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 2014  aprile 30 Mercoledì calendario

«L’incendio è circoscritto ma per domare gli ultimi focolai nel Pd ci vuole ancora un po’ di tempo», azzarda l’ex governatore della Toscana Claudio Martini che all’assemblea dei senatori democratici ha svolto insieme ad altri il ruolo del pompiere

«L’incendio è circoscritto ma per domare gli ultimi focolai nel Pd ci vuole ancora un po’ di tempo», azzarda l’ex governatore della Toscana Claudio Martini che all’assemblea dei senatori democratici ha svolto insieme ad altri il ruolo del pompiere. Però è stato abile, e stavolta prudente, il segretario Matteo Renzi che ha voluto alternare concessioni e toni molto decisi: «Se non si trova un punto comune sono pronto a fare un passo indietro. A tutti i costi non ci sto...». Eppure il premier in versione più soft è riuscito quasi a convincere l’intero gruppo parlamentare a correggere il tiro sulla riforma del Senato. Un aggiustamento in corso d’opera ottenuto grazie anche a un atteggiamento decisamente più elastico mostrato in commissione dal ministro Maria Elena Boschi (Riforme) rispetto ai tempi e contenuti del testo. Il presidente del Consiglio, che della corsa impressa al disegno di legge governativo sulla riforma del Senato e del Titolo V della Costituzione (federalismo) ha fatto una bandiera, si è infatti convinto che il primo voto sul testo arriverà solo il prossimo mese. Dopo le elezioni europee del 25 maggio: «Siccome la polemica era che l’iniziativa aveva solo un fine elettorale, vi mostriamo che non è così e arriviamo al 10 giugno per il voto in prima lettura. Per quindici giorni in più nessuno si scandalizzerà...». Invece, sul nodo del Senato non più eletto direttamente dagli italiani proposto da Renzi, «la palla è stata momentaneamente lanciata in tribuna», per usare le parole del senatore Miguel Gotor (Pd). Per aggirare l’insidioso fronte interno guidato da Vannino Chiti, che ha raccolto ben 37 firme trasversali intorno alla sua proposta di Senato eletto a suffragio universale, Renzi ha sparigliato: proponendo che saranno le singole Regioni a decidere, ognuna a modo suo, come eleggere i rappresentanti da inviare al Senato delle autonomie. La proposta di Renzi, che vuol dire rinviare il problema al giorno della presentazione del testo base in commissione (slitta da oggi al 6 maggio), è stata sostanzialmente accettata da tutte le componenti del Pd. E lo stesso Chiti ammette che le distanze si sono accorciate: «Ci sono punti significativi di avvicinamento anche sul rafforzamento del ruolo del Senato come funzione di controllo» ma «serve una approfondita riflessione sull’elezione dei senatori». E lo stesso Gotor, bersaniano, dice che l’accordo potrebbe cadere sul modello francese: «Senatori eletti indirettamente da un’assemblea di sindaci, consiglieri regionali e deputati eletti nella Regione». Risolto (quasi) il dissenso interno al Pd, il problema per Renzi ora scoppia in casa di Forza Italia. Renato Brunetta parla di «spot del governo che fa acqua», Paolo Romani di «testo inaccettabile», Augusto Minzolini di «soluzione pasticciata». Forse è solo tattica pre elettorale perché i dettagli del nuovo Senato verranno definiti solo dopo le Europee. Quando si riaprirà anche il capitolo della legge elettorale: «L’Italicum introduce per la prima volta il ballottaggio che fa chiarezza», ha detto il premier ai senatori del Pd lasciando intendere però che anche sulle soglie (sbarramento e premio di maggioranza) il tempo della trattativa non è mai tramontato.