Emilio Carnevali, pagina99 26/4/2014, 26 aprile 2014
L’AFFOLLATA SOLITUDINE DI CAFFÈ
La solitudine: struggimento emotivo, rivendicazione ideologica, orgoglio accademico, sospensione esistenziale. Qualunque fosse la sua intima e imperscrutabile curvatura, la condizione della solitudine viene evocata immancabilmente quando si torna a parlare della figura di Federico Caffè.
Sarà perché ad essa ci conduce la complessa trama della sua tragica sparizione, avvenuta esattamente 27 anni fa (15 aprile 1987). Sarà perché La solitudine del riformista è fra i più celebri e potenti dei suoi scritti divulgativi: «Il riformista è ben consapevole di essere costantemente deriso da chi prospetta future palingenesi», si leggeva in quell’articolo pubblicato su il manifesto il 29 gennaio 1982. Dall’altra parte, «essendo generalmente uomo di buone letture, il riformista conosce perfettamente quali lontane radici abbia l’ostilità a ogni intervento mirante a creare istituzioni che possano migliorare le cose».
Sarà, infine, per il titolo di quel bellissimo libro che qualche anno fa gli dedicò Ermanno Rea: L’ultima lezione. La solitudine di Federico Caffè, scomparso e mai più ritrovato (Einaudi).
Eppure, mai come di questi tempi suona beffarda e paradossale questa categoria limitrofa ad una sentenza di condanna, come se un rattristato e caparbio destino si fosse incaricato di affollare il ricercato oblio di Caffè con una grande e rumorosa massa di presenze.
Poche figure intellettuali del Novecento, infatti, possono rivendicare una discepolanza numerosa e influente come quello cui ha dato luogo il suo magistero. «Eccoli, i libri che non ho scritto», amava ripetere Caffè guardando i suoi studenti.
Fra di essi ritroviamo diversi esponenti di vertice di alcune delle più importanti istituzioni economiche e finanziarie dei nostri giorni. Altro paradosso per un economista controcorrente, appassionato polemista di un giornale molto schierato a sinistra come il manifesto, che tuttavia ha sempre insegnato ai suoi studenti a coltivare l’esercizio del dubbio, a comprendere i punti di vista differenti dal proprio. Un atteggiamento pedagogico così descritto dal presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, che con Caffè si è laureato nel 1970 all’Università La Sapienza di Roma discutendo una tesi intitolata Integrazione economica e variazioni dei tassi di cambio: «Un maestro, dice Eco, “insegna che ciascuno deve diventare qualcosa di personale e di diverso”. Il Professor Federico Caffè, pur con una visione coerente e radicate convinzioni, fu un maestro. Ai suoi allievi ha insegnato a pensare con la propria testa, non ha trasmesso un credo vincolante. Ha aiutato i suoi studenti – scienziati dell’economia, pensatori, servitori dello Stato e delle Istituzioni, cittadini consapevoli – a scoprire se stessi». Frasi in qualche modo simili a ciò che disse l’economista marxista Paul Sweezy sul suo autorevolissimo (e assai conservatore) professore, Joseph Shumpeter, del quale fu assistente all’Università di Harvard: «Non gli importava cosa pensavamo, purché pensassimo».
Tutto ciò spiega la distanza che talvolta si è frapposta fra le posizioni del “maestro” Caffè e quelle di diversi fra i suoi più brillanti e intelligenti allievi. Basti pensare alle recenti esternazioni dello stesso Draghi su un modello sociale europeo ormai “superato” e alle sue raccomandazioni – dirette ai Paesi più deboli dell’eurozona per un deciso consolidamento fiscale, da condurre privilegiando privatizzazioni e tagli alla spesa pubblica rispetto ad aumenti delle tasse. L’approccio di Caffè a questi temi era decisamente più cauto: «Io non sono certamente un fautore del disavanzo e delle società pubbliche con i libri in rosso», ebbe a dire una volta il professore. «E tuttavia mi chiedo che cosa può importare se determinati servizi siano o non siano in pareggio. Ricordo che i contadini dei Colli, a Pescara, quando si recavano a Porta Nuova, o per portare le loro merci o per fare altre commissioni, si toglievano le “ciambelle” e se le mettevano sul capo... Andavano a piedi nudi per risparmiare le scarpe. Ora, quando torno, vedo che queste persone prendono gli autobus e vanno anche in colline più lontane, fino a San Silvestro. Ecco, questo è un indice di civiltà, di benessere. Quando si attaccano i servizi sociali non ci si rende conto del guadagno realizzato da tutta la collettività».
Viene da domandarsi quale giudizio formulerebbe oggi di fronte alle politiche di austerità con le quali l’Unione europea ha risposto alla più grande crisi economica dai tempi della Grande Recessione degli anni Trenta. D’altra parte, se il potente capo della Bce è un suo ex allievo, lo è anche uno degli esponenti della formazione politica più radicalmente critica nei confronti degli attuali vertici delle istituzioni europee, quella guidata dal leader della sinistra greca Alexis Tsipras. Sotto le insegne della lista “L’Altra Europa. Con Tsipras” è infatti candidato alle prossime elezioni europee Felice Roberto Pizzuti, professore di Politica economica presso la Facoltà di Economia dell’Università di Roma La Sapienza.
Solo poche settimane fa, anche l’attuale governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha ricordato il professor Caffè intervenendo ad un convegno in memoria di Guido Carli: «Il 31 maggio del 1971 sostenni l’esame di Politica Economica, alla Sapienza di Roma, con Federico Caffè», ha raccontato. «Il corso era stato così coinvolgente, per la passione civile di Caffè, per l’attualità e rilevanza dei temi trattati, che al suo termine non ci si poteva non interrogare su come contribuire a migliorare le condizioni economiche e sociali del nostro paese».
Un altro allievo assai noto è Enrico Giovannini, presidente dell’Istat dal 2009 al 2013 prima di diventare ministro del lavoro nel governo guidato da Enrico Letta. Nel governo precedente, quello presieduto da Mario Monti, era invece sottosegretario all’economia Vieri Ceriani, laureatesi con Caffè nel 1974 e poi entrato nel Servizio Studi di Banca d’Italia.
Numerosissimi sono inoltre gli economisti formati da Caffè e poi rimasti all’interno dell’accademia. Nomi come Ezio Tarantelli, assassinato il 27 marzo 1985 da un Gommando della Brigate Rosse proprio nel parcheggio della Sapienza, dopo aver terminato una lezione; come Nicola Acocella, il quale ha ereditato la cattedra di Politica economica che fu del suo maestro; come Giuseppe Ciccarone, attuale preside della facoltà di economia della Sapienza; come Maurizio Franzini, ordinario di Politica economica e direttore della scuola di dottorato in economia nella medesima facoltà.