Andrea Boda, Europa 1/5/2014, 1 maggio 2014
PERCHE’ TWITTER È CROLLATO IN BORSA
L’uccellino azzurro è caduto dal nido? Dopo lo slancio iniziale, che ha portato le azioni di Twitter a sfiorare il triplo del prezzo di assegnazione al collocamento, gli operatori sembrano essere passati dal birdwatching alla caccia con cani e doppietta, portando le azioni del popolare social network ai prezzi più bassi a cui sia mai stato scambiato da quando è in Borsa.
Le ragioni di questo movimento sono le stesse che lo hanno accompagnato alla quotazione: l’azienda ha grandi prospettive, ma al momento non fa utili (anzi, è in perdita di oltre 130 milioni di dollari). Se nei primi due mesi ha nettamente prevalso la convinzione che gli utili sarebbero prima o poi arrivati, col passare del tempo l’assenza di guadagni concreti sta generando crescente impazienza e tangibile preoccupazione. Anche perché gli altri social network, Facebook e Linkedin, gli utili li registrano – eccome – inducendo chi è convinto ad investire in questo settore a scegliere la loro tangibile efficacia, anziché le prospettive di Twitter che possono iniziare a sembrare un miraggio.
Il segreto del successo di Twitter è anche il suo tallone d’Achille: il sito di microblogging è la via più veloce per diffondere contenuti e link, con i suoi messaggi limitati a 140 caratteri, ma al tempo stesso la velocità con cui si rinnova fa invecchiare più rapidamente i contenuti, che a pochi minuti dalla loro pubblicazione si ritrovano “scavalcati” da ciò che viene scritto dagli altri utenti.
I tweet pubblicitari non tengono conto dell’aspetto temporale e vengono proposti dal sistema tra i primi risultati al momento della connessione, cercando di aggirare il problema, tuttavia la forza d’urto di twitter è la capacità assegnata ad ogni utente di rendere popolare un micropost attraverso i retweet, diffondendolo innumerevoli volte. Ma diffondere un contenuto induce a pensare che lo si condivida, molti si sentono in dovere di spiegare che «retweet is not endorsement», cioè che non necessariamente si condivide nel merito ciò che si diffonde, senza contare che molti utenti di Twitter considerano i loro retweet come “merce” da barattare alla pari o quantomeno in cambio di gratitudine.
Per tutte queste ragioni è molto improbabile che i tweet pubblicitari (diversi dagli altri perché segnati come «sponsorizzato da…») diventino popolari, restando ingoiati come fastidiosi banner in un mare di contenuti percepiti come più spontanei. Infine, restano esclusi da visulizzazioni mirate su singoli hashtag: se un utente vuole seguire un singolo evento, come i #matteorisponde del presidente del consiglio, non vedrà tweet sponsorizzati. L’insieme di tutti questi fattori rende poco allettante l’acquisto di spazi pubblicitari su Twitter.
Ma l’uccellino azzurro sta incontrando anche un altro tipo di problema: la forbice tra utenti riconosciuti ed utenti normali si sta allargando mese dopo mese, con i primi che vengono sempre più seguiti e condivisi ed i secondi che faticano ad uscire dall’anonimato. A lungo andare scrivere senza ricevere interazioni da alcuno genera frustrazione ed allontana dallo strumento, infatti benché il numero di utenti iscritti sia in aumento – sono ormai oltre 250 milioni – si collegano sempre meno e per meno tempo.
Gli investitori alzano dunque le sopracciglia sempre più perplessi, in attesa che il management di Twitter si inventi qualcosa che trasformi quella che su queste pagine abbiamo definito «la più grande agenzia di stampa del mondo» in un posto nel quale sia interessante acquistare spazi pubblicitari. Perché, come diceva William Blake, «nessun uccello vola troppo in alto, se vola con le proprie ali».