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 2014  maggio 01 Giovedì calendario

LO SCUGNIZZO MONTELLA

Nicola mostra le mani ruvide, orgogliosa conseguenza di una vita di lavoro: trent’anni spesi dentro la Fiat di Pomigliano, stabilimento basso, scuro e silenzioso nella parte industriale del paese, diciotto chilometri dalla stazione centrale di Napoli. E poi la passione della falegnameria «tutto ciò che intorno a noi è fatto con il legno l’ho costruito io, compresa la mia sedia preferita, quella su cui sono seduto. Ma niente, non c’è stato modo di trasmettere la vocazione a Vincenzo. Volevo crescesse falegname, e lui stava sempre col pallone tra i piedi. Una volta gli ho messo in mano gli attrezzi e lui promise: “mo’ e mai più”. A Empoli lo chiamarono a dodici anni: mi opposi, come tutta la famiglia. Troppo piccolo per andarsene di casa». Invece furono i quindici chilometri della statale vesuviana, e poi ancora i grandi collegamenti tra Napoli e la Toscana: Vincenzo Montella, figlio di Nicola, lasciò questa provincia per diventare una giovane promessa, poi un attaccante rapido, poi l’Aeroplanino, poi ancora un bravo allenatore.

Scugnizzo Castello di Cisterna, 7300 abitanti dopo che il terremoto dell’80 ha portato qui quasi metà dei residenti, per via dei nuovi alloggi tirati su dopo il sisma. Il Municipio è in via Vittorio Emanuele. Il sindaco Clemente Sorrentino è un ex Democrazia Cristiana, ora con Forza Italia. Ha pure un’altra fede, il Napoli: «Vincenzo l’ho visto bambino. Sono ingegnere e il campo su cui è cresciuto l’ho progettato io nel 1979. Mi regalò una tuta della Samp che ancora indosso. Giocava dappertutto, spesso in strada, con gli amici del bar “Rosso e Nero”. Ci tiene all’essere nostro concittadino: è nato a Pomigliano perché lì c’era l’ospedale, ma i Montella sono di qui, di Castello di Cisterna. Vincenzo ha lo spirito dello scugnizzo unito a un’intelligenza raffinata. Diventerà l’allenatore di una big, avrà modo di togliersi tante soddisfazioni. Quella di sabato però tocca a noi».

Cinque fratelli Il colore è il celeste, è dipinto sulle facciate, svolazza nelle bandiere del Napoli appese ai balconi e si accende nei grembiuli dei maschi appena usciti da scuola. Una traversa di via Nove Maggio finisce in una palazzina diversa, gialla, tre piani, due utilitarie parcheggiate davanti, di fianco alla piallatrice e alla sega elettrica. Nicola Montella è in casa, come Maddalena, Giuseppe e suo figlio Francesco. Sorella, fratello e nipote di Vincenzo. L’altra sorella è Caterina, l’altro fratello, Emanuele, ha giocato a calcio fino a quattordici anni, compagno di squadra di Nicola Caccia, altro dal gol facile, cresciuto a cinquanta metri da qui e oggi nello staff tecnico viola. Attacca Giuseppe: «Tifo Napoli ma se dall’altra parte c’è mio fratello tengo per lui. Diciamo che sabato deve vincere il migliore, anche se alla Fiorentina non conviene poi tanto. Il riferimento della famiglia è nostro padre, ha sempre lavorato duramente, ha tirato su cinque figli e si è costruito una casa. Non gli piacevano le parolacce in tribuna, per questo non ha mai seguito tanto Vincenzo. Una volta in Avellino-Empoli, un’altra contro il Milan se ne andò prima della fine per tutto quello che sentiva intorno. Io e mia sorella Maddalena viviamo con lui e con i suoi strumenti di lavoro, con Vincenzo che torna appena può».

Testata Torna da ciò che ha lasciato, dalla scuola media De Gasperi dai soliti colori: cancelli celesti, mattoni gialli. Non finì la terza Vincenzo, un signore dal grande istinto lo segnalò all’Empoli. Si era messo in luce sul campo del paese, a due passi da qui: lo progettò il sindaco Sorrentino, a trasformarlo in uno stadio con tribuna ed erba sintetica fu, tra l’85 il ’90, Lorenzo D’Amato, oggi direttore responsabile della U.S.D. San Nicola, la società dove Montella (e Caccia, e Di Natale) è cresciuto. Fuori c’è scritto «Forza Napoli» e poi «Non me lo spiegare nemmeno io… però ti amo, stronza», di fronte ecco Michele «Acconciature per uomo»: «Barba e capelli a Montella l’ultima volta a Natale. Tifo Napoli, se vince la Coppa pagherà doppio, altrimenti tutto gratis». Dentro, lo stadio, è da Serie A: campo, bar, lavanderia, sala delle coppe. Trecento bambini, dagli Allievi ai «primi calci», e Vincenzo era uno di loro. Racconta D’Amato: «Giocava in porta e non c’era modo di toglierlo da lì, era anche bravo. Gli dissi che i portieri devono essere alti un metro e ottantacinque… Lo chiamavamo Agostinelli, per i capelli lunghi. Lo misi in attacco, dopo un gol saltai e mi spaccai la testa contro la panchina. Era fortissimo, lo portai a Empoli. Quando andò alla Samp, attraverso il suo sponsor, ci promise un milione per ogni gol segnato. Ne fece 22. Oggi vorremmo fosse più presente nella nostra vita, noi lo sosteniamo sempre». Ecco Montella, quello che ama le mozzarelle di Antonio, che ci mise faccia e voce «perché chiudere lo stabilimento Fiat di Pomigliano sarebbe devastante», quello che «Napoli e provincia sono la mia terra e ci torno sempre volentieri». Magari con una coppa in più.