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 2014  aprile 29 Martedì calendario

«È GRAVEMENTE MALATO» NICOLA MUORE IN CELLA ASPETTANDO I DOMICILIARI


Nicola era cardiopatico e obeso, centoquaranta chili per un metro e mezzo di altezza e sofferenze. Una fatica muoversi, una dannazione respirare, figuriamoci vivere dietro le sbarre di un carcere. Anche se si chiama casa circondariale ed è una struttura a custodia attenuata perché ospita quasi esclusivamente detenuti tossicodipendenti. Per questo Nicola Sparti, trentaquattro anni e una condanna a otto, di notte in cella aveva bisogno di un ventilatore polmonare, la vita aggrappata alle contrazioni dei muscoli indotte meccanicamente. Impossibile vivere così dietro le sbarre, per questo Nicola e la sua famiglia avevano chiesto la detenzione domiciliare, per questo per ben due volte il personale sanitario della struttura di Giarre, in provincia di Catania, aveva certificato l’incompatibilità delle sue condizioni con la vita carceraria. «Gravi motivi di salute», c’è scritto su quei certificati che domani il Tribunale di Sorveglianza avrebbe dovuto valutare per decidere se rimandarlo a casa. Parole che suonano come una beffa oggi che Nicola dal carcere è uscito cadavere e che il suo corpo è a disposizione della procura di Catania nella morgue dell’istituto di medicina legale dell’ospedale Garibaldi.
Sarà un’autopsia a stabilire quello che è successo la notte fra il 24 e il 25 aprile, prima che gli agenti della polizia penitenziaria passassero per la sua cella per il controllo di routine verso le sei del mattino. A quel punto Nicola forse era già morto. Un arresto cardiaco, hanno azzardato i medici del 118 arrivati per tentare di rianimarlo e tornati indietro con il cadavere coperto da un lenzuolo sulla barella. Un malore durante la notte e Nicola è morto da solo senza che nessuno si accorgesse di quanto stava accadendo. «Il detenuto – spiegava ieri in una nota il Sappe, sindacato di polizia penitenziaria – era presente nella sezione a custodia attenuata, dove un solo agente controlla stabilmente 80/90 detenuti». «Questa morte, ancorché dovuta a cause naturali, deve fare riflettere sulla drammaticità delle attuali condizioni penitenziarie – accusa il segretario del Sappe Donato Capece – Persone disagiate, poveracci, che probabilmente mai godranno di interessamenti istituzionali autorevoli per le loro condizioni di vita in cella». «Negli ultimi vent’anni – ha ricordato Capece – gli agenti penitenziari hanno salvato la vita ad oltre 17.000 detenuti che hanno tentato il suicidio e ai quasi 119.000 che hanno posto in essere atti di autolesionismo, molti deturpandosi anche violentemente il corpo. Numeri su numeri che raccontano un’emergenza purtroppo ancora sottovalutata, anche dall’Amministrazione penitenziaria».
Una situazione che è comune alla Sicilia come a tutto il resto d’Italia. Lo sa bene Salvo Fleres, ex senatore che in passato ha presentato numerose interrogazioni parlamentari sulle gravi carenze di organico della struttura di Giarre. Lo sa bene, soprattutto, perché Fleres è stato anche l’ultimo garante dei diritti dei detenuti della Sicilia prima che l’ufficio venisse «congelato» circa otto mesi fa «lasciando privi di assistenza – spiega – tra i 6500 e i 7000 detenuti». «La struttura di Giarre ha una trentina di anni, non è particolarmente vecchia – spiega Fleres – è dotata delle strutture necessarie per il recupero, ha una serra oltre a laboratori e campo sportivo. Se fosse opportunamente sostenuto potrebbe fornire una prospettiva molto interessante per il futuro ai detenuti che ospita». Solo che a Giarre come ovunque in Italia, i problemi delle carceri sono sempre gli stessi: sovraffollamento, carenza di fondi e organici di polizia penitenziaria ampiamente scoperti. Una situazione che a Giarre si ripropone da anni al punto che anche quattro anni fa il Sappe scrisse (per l’ennesima volta) alle autorità regionali per chiedere di «valutare la possibilità di adottare interventi che si ritengono urgenti, al fine di garantire quel minino di sicurezza che non sarà più possibile assicurare qualora la situazione rimarrebbe quella attuale». E la situazione, invece, è addirittura peggiorata con la chiusura dell’ufficio del Garante dei detenuti. Per questo, oggi, Fleres non si dà pace: «Mi risulta che negli uffici di Catania e di Palermo giacciono inevase oltre mille lettere di altrettanti detenuti e non escludo che fra queste non vi sia una richiesta di aiuto, un appello, da parte di questo ragazzo di Giarre», dice. «La responsabilità morale di qualunque cosa accada di irregolare nelle carceri siciliane in questo momento – conclude – è di chi permette che questo ufficio non abbia avuto il proseguo di attività che svolgeva».