L’Espresso 2/5/2014, 2 maggio 2014
IN GUERRA CONTRO IL PARMIGIANO AMERICANO
Olio, salumi, latticini. Il made in Italy agroalimentare è in guerra contro le imitazioni. Anche se a metà aprile
il parlamento europeo ha approvato il pacchetto legislativo Tajani-Borg che comprende la norma sul "Made in", che impone l’etichettatura di origine sia ai prodotti realizzati in Europa sia a quelli extra Ue, molto resta da fare. Adesso sotto i riflettori c’è il Parmigiano Reggiano, il formaggio italiano più famoso nel mondo, al centro di un’aspra polemica tra produttori italiani e statunitensi.
«Cosa c’è di più americano del parmigiano?», così qualche giorno fa titolava provocatoriamente il "Wall Street Journal", alludendo al contenzioso tra l’industria a stelle e strisce che produce formaggi ispirati al made in Italy, largamente consumati al di là dell’Atlantico (dal parmesan all’asiago, dal prosciutto alla mozzarella, per un fatturato stimato da Federalimentare in 24 miliardi di euro) e i consorzi italiani dei prodotti tutelati dalle indicazioni geografiche: Asiago, Parmigiano Reggiano, Mozzarella di bufala campana, e così via. Un settore che solo nel 2013 ha esportato quasi tre miliardi di euro negli States. In entrambi i casi un business colossale, con un paradosso: sugli stessi scaffali dei supermercati americani oggi convivono i formaggi italiani e, in quantità molto più rilevante, i formaggi "italian sounding" ma made in Usa.
Quella delle denominazioni, comunque, è diventata una partita cruciale nei negoziati, tuttora in corso, tra Unione europea e Stati Uniti per il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (Ttip), il futuro patto che dovrà armonizzare gli standard europei e statunitensi. Da un lato, la lobby dei produttori americani e la Wisconsin Cheese Makers Association sostengono che gli alimenti europei non debbano ricevere ulteriore protezione sul mercato americano, al quale già possono accedere. Dal canto loro, i negoziatori
di Bruxelles sottolineano l’importanza delle denominazioni di origine per i cibi provenienti dal Vecchio Continente, Italia inclusa. «La presunzione di continuare a chiamare con lo stesso nome alimenti del tutto diversi è inaccettabile», afferma il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo: «L’Unione Europea ha il dovere di difendere prodotti che sono l’espressione di una identità territoriale non riproducibile altrove. È come se si pretendesse di chiamare Coca Cola qualsiasi bevanda di colore scuro con le bollicine. Con l’aggravante che in questo caso non si difendono i diritti di una impresa ma quelli della storia di una intera comunità».
E così, appena archiviata la querelle con il Canada per gli stessi motivi, si apre un nuovo fronte. L’accordo, siglato di recente da Commissione europea e governo canadese, stabilisce infatti che alcuni prodotti made in Canada ma di chiara ispirazione italiana (ad esempio Asiago, Gorgonzola, Fontina) continueranno a essere venduti con la denominazione di sempre, che però sarà accompagnata dall’indicazione obbligatoria dell’origine in etichetta, senza riferimenti ambigui alla Penisola o al tricolore. I consumatori canadesi li troveranno nei supermercati, magari accanto ai prodotti importati dall’Italia. Magra consolazione, tanto che Coldiretti ha definito l’intesa «una beffa».