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 2014  aprile 27 Domenica calendario

La diplomazia senza forza Equivoci della politica estera italiana di ANGELO PANEBIANCO Meritano un sincero plauso il governo, e soprattutto il ministro degli Esteri Federica Mogherini e il ministro della Difesa Roberta Pinotti, che gestiscono congiuntamente il dossier, per la svolta impressa alla vicenda dei nostri marò

La diplomazia senza forza Equivoci della politica estera italiana di ANGELO PANEBIANCO Meritano un sincero plauso il governo, e soprattutto il ministro degli Esteri Federica Mogherini e il ministro della Difesa Roberta Pinotti, che gestiscono congiuntamente il dossier, per la svolta impressa alla vicenda dei nostri marò. I militari sono vittime delle beghe interne indiane, e la loro colpa - che spiega il doppio sequestro di persona da più di due anni - è di essere italiani, come lo è, di nascita, il leader del Partito del Congresso, Sonia Gandhi. La situazione era diventata insostenibile (aggravata anche da passati errori italiani). Adesso che si imboccherà la strada, certamente piena di rischi, del ricorso alla giustizia internazionale, altri errori non se ne potranno commettere. Ma almeno si è fatto ciò che ora si doveva fare. Una mossa necessaria per sperare di riportare a casa i due marò e difendere la dignità del Paese. Sempre per quanto riguarda il rapporto fra l’Italia e il mondo esterno, non si sa invece come giudicare il governo a proposito dei tagli sull’acquisto dei cacciabombardieri F35: una vicenda in cui si mescolano la corsa ai risparmi, quali che essi siano, per finanziare le tante promesse del governo Renzi, e le pulsioni antimilitariste (stigmatizzate dal presidente Napolitano il 25 aprile) diffuse anche nei gruppi parlamentari del Pd. Va bene il proposito enunciato dal ministro Pinotti di ripensare il nostro sistema difensivo. Ma la domanda a cui, prima o poi, si dovrà rispondere è: disporremo o non disporremo, nei prossimi anni, di un efficiente sistema di copertura aerea che contribuisca a tutelare noi e il fianco sud dell’Europa, e a farci fare la nostra parte nel sistema di alleanze? Non possiamo mai dimenticare che abbiamo un «estero vicino», Medio Oriente e Africa del Nord (e speriamo di non dover aggiungere alla lista anche la Russia), in ebollizione, e da cui potrà arrivare ogni genere di minaccia, anche quelle oggi meno prevedibili. Se lasciamo da parte le questioni europee (qui giocano un ruolo preponderante il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia), è sul modo in cui i ministri di Esteri e Difesa concepiscono il rapporto fra diplomazia e forza, e sulle loro azioni conseguenti, che va giudicata la politica estera e di sicurezza del governo del Paese. Almeno per ora, come anche la vicenda degli F35 lascia intendere, le cose appaiono confuse. In un’intervista recente (Il Foglio , 19 aprile), il ministro degli Esteri Mogherini ha esposto il suo pensiero su molti nodi della politica estera. Ha detto diverse cose condivisibili ma ha anche fatto intravvedere un approccio ai problemi internazionali che suscita qualche perplessità. Un approccio - lo si chiami pure, come al ministro piace, «obamiano», o anche liberal o di sinistra - che ricorda da vicino la filosofia e la prassi di quel Giulio Andreotti che fu per decenni demiurgo della politica estera italiana: nei suoi pregi ma anche nei suoi limiti. Una visione per la quale l’Italia ha da svolgere un ruolo da onesto sensale negli scacchieri caldi (il che può anche andare bene) ma rimarcando e pubblicizzando la propria diffidenza per le eventuali minacce, da parte delle alleanze di cui facciamo parte, dell’uso della forza nelle crisi internazionali (il che va meno bene). È stato proprio dell’andreottismo, e Mogherini sembra seguire quella strada, sottovalutare il fatto che nelle crisi diplomatiche devi sempre mettere un grosso bastone sul tavolo se il tuo avversario ci ha già messo il suo. Altrimenti, l’esito è deciso in partenza. È giusto sostenere come fa il ministro, che nella vicenda ucraina europei e americani non possono fare molto di più di quello che fanno. Basta non autoingannarsi: gli occidentali non possono usare le armi, Putin può farlo e lo fa, Putin vince (almeno nel breve termine). «Diplomazia» qui può significare solo cercare di aiutarlo, con qualche ricatto economico, a limitare le vincite. È inutile favoleggiare di «strategie obamiane» fondate sul dialogo, la trattativa, la cooperazione, eccetera. Stessa cosa nella vicenda siriana. Portiamo pure al tavolo della trattativa, come il ministro suggerisce, l’Iran. Ma a patto di non dimenticare che si tratta della potenza militare che ha tenuto in piedi e salvato il dittatore siriano. Un ministro degli Esteri, dato il suo ruolo, non può fare critiche radicali alla Amministrazione americana ma la sensazione è che Mogherini sia davvero sincera nella sua ammirazione per la politica estera di Obama. Dimenticando i tanti fallimenti inanellati da questo presidente, un isolazionista per vocazione fuori tempo massimo, in un’epoca in cui l’isolazionismo non è praticabile: i fallimenti in Iraq (l’azzeramento del vantaggio politico che aveva procurato il successo militare del generale Petraeus), in Afghanistan (stabilire con largo anticipo il ritiro da una guerra è la stessa cosa che perderla), in Egitto (ove l’America è riuscita a farsi odiare tanto dai Fratelli musulmani quanto dai loro nemici), in Siria. Si capisce bene che abbracciare l’obamismo (a patto però di glissare sulle «liste nere» di terroristi e i droni sempre in caccia) è, per il governo italiano, uno scudo utile per tenere a bada gli umori antimilitaristi diffusi a sinistra e per mantenere nel Pd equilibri politici pro Renzi. I fatti però, pur manipolabili e interpretabili in mille modi, hanno, al fondo, una loro durezza. È come nel caso degli F35. Bisogna fare un bagno di realtà, prima o poi.