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 2014  aprile 02 Mercoledì calendario

Se un magistrato al vertice del ministero della Giustizia non fosse "vietato" per principio dal Colle - e dal condannato Berlusconi - Giovanni Melillo sarebbe probabilmente ministro

Se un magistrato al vertice del ministero della Giustizia non fosse "vietato" per principio dal Colle - e dal condannato Berlusconi - Giovanni Melillo sarebbe probabilmente ministro. Così l’ex procuratore aggiunto di Napoli, e consigliere giuridico del Quirinale ai tempi di Carlo Azeglio Ciampi, si accontenta tranquillamente di fare da capo di gabinetto al piddino Andrea Orlando. Solo che in via Arenula Melillo è ormai per tutti "il ministro ombra", quello che conosce i problemi, che sa come guidare la macchina della giustizia, l’uomo che può tenere testa a magistrati e avvocati anche nel merito delle singole questioni. Napoletano, classe 1959, Melillo non è solo un magistrato esperto di camorra, ma è anche da anni docente universitario di procedura penale e appassionato di organizzazione e ammodernamento tecnologico della giustizia. Quando è stato ingaggiato dallo spezzino Orlando, che ha quarantacinque anni e gli studi giuridici a Pisa li ha mollati a metà perché troppo preso dalla politica nella Fgci, nessuno ha osato fiatare su una scelta del genere. E se Orlando è, suo malgrado, ministro per caso, visto che Renzi era salito al Quirinale con l’idea di mettere alla giustizia il magistrato Nicola Gratteri e re Giorgio gli ha invece imposto di scegliere un politico, Melillo in via Arenula ci sta alla perfezione. Anche se è presto per giudicare, nel senso che il capo di gabinetto è sì l’indiscusso punto di riferimento del Palazzo per tutto ciò che riguarda gli affari di giustizia, ma è anche vero che per ora sulla materia si è mosso poco o nulla. Certo, Orlando, che pure è stato responsabile della giustizia per il suo partito ed è uno che studia con pignoleria tutte le carte, è un tipo taciturno e anche un po’ "diesel". Come gran parte dei suoi colleghi ministri non ha neppure distribuito le deleghe tra i suoi vice Enrico Costa e Cosimo Ferri, che invece di giustizia masticano parecchio, e la situazione non cambierà fino alle elezioni europee del 25 maggio. Ma la vera scadenza che sospende il tempo di via Arenula è quella del 28 maggio, quando L’Unione europea esaminerà per un’ultima volta la drammatica situazione delle carceri italiane. Quel giorno spira l’ultimatum di 12 mesi che ci era stato concesso per ridurre il sovraffollamento e questa volta il governo rischia sanzioni miliardarie. In quegli stessi giorni, per pura combinazione, scade anche il termine entro il quale il nuovo governo può lasciar "decadere" i direttori generali. Un discorso che vale anche per Giovanni Tamburino, il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. In caso di nuove bocciature europee, in via Arenula potrebbe scattare non solo il "repulisti" generale, ma anche un commissariamento di tutta la gestione delle carceri. Insomma, a fine mese Orlando potrebbe dare finalmente un segno della propria presenza. E anche se va registrato che al momento per tutti il ministro sembra essere Melillo, nessuno nega che l’ex ministro dell’Ambiente ai tempi di Lettanipote non sia un decisionista quando la materia è più politica. Lo ha dimostrato sulla droga, dove ha battagliato con la collega Lorenzin, senza però rompere con la posizione intransigente di Ncd. Il problema è che, a parte le carceri, che stanno molto a cuore anche a Napolitano, e lo snellimento burocratico (fissa di Renzi) non ci sono altri spazi politici per interventi veri. Del resto è abbastanza evidente che su giustizia e televisioni c’è un patto non scritto tra Renzie e il Cavaliere che prevede una specie di "no fly zone" totale. Solo che sembrava brutto non nominarlo neanche, un guardasigilli.