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 2014  maggio 01 Giovedì calendario

GARLASCO, SI RIPARTE DA ZERO

Il processo per il delitto di Garlasco è un nastro che si riavvolge di cinque anni, sino al 30 aprile 2009. Quel giorno il gup di Vigevano Stefano Vitelli ritenne che le indagini fossero incomplete e decise un’ampia integrazione probatoria ordinando quattro perizie e l’audizione di sei testimoni. Ieri mattina - esattamente cinque anni dopo - la prima Corte d’assise d’appello di Milano ha stabilito che sono lacunosi anche gli accertamenti sviluppati in seguito, che portarono alla doppia assoluzione di Alberto Stasi, poi annullata un anno fa dalla Cassazione. E dunque ha riaperto l’istruzione dibattimentale, disponendo altre due perizie e finalmente l’acquisizione della bici nera da donna in uso alla famiglia Stasi.
La parte civile, con l’avvocato Gian Luigi Tizzoni, canta vittoria: «È quello che chiedevamo da anni». La difesa invece è perplessa: «Avevamo scelto il rito abbreviato, questa continua richiesta di nuovi accertamenti è una forzatura». Ma la Corte di rinvio, presieduta da Barbara Bellerio, vuole andare fino in fondo per arrivare alla verità sull’omicidio di Chiara Poggi, assassinata a 26 anni nella sua villetta di Garlasco. Era a casa da sola il 13 agosto 2007, la famiglia in montagna. Fu Alberto Stasi, il suo fidanzato, all’epoca studente bocconiano, oggi quasi trentunenne commercialista, a lanciare l’allarme dopo aver trovato il corpo.
Una testimone, in seguito riscontrata da un’altra, nelle ore successive riferì di aver notato una bici nera da donna davanti a villa Poggi in orario compatibile con quello del delitto. I carabinieri chiesero agli Stasi quante bici avessero. Mamma e papà citarono anche quella nera da donna, Alberto invece non ne fece menzione. Era nell’officina di autoricambi del padre. Un maresciallo si limitò ad andare a vederla l’indomani: concluse che non corrispondeva per certi particolari alla descrizione e non fu mai sequestrata. Ieri mattina è stata finalmente acquisita su ordine della Corte: i carabinieri l’hanno trovata nella villa di Alberto in via Carducci, pare che ultimamente la usasse la madre. Non sarà sottoposta ad «approfondimenti scientifici», ormai inutili «in considerazione del tempo trascorso e della impossibilità di conoscere le modalità di conservazione». Ma verrà mostrata alle testimoni, Franca Bermani e Manuela Travain, per vedere se la riconoscono. Le due donne potrebbero essere convocate a testimoniare in aula.
C’è poi la questione del capello. Nelle mani Chiara ne aveva diversi, quasi tutti risultati suoi. Tutti tranne uno, molto più corto (12 millimetri) e più chiaro degli altri, provvisto di bulbo. L’estrazione del Dna nucleare da parte dei Ris non riuscì. Quella del Dna mitocondriale invece non fu eseguita, sembra per dimenticanza. Ora la Corte ha incaricato il professor Francesco De Stefano, medico legale dell’università di Genova, che dovrà anche riesaminare con tecniche più avanzate i frammenti delle unghie prelevati alla vittima. Lo stesso specialista farà inoltre parte di un collegio peritale chiamato a completare la «sperimentazione virtuale» sulle camminate, ovvero sulla possibilità di attraversare la casa per trovare il corpo senza intercettare con le scarpe nemmeno una goccia di sangue, come avrebbe fatto Alberto. Nella perizia, già svolta in primo grado, era stato tralasciato per presunte difficoltà tecniche proprio uno dei punti più imbrattati, i primi due gradini della scala della cantina in fondo alla quale fu trovata Chiara. Se ne occuperanno il dottor Roberto Testi, dell’Asl 2 di Torino, e i professori Gabriele Bitelli e Luca Vittuari, dell’università di Bologna. I periti giureranno il 14 maggio, quando chiederanno termini presumibilmente sino all’autunno.