Michele Bocci, la Repubblica 1/5/2014; Vera Schiavazzi, la Repubblica 1/5/2014, 1 maggio 2014
ETEROLOGA, BOOM DOPO LA CONSULTA
(due articoli)-
Come una valanga. La sentenza della Corte costituzionale che il 9 aprile scorso ha cancellato il divieto di fecondazione eterologa previsto dalla Legge 40 ha fatto muovere le coppie che cercano un figlio ma non possono averlo senza l’aiuto di una terza persona. Dal giorno dopo la decisione, a centinaia si sono rivolte ai centri di procreazione medicalmente assistita, pubblici e privati, convenzionati e non. E tre settimane dopo, solo nella ventina di strutture che aderiscono a Cecos, tutte private, hanno contato 3.400 richieste. Nell’80% dei casi le coppie chiedono la donazione di ovuli femminili. Spesso si tratta di persone già conosciute dai centri, che magari erano sul punto di affrontare un viaggio all’estero. Ma il dato è sottostimato. «Possiamo ipotizzare che nel nostro Paese ci siano fino a 10-15mila coppie che desiderano fare l’eterologa», spiega Alessandra Vucetich dell’European fertility center di Milano e segretario di Cecos. «Prima di tutto dovremo leggere cosa c’è scritto nelle motivazioni della sentenza della Consulta. I centri comunque sono pronti». Il punto più delicato di tutta la vicenda riguarda la necessità o meno di interventi da parte del ministero, del Parlamento o delle Regioni per rendere possibile l’eterologa in Italia. Ci sono medici e avvocati convinti che non ci sia bisogno di alcun regolamento o legge, che basta fare riferimento a quanto avveniva prima della legge caduta a picconate.
Secondo altri invece devono in qualche modo essere regolate materie come l’anonimato del donatore. I figli conosceranno il nome dei genitori biologici? A che età? Va poi, ad esempio, sancita la gratuità della donazione e
deciso quante stimolazioni ormonali possono fare le donatrici. La stessa presidente di Cecos, la ginecologa fiorentina Elisabetta Coccia, dice che i centri, anche se già pronti, «non potranno partire se il ministero non darà indicazioni per chiarire il quadro di riferimento, delle linee guida chiare. A oggi non hanno risposto alla nostra richiesta di istituire un tavolo tecnico di confronto». Dal ministero alla Salute sottolineano ancora una volta che «saranno molti gli aspetti da regolare con diversi provvedimenti, amministrativi e legislativi». L’intenzione è quella di ascoltare gli operatori e i soggetti coinvolti.
«Tutto ciò andrà inserito in un quadro normativo, in cui saranno chiamati in causa non solo il ministero della Salute, ma anche il Parlamento e tutte le altre istituzioni interessate. Il ministero è pronto ad iniziare il lavoro, fin da quando sarà pubblicata la sentenza della Consulta».
Michele Bocci
QUI COPPIE IN FILA DAL MATTINO PRESTO». E UN CENTRO IN SICILIA È GIA’ RIPARTITO -
«Buongiorno signora, qui è il centro Hera di Catania. Ci siamo conosciute cinque anni fa. Abbiamo visto la foto delle bambine: come sono cresciute! Scusi, la disturbiamo per sapere se lei sarebbe disponibile a regalare i suoi ovociti, quelli congelati, a una donna che ne ha bisogno. Sì? Che bello, grazie, ci segniamo il suo nome». Telefonate come questa sono partite nei giorni scorsi dal centro siciliano, all’avanguardia nella fecondazione assistita in Italia anche prima che, il 9 aprile scorso, la Corte costituzionale cancellasse il divieto di fecondazione eterologa in Italia. E le prime dieci donne hanno già risposto «sì» con entusiasmo: vogliono regalare gli ovociti congelati, sono già diventate madri di bambini sani e vogliono offrire a un’altra donna, a un’altra famiglia, la stessa felicità. A Torino, invece, l’ospedale pubblico Sant’Anna, dove si fanno 650 cicli di fecondazione assistita ogni anno, ha pubblicato una circolare rivolta alle coppie che sperano nella sentenza, scrivendo la cruda verità: «Non sappiamo ancora se e che cosa potremo fare».
Cancellare un divieto, come ha fatto la Corte costituzionale, non significa regolare: «La Legge 40 è stata una sciagura, ma ci ha lasciato in eredità la più grande banca di ovociti del mondo — spiega il professor Antonino Guglielmino, alla guida di Hera — In Italia ci sono migliaia e migliaia di ovociti dei quali sappiamo tutto, compreso il fatto che i loro “gemelli” hanno funzionato, dando luogo alla nascita di bambini sani. Sono il primo punto dal quale partire per la fecondazione eterologa, e noi li abbiamo già a disposizione. Nel nostro centro lo stiamo facendo, chiamando a una a una le donne che li hanno lasciati qui perché non ne avevano più bisogno. Siamo i primi a essere stupiti dalla loro generosità». A Catania tutto è pronto, si aspetta solo il 5 maggio, o alla peggio il 19, quando verranno rese note le motivazioni della sentenza. In tutta Italia, sull’onda dell’aspettativa, le coppie si mettono in fila: «Ora possiamo sperare anche noi — racconta Sonia De Benvenuti, 37 anni, in lista d’attesa a Torino — Sono affetta da una disfunzione ovarica, fino a oggi tutti mi avevano fatto capire che la cosa migliore era andare in Spagna. Ma io non lavoro e mio marito non può fare assenze in ufficio. Se potessi fare la stessa cosa vicino a casa, la farei immediatamente». Al Sant’Anna di Torino le infermiere addette all’accoglienza prendono nota.
Scrivono su un foglio chi si presenta e perché, se era già venuto prima oppure no, qual è il problema. «Ci sono troppe cose ancora da chiarire — dice il professor Alberto Revelli, responsabile del programma nell’ospedale e consulente di Fivet, il centro convenzionato che realizza ottimi risultati in collaborazione con la Svezia, nonostante le Legge 40 — Oggi, le donne che si rivolgono a noi e che avrebbero bisogno di una fecondazione eterologa con gli ovociti di una donatrice sono circa 80 all’anno, il 10-15 per cento sui casi che trattiamo. Ma è lo Stato italiano a dover decidere: fino a che età praticare la fecondazione? La Spagna ha fissato un limite saggio, i 50 anni della donna, siamo d’accordo anche noi? E ancora: va mantenuta anonima o no l’identità di chi dona? Per gli uomini è facile, per le donne no: devono assumere farmaci per la stimolazione, poi sottoporsi a un intervento per prelevare gli ovuli. Nessuno lo farebbe gratis se non un’amica. Ma allora non è anonimo».
«Non ci importa chi dona e perché, siamo disposti a pagare il giusto — raccontano Alberto e Chiara, anche loro in coda al Sant’Anna — Il nostro problema è l’anemia mediterranea, non ci saremmo nemmeno dovuti sposare data la situazione. Invece lo abbiamo fatto e ora vogliamo un figlio, abbiamo 31 e 33 anni. I genitori, secondo noi, sono quelli che vogliono un bambino, quel bambino. Se qualcuno ci regala le cellule, diremo sempre grazie».
Fuori dall’ospedale, a Torino, in via Ventimiglia, il negozio di fiori continua a fare affari d’oro con le orchidee per le neo-mamme e i cuscinetti imbottiti col nome del bambino da appendere alla porta. Dentro, le coppie stanno in fila, sedute, perché questo è un bell’ospedale. E sperano che qualcuno risponda «sì, si può fare, tornate la settimana prossima con gli esami del sangue».
Vera Schiavazzi