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 2014  maggio 02 Venerdì calendario

PERISCOPIO

Grillo ai giornalisti: «Il guaio è che non studiate». Mica come certi suoi parlamentari che sanno tutto su Pino Chet, i microchip sotto pelle e le sirene. Il Rompi-spread. MF.



Dicono che Silvio sarebbe contento di finire agli arresti domiciliari. E facciamolo contento? Jena. la Stampa.



Francesca Pascale, la mia compagna, mi è sempre stata vicina. È un’enciclopedia vivente. Riesce a leggere nella mia mente quello che sto pensando, ecco perché debbo sempre tenermi pensieri puliti. Silvio Berlusconi a «Domenica live», Canale 5.



Non amo le donne-Barbie, ma le donne-capo. La parità non si afferma per legge. Daniela Santanchè. Il Giornale.



Renzi: «Mi hanno impedito la partita del cuore, e sono incazzato nero». E allora ciuccia ’sta banana. Maurizio Crippa. Il Foglio.



La Cgil della Camusso è in piena crisi di identità. Prima era ascoltata dalla maggioranza del Pd. Ora non più. Non può sganciarsi da Renzi a priori, deve prima verificare la solidità della sua premiership alle prossime elezioni europee, altrimenti rischia di consegnarsi ingloriosamente agli estremismi di Sel e di Grillo. Giuliano Cazzola, ex dirigente Cgil, oggi Ncd. Il Foglio.



Da giornalista con qualche esperienza in materia, posso constatare che Mario Calabresi, dirigendo la Stampa, dalle 300 mila copie del 2009 è passato alle 223 mila del gennaio 2014, bruciando quasi un terzo della diffusione media. Concediamogli pure le attenuanti generiche della crisi, però non mi pare un risultato di cui vantarsi in giro. Ciononostante Calabresi risulta il candidato più quotato ad assumere la direzione del Corriere della Sera, che si vorrebbe, si vocifera, in un progetto di fusione con La Stampa a scapito delle testata torinese. Come possa prendere in mano tutto il baraccone la stessa persona che ha gestito il mezzo fallimento del quotidiano più piccolo, bisognerebbe chiederlo al suo nume tutelare John Elkann, accanto al quale Calabresi non manca mai di apparire scodinzolante nelle occasione ufficiali. Vittorio Feltri e Stefano Lorenzetto, Buoni e cattivi. Marsilio.



Più i giorni passano e più il leader «nuovo», Renzi, assomiglia a quelli che doveva rottamare: chiacchiere tante, fatti pochi e transumanze da una tv all’altra per fare «il simpatico». La differenza è il giubbotto fico al posto della grisaglia. Appena entrato a Palazzo Chigi, oltre al virus della chiacchierite e dell’annuncite, Renzi ha contratto la prezzemolite. Aiutato dalla peggior classe giornalistica del mondo, s’è convinto che gl’italiani muoiano dalla voglia di sapere se preferisce la carne o il pesce, le bionde o le more, gli slip o i boxer. Ieri è apparso in tv con un pallone e poi con una banana in mano. Marco Travaglio. Il Fatto.



Non è il brunch che assomiglia al Cafonal, è l’assalto al brunch che fa il Cafonal. Roma è così. C’è sempre chi arriva con il gomito largo e il piatto come oggetto contundente, riempito ben oltre l’orlo perché non si sa mai quando ricapiterà un’occasione del genere. Roberto D’Agostino, direttore di Dagospia. Il Fatto.

Lo stalinismo togliattiano è la chiave per decifrare tutto se lo si analizza come gestione dispotica del potere, come strumento di polverizzazione di ogni forma di dissenso, come complotto, menzogna, trama, morta gora. E poi lo stalinismo fu anche una continua violazione dell’altrui vita privata, ipocrisia di stampo moralistico, maschilismo. Ermanno Rea, scrittore, candidato Tsipras. Il Fatto.



Alle volte penso alla pensione. Posso mollare tutto, portandomi dietro i libri a cui non rinuncerei mai, tra questi, quelli del mio amato Kafka, letti e riletti instancabilmente come se fossero una droga. E poi la Bibbia, un libro che tutti dovrebbero aver letto almeno una volta nella vita. Michael Kruger, editore tedesco. Der Spiegel.



Domando al fratello del nonno, vecchio garibaldino: «Dimmi, che tipo era Garibaldi?». «Garibaldi? Cosa vuoi che ti dica. Garibaldi era Garibaldi», Leo Longanesi, Parliamo dell’elefante. Longanesi, 1947.



C’era un altro malato nella camera, proprio di fronte a mio padre. Un arabo, quindi un islamico. Stesi sui letti, i due pazienti erano accostati per i piedi. Sulla parete di lato c’era un crocefisso e mio padre stava sempre con la testa piegata, per fissarlo. Capitò un parente dell’arabo. Erano marocchini, mi pareva. Confabularono nervosamente e irosamente. Il parente partì e torno tre minuti dopo con un infermiere, guardarono il crocefisso, l’islamico con furia, l’infermiere con rassegnazione. Dal tono dei due conversanti, pareva chiaro che l’islamico l’accusava e l’infermiere si difendeva. L’islamico era più colto e più preparato, aveva un fascicolo sotto il braccio, evidentemente se l’era portato apposta, aveva previsto lo scontro, e a un certo punto cominciò a leggere in un italiano pronunciato male ma corretto: «Associazione Diritti Umani dice che presenza simbolo cristiano aumenta sofferenza malati islamici» e concluse, puntando il dito sul crocifisso: «Bisogna toglierlo». L’infermiere doveva sapere che cosa diceva L’Associazione per i Diritti Umani, perché non ribatté niente, andò via, tornò poco dopo con una scaletta, la poggiò contro il muro, salì, staccò il crocifisso, se lo mise sotto l’ascella, e lo portò via. Fine della guerra tra gli Dèi. Fino a ieri, generazioni d’italiani si sarebbero tuffate nel fuoco cantando, per salvare quel simbolo. L’ultima generazione lo scarica nei rifiuti. Ferdinando Camon, La mia stirpe. Garzanti, 2011.



Eravamo al campo de Mailly, in attesa di salire in prima linea, nel settore di Reims. Vennero a trovarci, in giro d’ispezione, alcuni alti ufficiali francesi ed inglesi. E il generale Peppino Garibaldi, nostro comandante, li invitò alla nostra mensa. Al caffè, non so come, il discorso cadde sulle ragioni che avevano indotto l’Italia a entrare in guerra a fianco degli alleati. Secondo quegli ufficiali francesi ed inglesi, gli italiani si battevano per Trento e Trieste, cioè per interessi pratici, territoriali, mentre gli alleati si battevano per alti motivi ideali. «Gli italiani», disse uno di quegli ufficiali, non so più se francese o inglese, «si battono per il denaro, gli alleati per l’onore». «Ciascuno si batte per ciò che non ha», rispose Peppino Garibaldi. Curzio Malaparte, Battibecchi. Shakespeare and Company, 1993.



Misteriosi fazzoletti / i sogni io li piego/ li bacio e li lego / li nascondo nei cassetti. Umberto Silva, psicanalista. Il Foglio.



Quanta gente, tremando, mi ha detto di farmi coraggio. Roberto Gervaso. il Messaggero.