginevra", ha dichiarato Peskov.
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Riunione Consiglio sicurezza. La Russia ha chiesto una riunione urgente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite per discutere della questione ucraina. E’ stato il 13esimo meeting del Consiglio dedicato alla situazione in Ucraina. Il segretario generale delle Nazioni unite Ban Ki-moon ha espresso "grave preoccupazione" per la situazione e ha fatto appello per una soluzione diplomatica e per il rilascio degli osservatori dell’Osce fermati la scorsa settimana nell’est del Paese. Il sotto segretario generale dell’Onu per gli Affari politici, Jeffrey Feltman, si recherà lunedì a Kiev e Mosca per chiedere "moderazione e un immediato ritorno al dialogo".

Responsabilità Nato. E, in questa situazione, la Nato condividerà la responsabilità con Kiev, se sceglierà la via del confronto con la Russia, ha detto il rappresentante russo all’Alleanza Aleksandr Grushko. "Impegnandosi in una prova di forza nella regione baltica e continuando a sostenere le autoproclamate autorità di Kiev, la Nato condividerà pienamente la responsabilità delle loro azioni criminali’’, ha detto.

Sloviansk sotto assedio. Le forze ucraine hanno circondato la città e preso il controllo di nove checkpoint dei filorussi. Il ministro dell’interno Arsen Avakov ha chiesto agli abitanti di Sloviansk e di Kramatorsk di restare a casa e di chiudere le finestre. Avakov ha denunciato che ’’i terroristi hanno aperto il fuoco con armi pesanti contro le forze speciali ucraine, compresi lanciamissili’’, e ’’sparano nascondendosi dietro ai civili, usando grandi immobili residenziali’’.
Ucraina, Kiev lancia la controffensiva nell’Est. Presidente: "Molti morti e feriti tra filorussi"
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Treni bloccati a Donetsk. Intanto, separatisti filorussi hanno sequestrato un centro di controllo ferroviario vicino a Donetsk, nella parte orientale dell’Ucraina; questo ha fatto fermare tutte le corse dei treni. "È tutto fermo", ha detto il portavoce delle Ferrovie.

Prese in ostaggio troupe SkyNews e CBS. Sarebbero stati presi in ostaggio e poi rilasciati nel sud est dell’Ucraina le troupe dei canali tv SkyNews e CBS. Erin Lyall, producer della CBS ha twittato: "Presi in ostaggio dalle forze di autodifesa (filorussi). Siamo stati rilasciati, incolumi". Poco prima era stato detto che dei giornalisti e cameramen si erano perse le tracce nella regione del Donetsk. A Slaviansk, invece, sono scomparsi il giornalista dell’edizione americana Buzzfeed Mike Giglio e la sua traduttrice Elena Glazunov.

Filorussi lasciano sede della procura a Lugansk. I separatisti filo-russi hanno abbandonato la sede della procura a Lugansk, Ucraina orientale, occupata il 29 aprile scorso. Lo rende noto la procura stessa, riferendo che gli attivisti hanno lasciato l’edificio dopo un negoziato con le autorità.

Maxi rissa a Odessa, un morto. Tensione anche a Odessa, dove è scoppiata una maxi rissa tra filorussi e filo Kiev, quest’ultimi sostenuti dagli ultra della locale squadra di calcio. Centinaia di militanti filorussi armati di manganelli hanno attaccato una manifestazione per l’unità nazionale alla quale avevano preso parte oltre 1500 persone. Almeno venti i feriti, secondo il sito ucraino locale www.01.ua. ci sarebbe anche un morto, ma i tweet dei partecipanti parlano di tre vittime anche se non ci sono conferme ufficiali. La polizia ha tentato inutilmente di interporsi tra i due schieramenti, che si sono affrontati a colpi di bastoni, lanci di pietre e molotov.

Ultimatum di Mosca a Kiev. Mosca ha lanciato un ultimatum a Kiev sul gas: se entro fine maggio non sarà pagata la fattura di giugno, Gazprom "avrà il diritto di ridurre le sue forniture per l’Ucraina o di mantenerle a livello pagato prima del 31 maggio", ha detto il ministro dell’energia russo, Aleksandr Novak.

Per Ue gas garantito fino a fine maggio. Nessun rischio, almeno per ora, di interruzioni nelle forniture di gas, perché sono state garantite fino alla fine di maggio. Lo ha detto il commissario Ue all’energia Guenther Oettinger al termine dell’incontro avuto a Varsavia con i ministri dell’energia di Ucraina e Russia. La riunione non ha portato a risultati concreti, ma neanche a rotture. "Fino a che i negoziati saranno in corso, tutte le parti hanno confermato che i flussi di gas non saranno interrotti’’, si legge in una nota della Commissione europea.

Tensione altissima. Una conferma del clima teso era venuta dalla parata dei lavoratori sulla Piazza Rossa per il Primo maggio voluta dal presidente russo, Vladimir Putin, la prima dall’era sovietica, trasformatasi in una manifestazione di sostegno al Cremlino per l’annessione dell’Ucraina e la protezione della minoranza russofona.

Cinque navi Nato in Lituania. Cinque navi della Nato sono arrivate in Lituania: lo ha reso noto Juozas Olekas, ministro della Difesa dell’ex Repubblica sovietica sul Mar Baltico. Le navi - quattro cacciatorpediniere e una nave appoggio di Norvegia, Olanda, Belgio ed Estonia, arrivate nel porto di Klaipeda - sono un evidente segnale che la Nato cerca di rassicurare la Lituania e le altre repubbliche baltiche, preoccupate dalla crescente tensione in Ucraina.

CORRIERE.IT
L’Ucraina è a un passo dalla guerra civile. E Mosca ammette di non essere in grado di risolvere la situazione da sola. Lo ha detto Dmitri Peskov, portavoce del presidente Vladimir Putin. La Russia, ha spiegato, ha perso la sua influenza sulle forze di autodifesa del sud-est ucraino. Un’ammissione assolutamente inedita per il Cremlino, che indica quanto la situazione stia sfuggendo a ogni controllo. E mentre da Sloviansk arriva la notizia che sono stati liberati gli osservatori Osce presi in ostaggio, il bilancio degli scontri tra filorussi e ucraini è sempre più pesante. Nella notte tra venerdì e sabato sono morti oltre 10 civili di Andreievka, un villaggio vicino Sloviansk, che tentavano di bloccare un corteo di auto degli ultra nazionalisti di Pravi Sektor: ci sarebbero anche 40 feriti, secondo quanto riferito dall’autoproclamato sindaco di Sloviansk, Viaceslav Ponomariov.

Scontri a Odessa

Sono 42 i morti e 125 feriti, tra cui 21 poliziotti, le vittime della guerriglia scoppiata venerdì sera a Odessa. A colpi di bastoni, lanci di pietre e molotov filorussi e filo ucraini si sono scontrati a Odessa, città portuale sul Mar Nero. Centinaia di militanti hanno attaccato una manifestazione per l’unità nazionale alla quale partecipavano circa 1.500 persone. La polizia è intervenuta per separare i due campi, ma il bilancio è tragico. Oltre alle vittime per gli scontri in piazza, almeno trentotto persone sono morte in un incendio nella sede dell’Unione dei sindacati (la Casa dei sindacati) della città. Una trentina di persone sono morte per l’intossicazione da fumo e altre 8 si sono schiantate al suolo dopo che si erano gettate dalle finestre dell’edificio per sfuggire alle fiamme. Nell’edificio si sarebbero rifugiati i filorussi dopo gli scontri in città. Secondo alcune fonti russe, alcuni dei filorussi si sono lanciati dalle finestre per sfuggire alle fiamme: e sopravvissuti alla caduta, sarebbero stati circondati e bastonati dagli estremisti filo-Kiev. Nell’incidente sono rimaste ferite anche una cinquantina di persone, compresi dieci ufficiali di polizia. La polizia ha arrestato più di 130 persone per il rogo, che sarebbe stato causato da bombe molotov lanciate contro il secondo e terzo piano dell’immobile: gli arrestati rischiano accuse che vanno dalla partecipazione ai disordini all’omicidio premeditato. Per il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, le autorità di Kiev «portano la responsabilità di quanto accaduto a Odessa» e ne sono «di fatto complici», come «chi considera legittima la giunta di Kiev». Putin ha inviato le sue condoglianze ai familiari delle vittime e l’Ucraina ha proclamato tre giorni di lutto per le vittime di Odessa.

Kiev: «Non ci fermiamo»

Gli Stati Uniti hanno chiesto a Ucraina e Russia di «ristabilire l’ordine»: «La violenza e il disordine che hanno portato a tanti morti e feriti assurdi sono inaccettabili», ha scritto in un comunicato un portavoce del Dipartimento di stato americano. Ma Kiev non è intenzionata a fermarsi: il ministro dell’Interno Arsen Avakov ha annunciato sabato che la «fase attiva dell’operazione è ripresa all’alba» con attacchi nella zona della cittadina di Kramatorsk, che si trova vicino a Sloviansk, roccaforte dei separatisti.«Non ci fermeremo», ha scritto in un messaggio sul suo profilo Facebook prima di rilanciare l’offensiva . Le forze governative hanno distrutto due posti di blocco nei pressi dell’aeroporto di Kramatorsk e riguadagnato il controllo della torre della televisione. «La battaglia è in corso», ha scritto su Facebook qualche ora dopo Avakov, chiedendo agli abitanti di entrambe le città di «non uscire nelle strade».
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L’offensiva

Quello di Odessa non è l’unico bilancio, tragico e provvisorio, di un venerdì di scontri. Sicuramente ci sono almeno una dozzina di vittime tra i ribelli filo-russi e tra i soldati ucraini a Sloviansk, dove l’esercito di Kiev ha lanciato venerdì mattina «un attacco su larga scala». Un’operazione che l’Ucraina definisce «anti-terroristica». «Punitiva», invece, in grado di «distruggere le ultime speranze per l’attuazione degli accordi di Ginevra», secondo il Cremlino, che ha chiesto una riunione urgente del Consiglio di sicurezza dell’Onu per discutere della «grave escalation di violenze nell’Est dell’Ucraina». Il blitz a Sloviansk è iniziato venerdì alle 4.30 locali (3.30 in Italia). Per l’attacco sono stati utilizzati mezzi blindati ed elicotteri, due dei quali (Mi-24) abbattuti dai separatisti filorussi tramite lanciarazzi portatili, con l’uccisione di un pilota e di un militare. Le autorità ucraine, che hanno indicato l’uso di missili antiaereo come prova della presenza di truppe speciali russe a Sloviansk, hanno detto che la città, che conta 130.000 abitanti, è «strettamente circondata». Nella stessa mattinata di venerdì, nella regione orientale di Donetsk i separatisti filorussi si sono impossessati del centro di controllo per la rete ferroviaria, tagliando l’elettricità e impendendo la circolazione dei treni.

Kiev e Mosca, toni sempre più accesi

«Il ricorso all’esercito contro il proprio popolo è un crimine che porta l’Ucraina alla catastrofe» ha dichiarato il ministero degli Esteri russo in un comunicato, nel quale si dice «indignato per il lancio a Sloviansk di una operazione di rappresaglia con la partecipazione di terroristi di Pravi Sektor». Incalza il primo ministro russo Dmitry Medvedev: le autorità ucraine «smettano di uccidere i propri cittadini, altrimenti il futuro del Paese potrebbe diventare veramente triste». Mentre il presidente ucraino ad interim, Oleksandr Turcinov, chiede a Mosca di «fermare l’isteria e le minacce». Da parte dell’Ue arriva subito l’appello a procedere «al più presto» all’applicazione degli accordi di Ginevra e a fare di tutto per evitare un’escalation della tensione. Intanto, Mosca ha dato un ultimatum sul gas a Kiev, minacciando che se entro fine maggio non sarà pagata la fattura di giugno, Gazprom «avrà il diritto di ridurre le sue forniture per l’Ucraina o di mantenerle a livello pagato prima del 31 maggio».

Sanzioni

Stati Uniti e Germania «sono uniti contro le azioni illegali della Russia in Ucraina e determinati a coordinare le proprie azioni, comprese le sanzioni contro Mosca», ha detto il presidente americano, Barack Obama, nel corso della conferenza stampa alla Casa Bianca con la cancelliera tedesca Angela Merkel. «Il prossimo passo - ha detto - saranno sanzioni mirate a settori precisi dell’economia russa». L’obiettivo delle sanzioni, ha poi precisato, «non è punire Mosca, ma spingere la Russia a scegliere la giusta strada, quella della risoluzione della crisi in Ucraina attraverso la via diplomatica». Obama si è poi detto «sconvolto per il trattamento riservato agli osservatori», in Ucraina e ha detto che le sanzioni già imposte «hanno avuto un significativo impatto finanziario sulla Russia», che sta facendo i conti con «un crescente isolamento». La Merkel ha anche sottolineato che il presidente Putin ha un ruolo decisivo nella soluzione della crisi e che la via diplomatica resta la strada principale da percorrere.

Navi Nato in Lituania

Cinque navi di Paesi Nato sono arrivate intanto nel porto lituano di Klaipeda per «rinforzare la difesa della regione», secondo quanto dichiarato dal ministro delle Difesa lituano Juozas Olekas. Per il ministro si tratta di un chiaro segnale della volontà della Nato di rassicurare la Lituania e gli altri partner dell’Alleanza davanti ai timori suscitati dalla crisi in Ucraina.

RAMPINI SU REPUBBLICA DI STAMATTINA
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
NEW YORK
«CARA Angela siamo d’accordo su tutto ma io continuerò a spiarti». No, Barack Obama questa frase non l’ha detta, nella conferenza stampa con Angela Merkel. Ma per la cancelliera forse è la sintesi di un summit molto delicato. Accordo pieno, o quasi, sull’Ucraina. Annuncio di una terza fase di sanzioni, stavolta allargate ad interi settori dell’economia russa, Se Putin continua nella sua opera di destabilizzazione. Convergenze strategiche anche su una nuova cooperazione Usa-Ue in campo energetico: l’America ha petrolio e gas sovrabbondanti che sono un vantaggio competitivo, lentamente si sta convincendo ad aumentare le licenze per salvare gli europei dal ricatto energetico russo. Dove invece Obama e la Merkel non hanno fatto passi avanti è proprio sullo spionaggio. C’era grande attesa nell’opinione pubblica tedesca, come dimostra la raffica di domande di giornalisti venuti dalla Germania. Si aspettavano un accordo “no-spy”, di non belligeranza reciproca tra i servizi di intelligence. Ma quell’accordo non è arrivato ieri, «rimangono delle differenze da superare», è la secca risposta offerta sia da
Obama che dalla Merkel.
Sull’Ucraina il linguaggio è quello della concordia. I due alleati alzano il tono verso Vladimir Putin. «La crisi ucraina — dice la Merkel — è stata la priorità di questo vertice, e dimostra quanto sia vitale l’Alleanza atlantica. Putin rimette in discussione l’ordine internazionale del dopoguerra, fondato sull’integrità territoriale. Solo lui può impedire che diventino inevitabili le nuove sanzioni». Obama è ancora più preciso nell’evocare una scadenza per il nuovo giro di sanzioni: entro il 25 maggio, data delle elezioni ucraine, o Putin fa cessare le azioni minacciose delle sue milizie paramilitari filo-russe, e consente lo svolgimento ordinato del voto, oppure partiranno misure più pesanti». Obama incoraggia la Merkel a parlare con Putin per convincerlo che non c’è altra strada al di fuori della soluzione diplomatica. La spinge anche a quel «chiarimento all’interno dell’Ue sulle sanzioni», ben consapevole che «alcuni paesi europei più dipendenti dal gas russo ne sarebbero colpiti a loro volta».
Sale intanto la tensione tra Washington e Mosca tanto che ieri il segretario di Stato americano John Kerry ha annullato un colloquio telefonico con il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov.

CRONACA DI IERI DI REPUBBLICA
CLIMA da guerra civile ieri in Ucraina con almeno 38 morti a Odessa sul mar Nero, oltre una decina a Sloviansk e due elicotteri abbattuti nel Sud-Est ucraino russofono. Kiev ha lanciato un’offensiva su larga scala contro i separatisti filorussi di Sloviansk e della vicina Kramatorsk, che hanno risposto abbattendo due elicotteri militari governativi con dei lanciarazzi portatili. Un’operazione «antiterroristica » l’ha definita l’Ucraina, «punitiva» e in grado di «distruggere le ultime speranze per l’attuazione degli accordi di Ginevra» il Cremlino. Di certo «posticipa il rilascio dei membri dell’Osce», ha detto Denis
Pouchiline, il leader dei separatisti della regione di Donetsk. Intanto a Odessa, città portuale sul Mar Nero, non lontano dalla penisola di Crimea annessa da Mosca, quasi quaranta persone sono morte nell’incendio di una sede sindacale provocato dagli inediti scontri tra separatisti filorussi e difensori dell’unità del Paese che fanno temere il propagarsi della ribellione nel Sud del Paese. Sempre ieri c’è stata una fumata nera al vertice trilaterale di Varsavia tra Russia-Ucraina-Ue sulla sicurezza energetica: Mosca ha già dato un ultimatum sul gas a Kiev minacciando che, se entro fine maggio non sarà pagata la fattura di giugno, Gazprom «ridurrà» o «sospenderà» le sue forniture.
SLOVIANSK (UCRAINA)
RUSSI probabilmente. Lo stato maggiore dell’armata ribelle filo Mosca entra nel palazzo del Comune di piazza della Rivoluzione d’Ottobre di Sloviansk trasformato in fortino. Il tempo stringe. L’esercito ucraino è alle porte. La piccola folla, donne, vecchi e bambini per lo più, radunatasi intorno alla statua di Lenin nonostante la pioggia, applaude e scandisce slogan che fanno tremare le vene ai polsi: “Indietro non si torna... Dovrete passare sui nostri corpi...”. Mossa spregiudicata, moralmente discutibile, ma efficace. Quegli innocenti in questa prima alba di guerra, sono il miglior scudo possibile per chi sogna l’indipendenza da Kiev.
Sono le dieci del mattino, il cielo è ancora nero del fumo delle centinaia di copertoni bruciati dai ribelli per accecare gli elicotteri del “nemico”, gli enormi Mi-24 da trasporto truppe. Operazione sul larga scala, dunque, proprio quando sembrava che Kiev avesse abbandonato al proprio destino tutto il Donbass, il ricco bacino carbonifero del Don, dando per irrimediabilmente perse le provincie ribelli di Sloviansk e Lugansk. E invece approfittando della notte e del ponte di maggio, che ha parzialmente svuotato questa cittadina di poco più di centomila abitanti, si è presentato in forze con elicotteri e mezzi corazzati. L’operazione
“Ritorno a casa” — fanno sapere da Kiev — non poteva aspettare più. Bisognava dare un segnale al resto del paese: “L’Ucraina è una e tale resterà”.
Si è sparato per ore, ma il bilancio di morti e feriti è assolutamente provvisorio e da prendere con le molle. “Visto il volume di fuoco — ragiona Vitalj,
miliziano secessionista, uno dei pochi disposto a scambiare ancora qualche parola con i non graditi giornalisti occidentali — ci saranno state sicuramente molte vittime, ma io non so quante siano, quel che è certo è che un paio di quelle bestie volanti le abbiamo buttate giù”.
Non mente Vitalj se anche
dal ministero dell’Interno di Kiev confermano l’abbattimento di due Mi-8 e la morte di due piloti e il ferimento di un terzo. Sul versante dei filo russi è Venceslav Ponomariov, l’autoproclamatosi sindaco di Sloviansk a riferire di cinque vittime nel loro campo, tre miliziani e due civili. Secondo Ponomariov, ieri alle porte di Sloviansk
sarebbero sbarcati anche i miliziani ucraini dell’ultra nazionalista “Settore di Destra”: «Se i soldati ucraini si stanno comportando in maniera leale — informa Ponomariov — quelli del “Settore di Destra” sparano invece sulla popolazione civile che sta collaborando ad erigere barricate per difendere la città». Sloviansk
si sta ormai trasformando in un’unica grande trincea in attesa del peggio. Ecco perché Ponomariov fa appello alla popolazione perché eviti di uscire di casa. Sloviansk è ormai off-limits. Chi tenta di entrarvi lo fa a proprio rischio e pericolo. Ne sanno qualcosa le troupe di molti network televisivi internazionali. Gli
unici ad avere libero accesso i canali televisivi di Putin.
Il governo di Kiev sostiene di aver inflitto dure perdite ai secessionisti — una decina almeno — ma al tempo stesso ammette che l’operazione “Ritorno a casa” procede a rilento. «Non è rapida come speravamo », afferma il presidente ad interim, Oleksandr Turchinov. Secondo Turchinov guardie di frontiera ucraine avrebbero respinto nella notte numerosi tentativi di “sabotatori” russi che cercavano di infiltrarsi lungo il confine. Secondo Turchinov «i ribelli filo-russi si starebbero facendo scudo dei cittadini ». Il presidente ucraino facente funzione ha chiesto infine ai separatisti di deporre le armi e liberare gli ostaggi: «Chiediamo ai terroristi, ai sabotatori e a tutti coloro che si sono levati contro il nostro Paese di rilasciare i prigionieri e sgomberare gli edifici pubblici ». Parole cadute nel vuoto. Le truppe ucraine sui blindati si sarebbero attestate alla periferia di Sloviansk, ma i ribelli controllerebbero ancora gran parte della città. L’esercito di Kiev avrebbe strappato agli insorti nove posti di controllo. Secondo Kiev, il fatto che siano stati abbattuti due elicotteri è la prova tangibile che forze «straniere» stanno partecipando
attivamente alla difesa della città. «Specialisti militari con alta preparazione, e non pacifici cittadini locali che hanno imbracciato le armi come sostengono le autorità russe». Toni forti, dunque, che fanno temere l’avvicinarsi della resa dei conti, considerato che Mosca ha decine di migliaia di uomini ammassati al confine. Per ora Putin sembra intenzionato a usare solo la leva del gas: Gazprom ridurrà la fornitura all’Ucraina a partire dal prossimo mese di giugno se entro la fine di maggio Kiev non comincerà a saldare i propri debiti.
Come in tutte le guerra chi rischia di più sono gli innocenti. Se Kiev accusa i filorussi di farsi scudo di donne e bambini, i ribelli di Sloviansk attraverso l’agenzia amica Interfax ribattono che l’esercito ucraino non consente ad alcuno di uscire da Sloviansk. «Siamo assediati. Nessuno, neppure donne e bambini, è in grado di lasciare la città». «Un crimine — secondo un portavoce delle forze filorusse — visto che tra non molto ci sarà carenza di cibo e
acqua potabile».

BERNARDO VALLI
BERNARDO VALLI
IL NUMERO delle vittime si avvicina a quello di una guerra civile che sta per esplodere. Due consultazioni elettorali stringono i tempi e inaspriscono il confronto. Mi riferisco alle presidenziali del 25 maggio, indette dal governo provvisorio, e all’ancor più imminente referendum locale dell’11 maggio, annunciato dai separatisti della «repubblica popolare di Donetsk». Una ripetizione, piuttosto improbabile, dello scenario che ha condotto alla secessione della Crimea. Questi due appuntamenti, uno nazionale l’altro locale, spingono Kiev a tentare di riprendere al più presto il controllo delle regioni sud orientali. Al tempo stesso stimolano Mosca a incoraggiare i separatisti ad occupare o conservare con la forza il potere in quella parte del Paese confinante con la Russia. I morti di Odessa sono vittime della tensione sempre più forte.
La giornata, conclusasi con le fiamme nel porto dell’Ucraina meridionale, è cominciata all’alba con l’intervento dell’esercito a Slovyansk. Un’operazione militare che ha rivelato la natura dello scontro fino a quel momento. Il governo provvisorio di
Kiev ha parlato di «fase attiva», come se fosse finito il tempo delle esitazioni, e si fosse passati a un’azione armata non più condizionata dal timore di provocare un intervento delle truppe russe (valutate a quarantamila uomini) presenti lungo la frontiera. In realtà l’esercito ha circondato in parte la città, ma non ha osato sfondare le barricate dei separatisti che la controllano. La prudenza dei governativi non ha impedito a Mosca di denunciare subito la violazione degli accordi di Ginevra. Accordi che Vladimir Putin si è ben guardato dal rispettare poiché non ha mai invitato i filo russi a ritirarsi dalle località e dagli uffici pubblici occupati, come previsto dall’impegno sottoscritto dal suo ministro degli Esteri. Le fiamme di Odessa hanno incendiato anche le parole, poiché la polemica si è poi arroventata con le reciproche accuse.
L’operazione militare a Slovyansk (durante la quale, nonostante la cautela, ci sono stati alcuni morti ed elicotteri abbattuti) è stata dettata dall’ansia del governo di Kiev che teme di non avere il controllo del Paese prima delle elezioni presidenziali, quindi di non poterle tenere. I separatisti
vogliono invece impedire un voto che conferirebbe un’indubbia legittimità al potere centrale filo europeo. Al quale sembra garantito un risultato favorevole nel caso di una normale consultazione nazionale. Una legittimità scomoda anche per Vladimir Putin, la cui non nascosta aspirazione è di avere un’Ucraina docile se non proprio sottomessa. Perché sia tale il Cremlino alimenta, finanza e guida le rivolte dei filo russi che creano caos e divisioni. E lascia aperta la minaccia (nonostante le smentite) delle truppe schierate al confine, il cui intervento favorirebbe la secessione o una forte autonomia delle regioni sudorientali, con venti milioni di abitanti e importanti industrie e ricchezze minerarie.
Il credito di 17 miliardi di dollari, appena accordato dal Fondo monetario internazionale, può consentire al governo provvisorio di Kiev di avviare riforme e di affrontare le presidenziali del 25 maggio in un clima meno angosciante di quello fallimentare che si annunciava sul piano finanziario. Ma l’aiuto dell’FMI e la decisione di ripristinare il servizio militare obbligatorio hanno appesantito la reazione di Mosca e dei suoi sostenitori in Ucraina. Sul terreno la tensione è diventata sempre più forte, con l’aiuto di una propaganda che non risparmia i colpi.
Le accuse di fascismo, vedi di nazismo, si sono intensificate. Al punto da denunciare i piccoli gruppi o i partiti estremisti di destra della Majdan (ad esempio il Settore destra o Svoboda, ai quali i sondaggi concedono a ciascuno non più del 2- 3 per cento dei consensi) come discendenti degli sconfitti della Grande guerra patriottica vinta dalla Russia sovietica nel ’45. Quegli estremisti, stando sempre alla propaganda russa ma anche all’opinione radicata tra i separatisti, tenterebbero adesso di avere una rivincita, nel ricordo di padri e nonni, e sarebbero i veri istigatori della politica di Kiev.
Durante una lunga conversazione nel suo ufficio a Kiev, Arsen Avakov, il ministro degli Interni, mi assicurava un mese fa che soltanto seicento militanti di gruppi armati della Majdan non erano ancora stati incorporati nelle forze dell’ordine. Gli altri avevano accettato di servire lo Stato demo-
cratico. Se il ministro era allora sincero, nel frattempo il numero degli irregolari si dovrebbe essere assottigliato. I mezzi di informazione russi sostengono al contrario che gli estremisti governano a Kiev. In queste ore radio e televisione ascoltate nelle regioni sudorientali non perdono occasione anche per sottolineare la presenza di militari «che parlano in inglese », cioè di americani, nell’esercito ucraino impegnato attorno a Slovyansk.
A differenza di quel che è accaduto in Crimea, i promotori della “repubblica popolare di Donetsk”, non dispongono di seggi elettorali e non hanno i registri degli aventi diritto per organizzare l’annunciato referendum locale dell’11 maggio sull’autonomia o la secessione. Ma nel
frattempo potrebbero creare i seggi e procurarsi i registri per dare alla consultazione una parvenza di legalità. L’idea di referendum potrebbe contagiare altri gruppi separatisti del Donbas, regione in cui si trova Donetsk. Il governo centrale non ha sempre la forza per evitarlo, poiché non ha il completo controllo della polizia nelle zone confinanti con la Russia. Può contare su poco più di un terzo degli effettivi. Il resto è sotto l’influenza dei separatisti o è sensibile agli umori del momento. È opportunista.
Per ora Kiev non è stata capace di mobilitare sul serio la popolazione favorevole all’unità nazionale, intimorita dall’attivismo dei filo russi e dalla presenza dell’esercito di Vladimir Putin al confine. Quella popolazione di frontiera è per la verità una maggioranza non sempre silenziosa. Ad esempio a Kharkiv si è fatta sentire e ha permesso che la metropoli del Sud Est resti sotto il controllo del governo centrale. Ma i morti di Odessa impongono un altro ritmo al confronto. Disegnano un altro scenario.

LA STAMPA DI STAMATTINA
ROBERTO TOSCANO


Putin sulle tracce
di Milosevic

Roberto Toscano

Una guerra in Europa? Fino a pochi giorni fa si trattava di un’ipotesi assurda, impossibile. Il fatto che oggi essa sia solamente improbabile basta a far sì che l’inquietudine si stia diffondendo anche fra chi riteneva, sulla base di considerazioni del tutto razionali, che la contrapposizione fra Mosca e Kiev avrebbe finito per trovare uno sbocco di tipo politico-diplomatico.

E invece nel Donbass, la regione sud-orientale dell’Ucraina, si spara, e non si tratta più soltanto di scontri a fuoco a posti di blocco, ma – viene segnalato l’abbattimento di due elicotteri ucraini nella zona di Slavyansk – di operazioni di natura militare.

Ci sono voluti pochi giorni per vanificare completamente l’accordo di Ginevra, sulla cui base sia Russia che Ucraina si erano impegnate ad astenersi da qualsiasi atto capace di alimentare l’escalation del conflitto.
Il governo di Kiev sta cercando di ristabilire un minimo di controllo contro una situazione sempre più minacciosamente simile, nella sostanza, a quella che ha portato all’annessione alla Russia della Crimea, mentre quello di Mosca nega, anche se con assai scarsa credibilità, ogni coinvolgimento.
Inoltre dalle due parti si sono messe in moto dinamiche di radicalizzazione violenta che fanno dubitare della possibilità di riprendere in mano la situazione anche qualora si potesse raggiungere un’intesa reale sul piano politico e diplomatico. Le reciproche accuse di russi e ucraini sullo scatenarsi di forze organizzate di tipo estremista risultano entrambe fondate, anche se non vi sono dubbi su chi oggi sia all’attacco. Superior stabat lupus, e il lupo ha gli occhi di ghiaccio di Vladimir Putin.
Andrebbe evitato, se vogliamo essere seri, di scomodare il fantasma di Hitler per descrivere l’offensiva geopolitica del presidente russo, ma vi è un parallelo storico che invece sembra possibile evocare con molto maggiore fondamento: quello con Milosevic. Come Milosevic non si rassegnava al disfacimento della Jugoslavia, Putin non ha mai fatto mistero di ritenere il crollo dell’Urss come un’inaccettabile catastrofe. Di più: così come Milosevic pretendeva di proteggere con la forza i serbi ovunque si trovassero, e rivendicava per la Serbia i territori da loro abitati, Putin afferma di fatto che «là dove ci sono russi c’è Russia». Revanscismo storico e geopolitico perseguito tramite l’irredentismo etnico-linguistico.

Infine, l’ideologia. Pur formati all’interno di regimi comunisti, sia Milosevic che Putin hanno dimostrato di credere che, rispetto alla parabola storicamente discendente dell’ideologia comunista, il nazionalismo fosse capace invece di fornire in modo ben più profondo e sostenibile coesione nazionale e legittimazione politica.
Un’onesta riflessione autocritica dovrebbe portare i Paesi occidentali, soprattutto gli Stati Uniti, ad interrogarsi sugli errori della politica condotta nei confronti della Russia post-sovietica. Sul New York Times Roger Cohen intitolava ieri un suo commento «La sindrome di Weimar della Russia» citando, senza contestarla, l’analisi di uno dei principali esperti russi di questioni internazionali, Sergei Karaganov, che parla dell’umiliazione e della frustrazione di un Paese che credeva, una volta liberatosi della zavorra di un sistema antagonistico all’Occidente, di venire accolto come partner e non trattato come perenne sconfitto.
Il problema oggi, tuttavia, non è quello di ripercorrere la sequenza di errori che ci ha portato, nel dopo-Guerra Fredda, all’attuale situazione di pericolosa ingovernabilità. Ce ne sarebbe per tutti. Per un’America prima così inebriata dalla fine dello storico nemico sovietico da credere davvero di potere essere onnipotente e in grado di gestire unilateralmente il mondo, ed oggi in difficoltà nel fare i conti con la ben più dura realtà. Per un’Europa sempre più gigante economico e nano politico, incapace di andare oltre un’estenuante mediazione dagli sbocchi inevitabilmente minimalisti, e per di più alle prese con una crisi interna di credibilità e consenso.
Le autocritiche sono necessarie, ma non ci esimono dalla necessità di decidere comunque cosa fare ora per impedire sia il conflitto che il trionfo dell’arbitrio e della prevaricazione.
Nel più classico degli schemi, Putin cerca di spostare sul terreno della mobilitazione nazionalista il discorso che altrimenti cadrebbe sulle carenze economiche e politiche di una Russia che, nonostante il grande potenziale, rimane semi-sviluppata e semi-democratica.
Possiamo sperare che un sistema di sanzioni possa indurlo a una politica meno avventurista? Le sanzioni sono sempre un’arma problematica da gestire e dagli effetti non univoci. Gli americani criticano oggi in modo sempre più esplicito gli europei, in primo luogo la Germania, per quella che considerano una loro eccessiva prudenza. Ma che credibilità possiedono sanzioni che hanno per chi le impone effetti più pesanti che non per chi le subisce? L’America sta rapidamente diventando autosufficiente in materia di energia, l’Europa non può nemmeno sognarlo. E a quanto ammontano le esportazioni degli Stati Uniti verso la Russia raffrontate a quelle Europee?
Ragionare in questi termini non significa essere a libro paga dei russi, come l’ex Cancelliere Schroeder, entusiasta «amico di Vladimir».
Se non si tiene conto di queste asimmetrie risulta poco credibile la caricatura degli americani intransigenti contro gli europei deboli.
Ma non sono solo gli europei a venire bollati con il marchio della presunta debolezza. Anzi, il bersaglio principale di questa polemica si trova negli stessi Stati Uniti, dove Barack Obama è sottoposto ad un serrato bombardamento di critiche dei repubblicani, ma anche di vari esponenti del suo stesso partito. Non è chiaro oggi per la crisi ucraina, così come non lo era rispetto al conflitto siriano, cosa esattamente si vorrebbe dal Presidente americano. Di solito i suoi critici lo esortano a «fare qualcosa», purché però non si tratti di azioni che comportino oneri per il bilancio federale o l’impiego in battaglia di «American boys».
Nei confronti della Russia oggi sembrerebbe in ogni caso da evitare di proclamare ultimatum che non sarebbero credibili, come l’imbarazzante sequenza delle «linee rosse» di Obama nei confronti del regime siriano.
Vi è una sola autentica linea rossa solidamente fondata politicamente e legalmente, anzi obbligata: quella dell’Art. 5 della Nato, con l’impegno di difesa nei confronti di un Paese membro dell’Alleanza che sia oggetto di un attacco. Al di là di questo, vi è la politica. Una politica fatta di negoziati e pressioni, di incentivi e disincentivi, di compromessi e punti fermi, di interessi e valori, e soprattutto di consapevolezza sia della propria forza che dei suoi limiti.
Non basterà di certo una poco credibile «faccia feroce» per indurre Vladimir Putin a recedere dal suo progetto di storica rivincita della Russia.