Alberto Crespi, l’Unità 29/4/2014, 29 aprile 2014
LA MIA RESISTENZA – [È NATO UN NUOVO SCRITTORE: GIULIO QUESTI, 90 ANNI]
FRA UN ANNO ESATTO IL 25 APRILE «COMPIRÀ» 70 ANNI, E CHIUNQUE ABBIA COMBATTUTO NELLA RESISTENZA SARÀ VICINO AI 90, SE NON OLTRE. L’idea di scoprire, oggi, una nuova voce capace di raccontare quei giorni accoppiando la profondità della memoria alla forza dello stile potrebbe sembrare pura utopia. Eppure è successo, Il volume di racconti Uomini e comandanti, pubblicato in questi giorni da Einaudi (190 pagine, 18 euro), è a tutti gli effetti una rivelazione, forse «la» rivelazione letteraria dell’anno. Lo scrittore ha, appunto, 90 anni ed è venuto allo scoperto solo ora. Ma dal punto di vista, diciamo così, «esistenziale» la rivelazione è tale solo per chi non lo conosceva.
Giulio Questi – di lui stiamo parlando – è un regista cinematografico e televisivo che i lettori dell’Unità conoscono bene. Ha diretto tre lungometraggi (Se sei vivo spara. La morte ha fatto l’uovo. Arcana), una consistente mole di telefilm (alcuni sceneggiati con una ex firma di questo giornale, David Grieco) e alcuni cortometraggi, raccolti nella silloge By Giulio Questi (dvd edito da Ripley) che nel tempo sono diventati veri e propri oggetti di culto. È stato anche, in casi isolati e abbastanza eccentrici, un attore: lo si vede in La dolce vita di Fellini (é il nobile che balla guancia a guancia con Nico, futura cantante dei Velvet Underground) e in Signore e signori di Germi. Gli amici sapevano da sempre che Giulio, da ragazzo, aveva militato in diverse formazioni partigiane sulle montagne sopra Bergamo, la città dov’è nato e cresciuto. Alcuni di loro avevano sentito i suoi racconti orali su quell’esperienza; e pochissimi, più cari di altri, avevano avuto l’onore di leggere alcuni racconti scritti nel corso degli anni e «pubblicati» in un’edizione squisitamente casalinga: «Ho cominciato a scrivere sulla Resistenza subito dopo la fine della guerra – ci dice Questi – e nel ’47 un mio racconto, La cassa, fu pubblicato sul Politecnico di Vittorini. Ho continuato nel corso degli anni, ma solo per mantenere viva la memoria dentro di me: scrivevo per me stesso. Quei due inverni in montagna, tra i 19 e i 20 anni (Questi è del ’24, ndr), sono stati il mio romanzo di formazione: ho sempre sentito il bisogno di non perdere quei ricordi. Poi, un giorno, ho scoperto il computer».
Piccolo passo indietro: Questi non ha mai smesso di essere un esploratore, nell’arte e nella vita. L’altro suo romanzo di formazione, dopo la guerra partigiana, è stato il periodo in Colombia, dove ha conosciuto Gabriel García Marquez (in Uomini e comandanti è protagonista dell’ultimo racconto, intitolato Caribe) ed è vissuto tra gli indios, in condizioni estreme che gli ricordavano proprio gli inverni trascorsi in montagna. Come regista, è rifiorito con la scoperta della videocamera digitale. Il computer, per lui, è invece un prezioso strumento mnemonico: «Potevo tenere i racconti tutti insieme, modificarli, impaginarli, stamparli. Sono diventato un virtuoso del copia & incolla. Le prime copie dei racconti le ho fabbricate letteralmente io, con tanto di colla riga e taglierino, e le he regalate. Una è finita all’Istituto della Resistenza di Bergamo, diretto da uno storico che poi è diventato mio amico, Angelo Bendotti (firma la postfazione del libro, ndr). L’hanno letta prima Giovanni De Luna; poi Sergio Luzzatto. È stato lui a portarli da Einaudi, gliene sarò sempre grato, lo ringrazio pubblicamente anche se non ho ancora avuto modo di incontrarlo, succederà. Il giorno che mi hanno telefonato da Einaudi per propormi la pubblicazione pensavo ad uno scherzo».
Altro che scherzo: il libro ora esiste, ed è un libro straordinario. Non solo per la vivida forza degli eventi raccontati, quasi tutti visti e vissuti di persona. Ma per lo stile. Questi scrive benissimo, con una limpidezza scabra degna di Calvino (e lontana, per immediatezza, dallo stile espressionista di Fenoglio, che pure adora). Di più: Questi scrive meglio oggi di allora. Il racconto che apre il volume – Il roccolo – è del 1990 ed è incredibilmente più potente di La cassa (1947) o di Tre volontari (1949), i più antichi. Il «roccolo» – i non lombardi sono autorizzati a non saperlo – è una struttura costruita per l’aucupio, che a sua volta è la caccia a uccelli di piccola taglia con uso di richiami detti «zimbelli». Solitamente è una sorta di piccola torre, circondata da alberi e posizionata in una radura. Nel brevissimo racconto (9 pagine) è l’estremo rifugio di un partigiano in missione, che vi si rifugia per la notte credendolo disabitato. Invece vi trova un montanaro selvaggio che vive assieme a una quantità industriale di uccelletti chiusi in gabbia (i richiami, appunto).
La mattina dopo, prima che il partigiano se ne vada, l’uomo mette in atto la sua strategia: cattura un nugolo di storni, un altro di crocieri; scende nella radura, li toglie dalle reti e in modo metodico, come espletando un compito ancestrale, li uccide uno per uno schiacciando loro la testa con le dita. Disgustato da tanta brutalità, il giovane partigiano riparte e porta alla brigata la triste missiva di cui è latore: la condanna a morte di tre (presunti?) traditori.
«Sì, pietà era morta, da quelle parti»; con questa citazione dalla famosa canzone scritta da Nuto Revelli, Questi chiude un racconto che è narrato come un horror e costruito come la potentissima metafora di una guerra senza quartiere. È ufficiale: l’Italia ha un nuovo, grande scrittore, anche se la definizione – quanto quella di «regista» – a Questi non piace: «Detesto le professioni. Chi si definirebbe “scrittore” sulla carta d’identità?».