Giampaolo Visetti, la Repubblica 1/5/2014; Federico Rampini, la Repubblica 1/5/2014, 1 maggio 2014
CINA, LA SUPER POTENZA CHE NASCONDE I SUOI POVERI
(due articoli) -
La Cina, entro il 2014, potrebbe superare gli Stati Uniti e diventare la prima potenza economica del mondo. Il sorpasso era previsto nel 2019, ma l’accelerazione della crescita cinese, unita al rallentamento di quella Usa, potrebbe anticipare di cinque anni un passaggio di consegne che diventa il simbolo statistico del cambio di un’epoca. Washington detiene il primato economico dal 1872, anno in cui lo ha rilevato dalla Gran Bretagna. Se il 1800 è stato il secolo del colonialismo e della corona inglese e il 1900 quello del dollaro e della democrazia americana, il 2000 si conferma quello dello yuan e dell’autoritarismo di mercato cinese. Per la prima volta, a indirizzare il destino dell’economia mondiale, sarà una potenza comunista sostenuta da un capitalismo di Stato, ma pure una nazione in via di sviluppo e con un reddito pro capite tra i più bassi del pianeta.
Ad annunciare il sorpasso, uno studio del Programma di comparazione internazionale della Banca Mondiale. Ma dai dati emerge anche che alla super- potenza più ricca del mondo corrisponde uno dei popoli più poveri. Effetto senza precedenti dei modelli matematici. Per la prima volta gli analisti hanno valutato il costo reale della vita, sostituendolo al tasso di cambio ed aggiornandolo a dopo il 2005. È emerso che nel 2012 il Pil cinese è stato pari a 8,2 miliardi di dollari, contro 16,2 miliardi di quello Usa. Il Fondo monetario internazionale stima che nel quadriennio 2011-2014 la crescita di Pechino sarà del 24%, rispetto al 7,6% di Washington. È dunque la differenza di velocità della crescita a proiettare la Cina al primo posto per volume complessivo di ricchezza.
La nuova statura globale della Cina non rispecchia però la realtà interna. Quella che i mercati considerano già la prima economia del pianeta, vanta un reddito annuo pro capite di appena 2 mila euro, che la pone al 110° posto al mondo. Nei villaggi rurali si guadagnano mille euro all’anno, un terzo rispetto al reddito nelle città, 26 volte meno della media Usa. Alla quantità totale della ricchezza non corrisponde dunque la qualità reale del tenore di vita, che vede esplodere il divario tra ricchi e poveri.
Le stime della Banca mondiale potrebbero inoltre essere smentite dai fatti. Nel decennio d’oro 1998-2008, la crescita cinese si è mantenuta al di sopra del 10%. La crisi finanziaria di Stati Uniti ed Europa, con il calo dei consumi, ha travolto un sistema fondato sull’export low cost. Nel 2013 la crescita del Pil ha frenato al 7,7%, quasi la metà rispetto al 2006, la più bassa da un decennio. Per l’anno in corso Pechino ha fissato il target al più 7,5%, ma il primo trimestre si è fermato al 7,4%. La Cina potrebbe così mancare il sorpasso sugli Usa, o centrarlo nel pieno della crisi del proprio modello di sviluppo. A confortare Pechino, i due “primati impossibili” raggiunti lo scorso anno. Dopo oltre un secolo è tornata ad essere il primo mercato mondiale del commercio, con un volume di beni esportati pari a 4.160 miliardi di dollari. E in ottobre lo yuan è diventata la seconda valuta globale per transazioni finanziarie, dietro il dollaro. L’atteso sorpasso anticipato Pechino-Washington serve dunque a definire il nuovo peso di economie e mercati in crescita, i mutati equilibri all’interno delle organizzazioni internazionali, dall’Fmi alla Banca mondiale. Resta incomparabile il tenore di vita reale, con il mondo ricco che possiede il 50% del Pil globale e il 17% della popolazione. Una sfida per giustizia sociale e diritti umani che la Cina, nel prossimo decennio, senza riforme profonde difficilmente potrà vincere.
Giampaolo Visetti
LA RIPRESA FATICA E ORA L’AMERICA PERDE L’AUTSTIMA -
Finalmente le statistiche si adeguano alla percezione diffusa: già da anni, interrogati nei sondaggi Gallup, gli americani erano a maggioranza convinti che la Cina fosse l’economia più grossa. Ora insieme con il sorpasso cinese che da immaginario diventa reale, per l’America c’è la sorpresa dell’ultimo dato sul Pil. È una frenata brusca e imprevista nella crescita, quasi azzerata nel primo trimestre (appena 0,1% di aumento del Pil tra gennaio e fine marzo). In parte è colpa di un inverno interminabile ed eccezionalmente rigido, ma l’esaurirsi della spinta propulsiva nella locomotiva Usa fa affiorare altre preoccupazioni. Il sorpasso cinese avviene sullo sfondo di una crisi di autostima che affligge l’America.
L’ultimo sondaggio Nbc/ Wall Street Journal ne è lo specchio. Nel bel mezzo della crisi ucraina, con un revival di guerra fredda, il 53% degli americani vorrebbe che il proprio paese «si occupasse dei problemi domestici». Un ripiegamento isolazionista pronunciato. Si accompagna con una caduta di consensi verso la politica estera di Obama, che riscuote solo il 38% di giudizi favorevoli. L’ascesa della Cina è solo uno dei fattori. Pesano anche i bilanci negativi di due guerre che hanno impegnato risorse economiche per oltre un decennio (Iraq e Afghanistan); la sensazione che le “ex-primavere arabe” si stiano traducendo in una perdita d’influenza americana; in generale un senso d’impotenza legato all’ingovernabilità dei focolai di crisi internazionali. Ma soprattutto l’opinione pubblica avverte che la ripresa economica degli ultimi cinque anni non ha sanato le
ferite del tessuto sociale.
Il tema più dibattuto non è il sorpasso della Cina ma il declino della classe media americana, che una recente inchiesta del New York Times ha dichiarato “spodestata dal suo primato mondiale, impoverita, superata dal tenore di vita dei ceti medi di alcune nazioni europee”. Nella blogosfera specializzata il sorpasso cinese sul Pil è ridimensionato dai commenti che lo collocano nella sua giusta prospettiva: i grandi numeri della Cina sono legati alla stazza demografica; la Repubblica Popolare non è un modello in fatto di reddito pro capite, tuttora un quarto dei livelli americani. Il vero sorpasso che continua a dilaniare la società americana è quello “dell’un per cento”, cioè l’élite di privilegiati che dopo la Grande Recessione del 2008 hanno ripreso a staccare tutto il resto della popolazione, con incrementi di redditi che contrastano con il ristagno generale.
L’ascesa cinese fa capolino in una delle analisi più pessimistiche sullo stato dell’economia americana. E’ quella di Larry Summers, autorevole economista di Harvard che fu segretario al Tesoro di Bill Clinton e consigliere di Obama. Summers teorizza che l’America si trova in una «stagnazione secolare». La causa di fondo sarebbe la debolezza degli investimenti che non riescono ad assorbire il risparmio disponibile. L’insufficienza degli investimenti a sua volta sarebbe alimentata dalle diseguaglianze sociali: in un sistema dove il miglioramento di redditi e patrimoni è troppo concentrato su una piccola quota della popolazione, le imprese non hanno fiducia che la domanda crescerà in modo sufficiente a giustificare nuovi progetti. Proprio guardando all’ascesa della Cina, nel 2009 Obama aveva teorizzato un “pivot” strategico per mettere l’area dell’Asia-Pacifico al centro dell’attenzione. Ora lui sente il bisogno di un “pivot” strategico che rimetta al centro l’America stessa, i suoi problemi irrisolti, le ingiustizie e le arretratezze che ne minacciano
lo sviluppo futuro.
Federico Rampini