Carla Massi, Il Messaggero 30/4/2014, 30 aprile 2014
«COSI’ HO FATTO GOL AL CANCRO»
Era Hulk trenta anni fa. E lo è ancora. Sorprendeva con il suo piede mancino. E sorprende ancora. Picchiava duro in campo. E picchia ancora. Sebino Nela, sponda giallorossa, della Roma campione d’Italia nell’83, si racconta con una timidezza che sembra fare a pugni con il suo fisico esplosivo. Con la sua irruenza e la sua determinazione. Parla del suo “incontro” con il cancro, del loro “campionato”, delle discese e delle risalite, della paura, della vittoria. Della forza che anima quel terzino. Sangue ligure, classe 1961.
«Niente vergogna, la mia storia può servire a tanti che hanno avuto la stessa malattia. A quelli che stanno lottando come ho fatto io». Ecco perché Sebino Nela è testimonial della campagna “La lotta al cancro non ha colore” organizzata dalla Fondazione “Insieme per il cancro” che, fino a domenica, raccoglierà fondi via sms (45594) con appello ai tifosi durante la partita di Coppa Italia Fiorentina-Napoli sabato all’Olimpico.
Un anno e mezzo fa la diagnosi e poi?
«È cominciata la partita. Era autunno, mi dissero che dovevo essere operato al colon. Fu mia moglie a spingermi a farmi visitare. Feci bene a darle retta. Non perdemmo tempo, a novembre era già fatto tutto. Pronto per iniziare le cure successive».
Vuol dire la chemioterapia?
«Sì, proprio quella. Giorni duri in cui devi convincerti che sei più forte dell’avversario. Io, d’altronde, sono sempre sceso in campo per vincere».
Qual è oggi il risultato?
«Oggi è 1 a 0 per me».
La sua tattica per batterlo?
«Prima di tutto ho studiato l’avversario, come si fa prima degli incontri. Volevo capire i suoi movimenti. Anche con il cancro si deve giocare d’anticipo. E poi mi sono imposto di non mollare, ho utilizzato la forza che mi è sempre venuta dal gruppo».
Gli amici le sono stati vicini? Gli oncologi dicono che l’aiuto degli altri è molto importante per superare i momenti neri, è vero?
«La mia famiglia, mia moglie e le mie due figlie sono state fondamentali. Poi gli amici, gli ex compagni di squadra. Ci sono stati. Ho recuperato il gruppo, il parlare, il raccontare. Ho anche scelto chi volere accanto».
La determinazione di Hulk, come la chiamavano i tifosi della Roma, quando è servita?
«Quando ho avuto paura. Per esempio nel momento in cui mi hanno detto quello che avevo. Non riuscivo a crederci. Perché, come molti sportivi, mi sentivo invincibile».
Ai familiari che cosa ha chiesto?
«Ho sempre evitato di farmi vedere troppo giù da loro. Ci ho provato ma, forse, non sempre ci sono riuscito. Ho cercato di nascondere».
Ha lavorato molto con la mente, la concentrazione. Lei stesso, in varie occasioni, ha detto che ha basato gran parte della sua carriera sulla testa. Anche per fronteggiare il cancro?
«Sì, un grande lavoro mentale. Fortunatamente amici, parenti e medici mi hanno capito. Ho cercato di trascurare il meno possibile il lavoro. Le telecronache, per esempio».
Torniamo alla paura, l’ha vinta o l’ha utilizzata per combattere e sudare?
«Ne ho avuta tanta, perché non dirlo? Ma poi, come ho imparato a fare con la squadra, ho trasformato l’ansia in rabbia, spinta, forza. Ho spinto finché ho potuto. Le prove da superare sono tante».
Possiamo parlare di un ostico “campionato”?
«Un campionato durissimo, ma in testa alla classifica ci sono io».
Lei, terzino sinistro fu spostato da Liedholm a destra e ce l’ha fatta alla grande. In questo suo segreto “campionato” che ruolo ha giocato?
«Sì, il Barone mi spostò e andò bene. Questa volta ho dovuto cambiare ancora. Non potevo che mettermi la maglia di attaccante».
Ma il cancro è anche difesa. Dal dolore, dalla tristezza, o no?
«Per questo ho parlato di determinazione. Sì anche difesa, anche se è un ruolo che non mi si adatta».
Perché ha accettato di essere testimonial della Fondazione “Insieme contro il cancro” e della campagna di prevenzione?
«Perché chi ha avuto la malattia sa raccontarla meglio e sa capire. È giusto sostenere una campagna in favore delle fasce più deboli del nostro paese. Far conoscere, per esempio, gli screening che ci sono».
Vuole convincere a farsi visitare anche chi ha paura?
«Già, quanti uomini hanno paura di andare dal medico».
Oggi lei è tornato a Trigoria, un’altra vittoria. Come diceva Venditti nella canzone che ha scritto per lei «Correndo, correndo», dove «...lo stadio si illumina a giorno un applauso ti farà»?
«Sì, correndo, correndo. Chissà».