Liana Milella, la Repubblica 30/4/2014, 30 aprile 2014
FINO A 10 ANNI FA PIÙ DIFFICILE EVITARE LA DETENZIONE
ROMA.
Sì a Forlani. No a Pillitteri. Sì a Tassan Din. No a Cusani. No a Schemmari. E no pure a Gorrini. Grosso modo 15 anni fa, ma a confrontare con quella di Berlusconi le vecchie concessioni, o negazioni, di affidamento ai servizi sociali pare che l’istituto stesso, vecchio del 1975, abbia subito una rivoluzione interpretativa. In senso estremamente buonista. Siamo sempre a Milano. Nelle stesse stanze del tribunale di sorveglianza. Ma i criteri di allora e di oggi appaiono quantomeno contraddittori, se non contrapposti.
Ve lo ricordate Arnaldo Forlani, l’ex segretario della Dc, interrogato dall’allora pm Di Pietro nel processo Enimont? È l’autunno del ’99 quando chiede di essere affidato ai servizi sociali. Non ha risarcito i danni (Berlusconi lo ha fatto) e chiede di prestare opera di volontariato nella comunità di S. Egidio. Dopo un braccio di ferro con la Cassazione, il giudice Maccora dice sì, ma con una clausola perentoria: alla fine del percorso, dovrà effettivamente dimostrare di aver cambiato vita. Va peggio all’ex sindaco di Milano, il socialista Paolo Pillitteri. Sta male, ed è in carcere. Il giudice Brambilla tratta il caso. Gli concede i domiciliari, ma gli nega l’affidamento ai servizi. Motivazione secca. Quel beneficio — che lo spirito della legge Gozzini riservava inizialmente ai poveracci, ma che con i casi Tanassi 1979) e Longo (1992) viene concesso impropriamente pure ai colletti bianchi — il 3 aprile ‘97 viene negato «a chi non ha dato alcuna prova di un effettivo processo di revisione critica della sua condotta delittuosa».
Il 10 luglio ’98 stesso niet per Attilio Schemmari, ex assessore all’urbanistica del Comune di Milano arrestato nel ’93 per corruzione. Sempre Maccora elenca le ragioni: la mancata resipiscienza rispetto al reato commesso, il mancato risarcimento del danno, ma soprattutto la commissione di ulteriori illeciti e l’assenza di un’attività lavorativa differente rispetto a quella del momento del crimine. Dunque bisogna cambiare vita. Come ha fatto Bruno Tassan Din (concorso in bancarotta fraudolenta ai danni Banco Ambrosiano) che il 29 maggio ’97 ottiene l’affidamento perché ormai vive a Venezia, si occupa di arte, «non ha commesso altri fatti illeciti». Sorte opposta tocca a Sergio Cusani, il protagonista ed inventore della maxi tangente Enimont. Con lui i giudici sono particolarmente severi. Il 23 luglio del ’97 gli negano l’affidamento perché «da nessuno degli atti acquisiti né dalle dichiarazioni rese in udienza risulta un’esplicita presa di distanza dal proprio passato criminoso». Non si può «negare un percorso di recupero», soprattutto in carcere, ma durante il processo di appello «ha fatto dichiarazioni spontanee suonate come messaggi trasversali». E poi, nelle sue dichiarazioni, non c’è «alcuna revisione critica». Giusto quello che succede a Giancarlo Gorrini, l’assicuratore che accusò anche Di Pietro. I giudici gli contestano di continuare ad affermare «la sua estraneità alla commissione dei fatti contestati, il diniego dell’esistenza e della fraudolenza dei mezzi utilizzati ». Fatti giudiziari che parlano da soli rispetto alla storia di Berlusconi.
Liana Milella, la Repubblica 30/4/2014