Massimo Gaggi, Sette 2/5/2014, 2 maggio 2014
QUELL’EXPO DIMENTICATA
Veniva inaugurata 50 anni fa nel Queens.
Resta una lezione per tutti, anche per noi
Un’America ricca e grondante di ottimismo come non era mai stata prima, pronta a guidare l’avventura dell’uomo alla conquista dello spazio e impegnata a coltivare, con le sue multinazionali, incredibili trasformazioni tecnologiche destinate a rivoluzionare la vita di tutti noi. 1964: a Corona Park, nel cuore del quartiere di Queens, a due passi da Manhattan, a fine aprile viene inaugurata la New York World’s Fair che verrà visitata da 52 milioni di spettatori (a destra, in bianco e nero). Verrà anche il Papa, Paolo VI, in uno dei suoi rarissimi viaggi: il Vaticano aveva portato a New York ed esposto nel suo padiglione il più celebre dei gruppi marmorei italiani, la Pietà di Michelangelo. E anche lo Stato Pontificio rende omaggio alla tecnologia facendo avanzare i visitatori verso la scultura su dei “tapis roulant”. Cinquant’anni dopo la celebrazione aiuta gli americani, che in molti casi hanno perso la memoria di quello che sono state le esposizioni internazionali negli anni del “boom” economico, a capire il senso dell’Expo 2015 che si svolgerà a Milano. Festa della speranza di un futuro più sostenibile, “forum” di un mondo che cerca certezze alimentari, di approvvigionamento idrico e vuole sviluppare fonti di energia col minor impatto ambientale possibile. Una fiera pragmatica con poche illusioni quella italiana, quanto quella americana del ‘64 fu un’esibizione di prosperità e di ottimismo da parte di un Paese e di una generazione, quella del “baby boom”, che celebrava i suoi trionfi: allora l’Asia era fatta, economicamente parlando, di pigmei, la Cina di Mao era poverissima e isolata dal mondo. Quanto all’Europa, quella orientale era congelata dietro la “cortina di ferro”, mentre quella occidentale aveva appena completato la sua faticosa ricostruzione postbellica. Gli Stati Uniti, invece, erano nel loro pieno splendore: per vent’anni benessere e prosperità si erano sparsi ovunque, le industrie crescevano, le astronavi della Nasa si accingevano a conquistare la Luna. Se volevi attraversare l’oceano potevi farlo solo sui B707 e i DC8, i quadrigetti americani della Boeing e della Douglas (gli Airbus europei erano ancora di là da venire, inglesi e francesi giocavano col progetto del Concorde supersonico). Lo choc del recente assassinio del presidente John Kennedy (22 novembre 1963) era ancora una ferita aperta, ma i più lo consideravano un incidente della Storia in un’era spensierata che non aveva conosciuto ancora la fase più tragica della guerra del Vietnam, mentre la battaglia per i diritti civili, già in corso, non aveva ancora vissuto le sue pagine più drammatiche come l’assassinio di Martin Luther King (1968). Illusioni in gran parte svanite, come si sono dissolte pian piano le reliquie di quel parco delle meraviglie di mezzo secolo fa. Nel Corona Park di Flushing Meadows l’unica vera memoria dell’Expo del 1964 è l’Unisphere (foto a sinistra), riproduzione in acciaio della Terra alta 42 metri, circondata dalle orbite ellittiche compiute attorno alla Terra dalle prime capsule spaziali di Yuri Gagarin e John Glenn. Restaurata più volte negli anni, l’Unisphere è tuttora il simbolo di Queens. Ma tutti gli altri padiglioni dell’expo sono stati demoliti a partire da Futurama, la favolosa esposizione di un “futuro di promesse senza limiti” (slogan originale) messo in scena dalla General Motors. Che negli anni si è dovuta rimangiare molte di quelle promesse e ora sta faticosamente risorgendo dopo la bancarotta del 2009. C’è ancora la Fontana dei Pianeti che, coi giochi d’acqua, era il cuore del parco, ma oggi è solo uno stagno. Dei due padiglioni americani tenuti in piedi in attesa di una destinazione degna, quello dello Stato di New York è tuttora uno scheletro abbandonato, circondato dai tre funghi delle torri di osservazione: malinconica visione per chi, atterrato al Kennedy, imbocchi l’autostrada per Manhattan. Quanto al padiglione del governo, l’altro che si voleva tenere a testimonianza della grandiosità dell’Expo, alla fine è stato anch’esso demolito, visto che nessuno si era fatto avanti con un progetto convincente. Al suo posto oggi sorge lo stadio del tennis Arthur Ashe e tutta l’area del parco (qui accanto, il rendering per un nuovo progetto) – polmone verde e zona dei musei di un quartiere, il Queens, sempre più popolato – si anima tra agosto e settembre quando Flushing Meadows diventa la sede degli U.S. Open e a Corona Park mette le tende il circo del Grande Slam.