Cristina Giudici, pagina99 26/4/2014, 26 aprile 2014
SPRECHI
& POLTRONE È FALLITO IL PIEMONTE SPA–
Come in tutte le Regioni, anche in Piemonte si è scatenato un dibattito sulla razionalizzazione delle società partecipate e/o controllate dagli enti pubblici. Con una timida riforma, venduta come una rivoluzione copernicana dalla giunta leghista guidata da Roberto Cota. Una riforma che probabilmente rimarrà sulla carta per via dell’interruzione della legislatura, visto che il tempo è scaduto e il 25 maggio si terranno nuove elezioni.
E ora che si tratta di fare un bilancio e sia il premier Matteo Renzi sia il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, insistono sulla necessità di razionalizzare il sistema delle partecipazioni, ereditato dalla Prima Repubblica, che ha creato una serie infinita di carrozzoni elefantiaci – gli amministratori pubblici uscenti della Regione Piemonte si prendono meriti per le poche partecipate messe in liquidazione perché di fatto fallite, per la riduzione dei membri dei Cda, e per il ridimensionamento abbastanza significativo del tetto dei compensi annuali dei manager, ridotti a 40 mila euro.
Ma se si guarda alla Luna e non al dito, come risulta dall’indagine del centro studi di Confindustria, la Regione sabauda è la quarta in classifica, dopo Lazio, Lombardia e Veneto nello sperpero delle risorse pubbliche attraverso le società partecipate.
Con un miliardo di euro di costi complessivi delle partecipazioni: in tutto 7.061. E come abbiamo già scritto nella puntata dedicata al Veneto (l’inchiesta si trova ora supagina99.it), la maggior parte di enti, società e organismi non producono servizi, bensì servono a mantenere lo status quo della giostra delle poltrone.
E probabilmente fa bene l’assessore regionale uscente alle Partecipate, Agostino Ghiglia (Fratelli d’Italia), a lanciare un monito contro i facili moralismi. Sostenendo che «dismettere le partecipazioni è complicato perché per alcune società esistono dei patti parasociali, che impediscono la liquidazione delle quote senza il consenso di un terzo dei soci ed è difficile trovare acquirenti per aree industriali o immobiliari in un mercato stagnante» spiega a pagina99. Infatti la maggior parte delle partecipazioni regionali sono state investite in aree industriali e in immobili, che producono perdite, accumulano debiti e non offrono servizi. Non appetibili quindi in un mercato bloccato dalla crisi, in Piemonte più cruenta che in tutto il resto del Nord. «Inoltre – aggiunge l’assessore Ghiglia – oggi è quasi impossibile dismettere una quota o liquidare una società pubblica, poiché implica un processo complesso per la riqualificazione».
Non la pensa così Pier Giorgio Scoffone (area centrosinistra), membro del Cda di Finpiemonte Partecipazioni, che ambisce a riformare il diritto societario di molte partecipate, per raddrizzare alcune ataviche storture degli enti pubblici. «In realtà basterebbe creare una società apposita, un fondo immobiliare, per riunire tutti gli immobili o aree industriali di proprietà degli enti pubblici, in perdita e/o inutilizzati, per valorizzarli, cambiarne la destinazione d’uso e rimetterli sul mercato», spiega. Infatti, se si graffia la superficie, si rimane stupefatti.
Ufficialmente la Regione Piemonte ha 58 partecipazioni dirette e indirette, di cui una decina, minori, in teoria, in liquidazione. Un numero ingannevole, però, perché poi ogni ente, società o consorzio partecipato si disperde fra mille rivoli di diverse ramificazioni, dentro altre società private. Oltre alle partecipazioni regionali, ci sono quelle provinciali, 31, e quelle comunali, 46. Partecipazioni che si intrecciano spesso negli stessi enti, ma che complessivamente sono 135. Quelle più patrimonializzate – si fa per dire, poiché sono quasi tutte in perdita – fanno capo alle due finanziarie della Regione: Finpiemonte e Finpiemonte Partecipazioni.
La prima ha in pancia una serie di parchi tecnologici, in perdita, che il presidente Fabrizio Gatti (Pd) sta cercando di liquidare. Come l’Enviroment Park Spa (mezzo milione di euro di perdita) che ha portato i libri in tribunale per un concordato preventivo. O Tecnogranda Spa, con perdite di 425.507 euro. Anche se poi bisogna stare attenti ad attribuire alla liquidazione di una partecipazione un significato di una volontà per una migliore amministrazione, visto che per esempio, a Torino, esiste addirittura ancora un consorzio, Citrea, creato nel 1950 dal Comune di Torino per gestire la linea di una tranvia per collegare Torino a Rivoli, di 11 chilometri, che è in liquidazione dal 1979 (sic!) e da due anni la società non approva neppure i bilanci, come ci ha raccontato una nostra fonte.
In ogni caso la bad company della Regione Piemonte è certamente Finpiemonte Partecipazioni, il cui presidente è l’avvocato Paolo Marchioni, ex consigliere provinciale della Lega Nord, e consigliere uscente del Cda da poco rinnovato dell’Eni. Finpiemonte Partecipazioni è una società mista, quasi interamente controllata dalla Regione con 30 partecipazioni infilate nella propria pancia, che nel 2012 ha chiuso il bilancio con 8 milioni e 611 mila euro di perdite e, notizia ancora riservata, chiuderà il bilancio del 2013 con oltre 11 milioni di perdite, dovute soprattutto alla gestione di aree industriali inutilizzate per le quali non si riesce a trovare gli investitori che acquisiscano le quote degli enti pubblici.
La situazione patrimoniale di Finpiemonte Partecipazioni è un colabrodo. E può contare solo su poche società, che producono utili, come ad esempio Ardea Energia, Barricalla (l’impianto per lo smaltimento dei rifiuti industriali) e la centrale fotovoltaica Strambino Solar, che servono a cercare di ripianare le voragini delle altre società, tutte in perdita.
A cominciare da Expo Piemonte, messo in liquidazione. Un sito fieristico di Valenza, soprannominato un “bel prato verde”. Considerato poco attrattivo persino dagli orafi del distretto di Valenza, quasi inutilizzato, con quasi un milione di euro di perdita, (precisamente 944.977), dove la Regione dovrebbe cedere una parte dell’edificio, Cascina dell’Orefice, a Bulgari, che per ora però ha versato solo un acconto di 10 mila euro.
Oppure le Tenne di Acqui, con un resort di lusso, per cui è stato fatto un bando internazionale con tali e tanti paletti, da poter prevedere che la gara andrà deserta. Anche perché chi assumerà la gestione delle terme è obbligato a ripianare il debito di 1 milione 292mila euro e a investire 15 milioni per ristrutturare l’immobile dato in concessione.
O Villa Melano, mai finita, a cui ora la Regione ha destinato persino 7 milioni e 800 mila euro per completare la costruzione “anche per ragioni di sicurezza”, si legge nella delibera regionale sulla razionalizzazione delle società partecipate. Meraviglioso.
E ancora: l’aeroporto Levaldigi di Cuneo, gestito dalla Geac con una perdita di oltre un milione di euro, ora in vendita, che ha un traffico molto modesto e mete come Alghero, Cagliari, Mestar, Casablanca, Tirana, Bucarest. O l’aeroporto di Biella (432mila euro di perdita) da dove non si può andare da nessuna parte, e infine quello di Alessandria, in liquidazione.
Ma probabilmente, per capire le storture del sistema delle partecipazioni, che in Piemonte è stato diviso (lottizzato, si diceva una volta) in modo abbastanza equo fra le cordate politiche del centrodestra e del centrosinistra, non ci si deve tanto interrogare sul motivo irragionevole per cui con i finanziamenti degli enti pubblici sono stati creati tre incubatori di imprese che svolgono lo stesso ruolo, ma si deve soprattutto leggere fra le righe degli assetti societari del Consorzio di Eurofidi.
Costruito anche con il 17% di quote di Finpiemonte Partecipazioni, 30 milioni di investimento fino a oggi, Eurofidi ha creato una filiera finanziaria di diverse società, che offrono consulenze e servizi alle imprese associate in cambio delle garanzie per i fidi, mediante le altre società controllate da Eurofidi: Eurogroup, Eurocons, Euroenergy, Euroventure. Così da un capitale pubblico della Regione, è stata creata in una filiera finanziaria e di servizi che opera in tutt’Italia.
Peccato che Eurofidi nel 2013 abbia perso 27 milioni di euro e che la Regione, insieme agli altri soci – istituti bancari e associazioni di categorie – sarà costretta a ricapitalizzare con un aumento di capitale complessivo di 50 milioni di euro. Peccato che il presidente di Eurofidi sia Massimo Nobili, che è anche presidente di Eurogroup; peccato che il direttore di Eurofidi sia Andrea Giotti, che è anche amministratore delegato di Eurogroup. Eurogroup a sua volta controlla Eurocons, che opera nel campo della finanza agevolata e consulenza gestionale per le piccole e medie imprese, dove il presidente è sempre Massimo Nobili e l’amministratore delegato sempre Andrea Giotti. E così via, visto che Euroenergy, controllata da Eurogroup, che vende impianti di energie rinnovabili alle aziende, nel suo Cda ha due consiglieri che si chiamano appunto Massimo Nobili e Andrea Giotti. Dimostrando così come è facile aggirare la norma del tetto dei compensi di 40mila euro. E dimostrando così come due navigati esponenti della Prima Repubblica siano riusciti a lanciare un’Opa sulle società partecipate.
Massimo Nobili, ex democristiano e poi esponente di Forza Italia è stato presidente della Saia, del Tecnoparco del Lago Maggiore, della Spl (Servizi pubblici locali) e ha avuto altre molteplici cariche nelle società partecipate, prima di approdare ad Eurofidi, mentre Andrea Giotti, senese, ex dipendente di Finpiemonte, è direttore generale di Eurofidi da oltre 30 anni.
E forse bisognerebbe chiedersi come mai si sia arrivati al punto di avere una società, la Saia, ora in liquidazione, che gestisce un’area industriale a Verbania, con perdite di 3 milioni e mezzo di euro e senza fondi sufficienti per pagare le spese di condominio. Un rompicapo finito in tribunale perché fra i soci, oltre a Finpiemonte Partecipazioni con il 28% delle quote, nel Cda ci sono anche istituti bancari: creditori e finanziatori al contempo.
Ora, che siano state messe in liquidazione alcune partecipazioni di società fallite, che nessuno vuole, ridotti gli emolumenti dei manager, magari è cosa buona e giusta, ma vendere l’arma spuntata della razionalizzazione delle partecipate-colabrodo in Piemonte come una rivoluzione copernicana, pare davvero eccessivo.