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 2014  maggio 01 Giovedì calendario

«DOLCE

& GABBANA HANNO EVASO IL FISCO». CONDANNATI A 18 MESI -
Non era proprio una mossa da «azienda moderna». E neppure «il principio sacrosanto della libera circolazione dei capitali nel mercato», come aveva sostenuto il sostituto procuratore generale di Milano, Gaetano Santamaria Amato, invocando l’assoluzione degli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana. L’operazione di cessione dello sfruttamento dei marchi D&G alla società lussemburghese Gado, agli inizi degli anni Duemila altro non è stato se non una “esterovestizione”. Un’operazione per esportare in un Paese dalla fiscalità più favorevole i proventi della casa di moda milanese.
Così, dopo oltre quattro ore di camera di Consiglio, la seconda Corte d’appello di Milano, presieduta da Laura Cairati, ha condannato a un anno e mezzo ai due stilisti di origine siciliana, concedendo loro solo uno sconto di due mesi rispetto al primo grado per via della prescrizione sulle fiscalità 2004-2005. Il totale sottratto al fisco italiano si è così attestato su una cifra vicina ai 200 milioni di euro di imponibile. La stessa pena degli stilisti è stata comminata al commercialista Luciano Patelli, mentre un anno e due mesi sono stati inflitti agli amministratori della Gado, Alfonso Dolce (fratello di Domenico), Cristiana Ruella e Giuseppe Minoni.
Rispetto al capo d’imputazione originario, l’evasione contestata ai due stilisti è scesa, complessivamente, dal miliardo ipotizzato dai pubblici ministeri Laura Pedio e Gaetano Ruta, ai 200 milioni di euro, perché in primo grado, gli imputati sono stati assolti dall’accusa di «dichiarazione infedele» dei redditi, per la fetta di evasione più corposa. A livello amministrativo, invece, gli imputati attendono l’esito del ricorso in Cassazione contro una sanzione che lo scorso anno in Appello è stata fissata a 343 milioni di euro dalla Commissione tributaria.
«Siamo senza parole, allibiti. Di certo ricorreremo in appello», hanno reagito al verdetto i legali degli stilisti, Massimo Dinoia e Armando Simbari. Gli avvocati, appena verranno depositate le motivazioni, hanno annunciato che ricorreranno in Cassazione. Stessa mossa che attuerà la difesa del commercialista. «Dimostreremo — hanno spiegato i legali Giuseppe Bana e Fabio Cagnola — che il progetto di riorganizzazione aziendale proposto da Patelli rispondeva a criteri di liceità, trasparenza ed effettività».
È stato un percorso accidentato quello che ha accompagnato l’inchiesta sulla “estero-vestizione” della D&G. La procura, davanti al gup, nell’estate 2011 si era vista respingere la richiesta di rinvio a giudizio con la formula «perché il fatto non sussiste». Soltanto la Cassazione aveva riaperto i giochi, dando ragione alla ricostruzione della procura milanese.