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 2014  maggio 01 Giovedì calendario

E GLI USA FINISCONO SCALZATI DALLA CINA


DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK — Nell’informazione a colpire sono soprattutto i titoli e quelli di oggi sull’economia Usa sono, almeno apparentemente, sconcertanti: «La Cina diventerà già quest’anno la prima economia mondiale superando quella americana molto prima del previsto». E poi, «Crescita zero per gli Stati Uniti nel primo trimestre 2014: il Pil frena, appena +0,1 per cento». Una tempesta che si addensa improvvisamente all’orizzonte della superpotenza? Nulla di tutto questo. Per il Pil quasi tutto dipende dall’inverno più freddo di sempre che ha inevitabilmente congelato anche l’economia, come raccontiamo qui a fianco. La questione del confronto con la Cina è più complessa e aperta a varie interpretazioni. Del resto, del possibile sorpasso di Pechino si parla già da molti anni. Né si tratta solo di un problema di rapporti tra Usa e Cina: a prendere per buona, come misura della ricchezza prodotta da un Paese, l’indice PPP («purchasing power parity», cioè il confronto dei poteri d’acquisto nei vari Paesi calcolato dalla Banca Mondiale sganciandosi dalle singole valute e dalle relative fluttuazioni), non solo Pechino supera Washington, ma l’India sale al terzo posto scavalcando con un balzo anche Giappone e Germania, mentre l’Italia scivola all’undicesimo posto della graduatoria mondiale, scavalcata dall’Indonesia e col Messico già in corsia di sorpasso.
Parliamo di stime perché i dati resi noti ieri arrivano solo fino al 2011 quando la Cina era ancora dietro ma era arrivata ad avere un potere d’acquisto pari all’87 per cento di quello Usa: molto più di quanto registrato nella rilevazione precedente, che risale al 2005, quando era solo al 43 per cento dell’America. Per arrivare a decretare il sorpasso nel 2014, gli economisti fanno due conti: dal 2011 ad oggi la Cina è cresciuta del 24 per cento, mentre gli Stati Uniti solo del 7,6. E il gioco è fatto.
La notizia ha un forte impatto mediatico, pesa sulla psicologia dell’Occidente, accentuerà la sensazione di declino che serpeggia negli Stati Uniti e che indebolisce Obama. Bene o male, nessuno mette in discussione il primato economico americano da quasi un secolo e mezzo: da quando, nel 1872, il suo «fatturato» superò quello dell’impero britannico. Probabilmente ci saranno conseguenze politiche anche negli organismi multilaterali: soprattutto al Fondo Monetario Internazionale e in seno alla stessa Banca Mondiale dove la Cina e le altre nuove potenze emergenti sono certamente sottorappresentate. Ma è questo un modo corretto di calcolare la ricchezza prodotta dai singoli Paesi, il loro contributo all’economia mondiale? Non conta più nulla il fatto che tuttora, misurato in dollari, il Pil cinese sia la metà di quello Usa (8 mila miliardi rispetto ai 16 mila americani nel 2012)? Il prodotto interno lordo calcolato in base alle valute locali come misura del valore di beni e servizi prodotti da un Paese è, come si sa, un dato che è stato da tempo messo in discussione, anche se tutta l’economia mondiale continua a ruotare attorno al Pil. Apparentemente la parità dei poteri d’acquisto è una grandezza più calzante. Se, per dire, costruendo due aeroporti gemelli, uno a Shanghai e uno a New York, negli Stati Uniti spendi dieci volte di più, non puoi dire che per questo l’America è dieci volte più ricca. Ma non puoi nemmeno comparare le condizioni di lavoro quando non solo tra salari americani e cinesi c’è un abisso, ma in Asia si fanno turni massacranti, non c’è sicurezza per gli operai né tutela dell’ambiente. Così come non puoi dare lo stesso valore a un taglio di capelli pagato pochi spiccioli fatto magari in una piazza del mercato di una città asiatica usando un rasoio che non è stato disinfettato e quello di un barbiere americano o italiano che si fa pagare decine di dollari o euro ma garantisce ben altra qualità, confort e sicurezza.
A parte il valore reale di quello che si produce e la sostenibilità anche ambientale di certi modelli di sviluppo (basti pensare allo smog che soffoca, ormai, buona parte della Cina), c’è poi da considerare quello che è il reale benessere delle popolazioni, il tenore di vita nei vari Paesi. Il divario di benessere medio, calcolato in dollari, tra i 320 milioni di abitanti degli Usa e il miliardo e 367 milioni di cittadini cinesi è abissale. E rimane enorme anche usando come metro il PPP: il reddito dell’americano è cinque volte quello del cinese, 51 mila a 11 mila. Usando questo metro va meno bene all’Italia che scivola al 34esimo posto, ma Cina e India precipitano, rispettivamente al 99esimo e 127esimo posto.
Insomma, prima di scalzare davvero gli Usa, che restano leader indiscussi nella ricerca e la tecnologia, dovrà ancora passare molta acqua sotto i ponti. Ma se, anziché di ricchezza consolidata, parliamo di crescita economica, non ci si può che inchinare davanti alla Cina che, da sola, nell’ultimo decennio ha garantito più di un quarto dello sviluppo dell’intero Pianeta.