Silvia Fumarola, la Repubblica 30/4/2014, 30 aprile 2014
MANFREDI 10 ANNI DOPO
[Intervista alla figlia Roberta] –
ROMA
«Questo era il rifugio di papà, qui veniva a scrivere e teneva le lezioni di recitazione con “le allieve”. Chiamiamole così: vigilesse, centraliniste del ministero». Seduta nella terrazza della bella casa all’Aventino dove è cresciuta, Roberta Manfredi sorride. «Le donne gli piacevano. Ero la figlia ribelle ma lo adoravo, ero gelosissima, con l’analisi ho capito un sacco di cose». Capelli rossi, ironica, la primogenita di Nino Manfredi racconta il padre, a dieci anni dalla morte — il 4 giugno del 2004 — mentre una rassegna organizzata dalla nipote Sarah Masten, Nino! porterà i film con Manfredi in giro per il mondo, da Los Angeles (il 9 maggio con la proiezione di Pane e cioccolata di Brusati) a New York, a Parigi, da Bologna a Venezia al suo paese, Castro dei Volsci, e naturalmente a Roma.
Roberta, ha scoperto che questo è un paese senza memoria?
«Lo sapevo, ma è bello far conoscere papà. Dal parrucchiere, una signora dice a un ragazzo: Roberta è la figlia di Nino Manfredi. Vuoto, come se avesse detto Pinco Pallo. Comincio a citare film, la pubblicità
del caffè “Più lo mandi giù più ti tira su”. Poi un flash: suo padre faceva Geppetto?».
Almeno si ricordava del Pinocchio di Comencini.
«Perché a casa avevano conservato il vhs. Non fermiamoci a papà: secondo lei i ragazzi sanno chi sono Enrico Maria Salerno, Tognazzi, Mastroianni? Ho i miei dubbi».
Suo padre ha girato film bellissimi: Il padre di famiglia, C’eravamo tanto amati, Riusciranno i nostri eroi..., Pane e cioccolata, Girolimoni: i suoi preferiti?
« Pane e cioccolata. Ma il film che mi commuove, sempre, è Una storia qualunque per la tv: su un uomo che, dopo 30 anni di carcere, va alla ricerca dei figli».
Come sceglieva?
«Si faceva pagare dalla pubblicità ma per un bel film lavorava anche gratis. Dopo Canzonissima del ’58 in cui faceva il barista di Ceccano, Carlo Ponti gli offrì un contratto calcando quel successo, titoli tipo Ninetto burino col carretto , lui rinunciò a tanti soldi. E all’epoca eravamo poveri, avevamo le cassette della frutta come comodini. La professione era sacra».
Quando ha capito che era un attore famoso?
«A scuola. Venivano le commissioni esterne e mi chiamavano: “Lei è la figlia di Manfredi ”. Mi dicevo: papà deve essere importante. Mai venuto a parlare con gli insegnanti».
A casa com’era?
«Severo, ma simpatico. Sul cibo non transigeva. Era figlio di contadini, non si buttava niente. Mio fratello rimase davanti a un piatto di bollito dal pranzo alla cena. Lo contestavo, sono pure andata via di casa. Da ragazza mi fidanzai con Alan Sorrenti, che si presentò da papà offrendogli uno spinello. Lui si girò: “Robè, stavolta ti gonfio”. Mi vietò di frequentarlo, e io decisi che era il mio grande amore».
Però diceva sempre: «Io e mia figlia siamo uguali».
«È vero, siamo simili. Eravamo complici ed ero gelosissima di mia madre. Papà amava la gente semplice e aveva la dote dell’empatia: credo sia stato l’attore più invitato ai matrimoni e ai battesimi. Era simile a Mastroianni, recitava con naturalezza, senza vanità. Non frequentava gli attori: l’amico più caro era un geometra del Comune di Roma, Claudio Gatto, papà del musicista Roberto. Ho ricordi belli, peccato che gli ultimi anni siano stati difficili».
Perché?
«Con l’avanzare dell’età papà era depresso, cala il testosterone e gli uomini entrano in crisi. Era legatissimo alla famiglia ma è stato un tombeur de femmes, aveva avuto problemi ai polmoni e fumava, forse col sesso esorcizzava la morte. Ogni tanto mamma lo cacciava: dal piano terra veniva su, in questa casa. Sono rimasti insieme tutta la vita».
Poi quando era ricoverato in ospedale è arrivata la figlia dalla Bulgaria, Tonina.
«Abbiamo scoperto così di avere una sorella. Che dire, è stato un colpo, siamo andati insieme dal notaio, è entrata nell’asse ereditario. Gli ultimi mesi di vita di papà sono stati un calvario: non potevo accettare di vederlo tracheotomizzato, prigioniero del corpo. Avevo tre bambini, stavo crollando, il medico mi proibì di andarlo a trovare. Dobbiamo essere padroni di noi stessi, per questo sono per il testamento biologico ».
Silvia Fumarola, la Repubblica 30/4/2014