Mattia Feltri, La Stampa 30/4/2014, 30 aprile 2014
DANTE, HITLER E MARX LA CAMPAGNA ELETTORALE
CHE RISCRIVE LA STORIA –
La storia, si diceva, non ci insegna nulla, il che rischia di accadere soprattutto se non la si conosce. Oppure se la si maneggia con la disinvoltura un po’ gaglioffa delle campagne elettorali, e allora si apprende, secondo le lezioni più recenti del capo di Forza Italia, che per i tedeschi «i campi di concentramento non ci sono mai stati». L’accuratezza e la pertinenza delle citazioni berlusconiane è uscita prepotente ieri quando, per tratteggiare un profilo psicologico di Beppe Grillo, la frase impegnata è stata la seguente: «Gli italiani devono imparare ad avere paura perché Grillo, lo si vede anche dal modo in cui organizza la sua setta, mi fa ricordare personaggi come Robespierre oppure Marx e Lenin. Grillo è il prototipo di questi signori, Hitler compreso». La vastità dei riferimenti probabilmente non aiuta a precisare il concetto partorito da Silvio Berlusconi, ma del resto l’obiettivo suo non è di contribuire all’elevazione delle materie umanistiche, piuttosto di dare fuoco a quel pagliaio che è il suo elettorato. Il quale ha sull’anima l’Euro e la Germania di Angela Merkel e del quale si deve evitare il passaggio al Movimento cinque stelle.
La via storiografica al consenso è una vecchia abitudine dell’ex premier, ma buon discepolo è il medesimo Grillo, talvolta in modi persino più goffi perché Grillo non possiede quella noncuranza con cui Berlusconi pronuncia le più spettacolari enormità. Grillo ha l’aria di quello che ci crede, va in Sicilia e ai siciliani offre un revisionismo su misura: «La mafia non ha mai strangolato i suoi clienti, si limita a prendere il pizzo. Ma qua vediamo un’altra mafia che strangola la sua vittima (i partiti, ndr)»; oppure va in Veneto e riassume il millenario splendore della Serenissima, in un Europa che ribolle di secessionismo da Trieste alla Catalogna fino in Scozia. A ogni occasione c’è la pagina giusta del manuale per cui il medesimo Grillo ieri ha ripetuto (dopo le polemiche di lunedì) la definizione data dei sindacati - «peste rossa» - che ricalca un canto delle Ss: «Abbiamo già combattuto molte battaglie / A sud nord est e ovest / E ora siamo pronti per l’ultima lotta contro la peste rossa». La prima volta fu forse un caso. Un po’ gaffe, un po’ opportunismo: la storia è così, è plastilina. Durante la campagna elettorale delle scorse politiche, Grillo citò Simone Weil e il suo Manifesto per la soppressione dei partiti politici a sostegno della sua teoria di democrazia diretta, cioè di parlamentari esecutori della volontà popolare; in realtà Simone Weil, terrorizzata dalle dittature in nome delle masse, diceva l’opposto: ogni parlamentare deve rispondere soltanto alla sua testa e alla sua coscienza. Ma non sarà mica un problema? Potrà mai esserlo per uno - Grillo, che si dichiarò «conservatore rivoluzionario» - magari persuaso di aver coniato un bell’ossimoro - ignorando che fra le due guerre i conservatori rivoluzionari ispirarono Adolf Hitler.
Ecco sì, un po’ strafalcione e un po’ doppio gioco. Matteo Renzi pare averne compreso i rischi e sta più attento. Fu proprio un «errore di confusione», come disse lo stesso Renzi (ma anche un errore di asineria), collocare la battaglia di Gavinana in un omonimo rione fiorentino anziché sulle colline di Pistoia. Erano tempi di imprudenze, e Renzi riuscì a dire che «Dante era di sinistra» e saltò su Agnese, la moglie, a rimettere le cose a posto: «Dante era un conservatore». Così oggi il presidente del Consiglio si trattiene dall’accostare i rivali ai peggio capoccioni del Novecento, ché oltretutto stabilire paralleli fra Berlusconi e Benito Mussolini o fra Grillo e Pol Pot non provoca più nemmeno mezzo brivido. E però qualche furberia non se la nega neppure lui: il 25 aprile ha salutato l’Italia dall’alba con un tweet sui partigiani, «i ribelli di ieri», sottintendendo per sé il ruolo di ribelle di oggi, e restituendosi una dimensione di sinistra tanto utile con quella fama di essere un neoberluschino; così come nel 2009, appena prima dell’elezione a sindaco, disse che sarebbe andato a pregare sulla tomba di Giorgio La Pira - il più amato sindaco del Novecento fiorentino - di modo da procacciarsi un adottante inconsapevole ma prestigiosissimo.