Paolo Mastrolilli, La Stampa 30/4/2014, 30 aprile 2014
IL BASKET USA CACCIA IL MILIARDARIO
CHE NON VOLEVA I NERI ALLE PARTITE
Bandito a vita dall’Nba, multato, e costretto a vendere la squadra. Il mondo del basket non perdona Donald Sterling, proprietario dei Los Angeles Clippers, per le sue dichiarazioni razziste. Vuole cacciarlo, perché se restasse al suo posto la stessa lega rischierebbe la sopravvivenza. Così ha deciso il nuovo commissioner dell’Nba, Adam Silver, dichiarando ieri guerra al miliardario ottantenne.
Lo scandalo era esploso la settimana scorsa, quando il sito di gossip Tmz aveva pubblicato la registrazione di una lite fra Sterling e la sua fidanzata, la giovane modella nera e ispanica V. Stiviano. Donald era infuriato, perché la ragazza si era fatta fotografare con l’ex campione dei Lakers Magic Johnson, e poi aveva messo lo scatto su Instagram: «Puoi fare quello che vuoi coi neri, anche andarci a letto. Però non pubblicizzarlo, e non portarli alle mie partite».
Peggio di così non si poteva andare, in un campionato dove il 76% dei giocatori sono neri, così come buona parte del pubblico pagante. Stiviano non è una santa, infatti la ex moglie di Sterling le aveva appena fatto causa, per recuperare regali per 2,5 milioni di dollari che Donald le aveva fatto, inclusa una Ferrari, due Bentley e un appartamento a Beverly Hills. Qualunque fosse il motivo della registrazione, però, la Fama si era messa a correre e fermarla era impossibile. «Nella lega non c’è posto per uno come lui», aveva sentenziato LeBron James, campione in carica. «Ignorante e razzista. Sospetto che l’Nba agirà», aveva aggiunto il presidente Obama.
Il nuovo commissioner Silver, in carica da appena tre mesi, ha capito che non c’era via d’uscita. Ha avviato un’inchiesta per dare a Sterling la possibilità di difendersi e accertare che la voce nella registrazione fosse proprio sua. Nel frattempo i giocatori dei Clippers hanno iniziato a protestare, scendendo in campo con le maglie alla rovescia, ma soprattutto gli sponsor sono scappati, annullando uno dopo l’altro i contratti con la squadra di Los Angeles.
A quel punto Silver si è trovato davanti al rischio di distruggere l’Nba, perdendo i giocatori, il pubblico, gli sponsor e la faccia. Ha sentito gli altri proprietari, che secondo le regole della lega devono approvare l’espulsione di un loro collega con una maggioranza di almeno tre quarti dei voti, e ha capito che erano divisi.
Mark Cuban, il patron di Dallas, aveva messo in guardia da «un precedente pericoloso», per paura che in futuro altri vengano costretti a vendere. I proprietari sono divisi in due gruppi: i vecchi, come Sterling, che hanno comprato le squadre a quattro soldi quando l’Nba era quasi fallita, e ora hanno marchi che valgono anche cinquanta volte il prezzo pagato; e i giovani, come Cuban, che invece hanno speso un occhio e non vogliono correre il rischio di perdere i loro investimenti. I primi ci possono pure stare, ad uscire, perché incasserebbero profitti enormi, ma per i secondo sarebbe un disastro.
Silver però si è convinto che aveva abbastanza voti per cacciare Sterling, anche perché l’alternativa era un’enorme crisi di immagine dell’Nba, che avrebbe portato a un deprezzamento delle squadre dannoso per tutti. Quindi ha deciso: bando a vita, multa da 2,5 milioni, e deferimento al board della lega per costringerlo a vendere.
Qui il 75% degli altri proprietari dovrà votare in favore, ma questo sarà solo l’inizio. È vero, infatti, che Donald pagò la squadra 12 milioni, e ora potrebbe rivenderla ad almeno 600, forse un miliardo. Finora però ha detto che non vuole farlo, e la società ha risposto mettendo questa scritta sul sito web: «We are one», siamo uniti.
Sterling dunque può fare causa e resistere, ma scatenando la guerra atomica nell’Nba.