Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  aprile 29 Martedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LA SENTENZA MEREDITH. MOTIVAZIONI


REPUBBLICA.IT
Fu uccisa da due diversi coltelli e tutto cominciò da un banale litigio, non da una questione di sesso. Lo scrive la Corte d’Assise d’Appello di Firenze nelle motivazioni della sentenza per l’omicidio di Meredith Kercher che ha portato alla condanna di Raffaele Sollecito e Amanda Knox rispettivamente a 25 e a 28 anni di carcere.
Sono stati i due ex fidanzati a colpire la studentessa inglese al collo e l’ultimo fendente, quello che ha provocato la morte, è stato di Amanda. C’è stato un litigio: fra la giovane americana e la studentessa inglese, non "c’era nessuna reciproca simpatia" anche se abitavano nella casa di via della Pergola a Perugia. E quel litigio è degenerato, c’è stata una "progressiva aggressività" all’interno della quale si può collocare la violenza sessuale di Guede su Meredith. Ma, scrivono i giudici fiorentini, "non è credibile che fra i quattro ragazzi fosse iniziata un’attività sessuale di gruppo". Meredith non amava la compagnia di quei tre. Quella sera si accorge che mancano dalla sua stanza i soldi che aveva messo da parte per pagare l’affitto e poi e Guede, portato in casa da Amanda e Sollecito, aveva usato il bagno "in maniera quanto meno disinvolta" (lasciandolo molto sporco).
La violenza. Il sesso tuttavia c’entra: è un "istinto sessuale" per esempio a guidare Guende (il solo condannato in via definitiva), mentre Amanda e Raffaele, partecipano all’aggressione con l’intento di umiliare e punire la ragazza: "La volontà omicida degli aggressori risulta palese". E’ un crescendo di violenza quella che prende campo quella notte fra il 1 e il 2 novembre 2007: una volta che Meredith viene colpita e "si è portata l’aggressione alla sfera sessuale, di fronte alla resistenza della ragazza lasciarla in vita avrebbe costituito per gli aggressori la certezza della punizione. A un certo punto dell’aggressione si era andati troppo oltre, Meredith doveva essere messa in condizione di non denunciare l’aggressione subita".
I coltelli. Secondo i giudici, una delle armi da taglio provocò la ferita sulla parte destra del collo, quella più piccola. La Corte ritiene che "fosse impugnata da Sollecito" in base al suo Dna trovato sul gancetto del reggiseno della vittima. "Trattasi di Dna - si legge nelle motivazioni - di probabile sfaldamento epiteliale , lasciato dall’imputato al momento in cui quest’ultimo tirò il gancetto di reggiseno al fine di scostarlo dalla schiena della ragazza e consentire l’introduzione di una lama che recise la stoffa di chiusura del reggiseno".
La Corte ritiene invece che "l’altra lama, quella che produsse la ferita estesa sulla parte sinistra del collo da cui fuoriuscì la gran parte della sostanza ematica che provocò la morte di Meredith Kercher sia stata impugnata da Amanda Knox".
Per i giudici di Firenze si tratta del coltello da cucina sequestrato in casa di Sollecito sul quale "veniva rinvenuto Dna misto di due contributori: Meredith Kercher e Raffaele Sollecito (in realtà quello della vittima sulla e della Knox vicino all’impugnatura come sempre emerso - ndr)". "Si tratta di un’attribuzione che non può costituire prova certa per le ragioni relative alla mancata ripetizione dell’analisi sul reperto - prosegue il collegio - ma comunque costituisce un forte indizio della circostanza che quell’arma costituisca la seconda arma utilizzata nell’omicidio di Meredith Kercher".
La convivenza. Meredith e Amanda non si piacevano, la prima nutriva nei confronti della coinquilina "molte riserve", il comportamento della giovane americana le dava spesso i nervi. Ci sono diverse testimonianze a provarlo.
Quella sera è stata Amanda a far entrare nell’appartamento Guede. L’ivoriano ha tenuto "un comportamento poco urbano", che infastidì Meredith, che chiese spiegazioni ad Amanda.
La studentessa americana e Sollecito, che avevano fatto uso di sostanze stupefacenti, si erano "raccolti in intimità". In questa situazione di "apparente normalità" arrivò la discussione fra le due ragazze, "che si inserì in un contesto che, sia per le condizioni psicofisiche degli imputati sia per il livello di esasperazione cui era giunta la convivenza fra le ragazze" esplose nell’aggressività.
400 pagine. Nelle motivazioni, circa 400 pagine, si parla di elementi "plurimi e concordanti". I giudici sono convinti che Guede, la Knox e Sollecito hanno lasciato "tracce del loro passaggio per deposizione ematica del sangue della vittima che era fuoriuscito copiosamente dalle ferite". I tre "collaborarono tutti per il fine che si erano proposti: immobilizzare Meredith e usarle violenza" dopo la discussione.
Ritengono i giudici di avere elementi indiziari "di sicuro affidamento" sulla presenza di Rudy Guede, Amanda Knox e Raffaele Sollecito nella casa dove venne uccisa Meredith Kercher "nelle immediate fasi successive all’omicidio" la Corte d’assise d’appello di Firenze.
"La traccia biologica rinvenuta sul gancetto del reggiseno che Meredith Kercher Indossava la sera che fu assassinata, fu lasciata da Raffaele Sollecito" sostengono i giudici. Il gancetto fu quindi "manipolato dall’imputato la sera dell’omicidio".
L’ora dell’omicidio. Meredith Kercher fu uccisa "in un’ora compresa tra le 21 circa del primo novembre del 2007 e le 00.10,31 del 2 novembre 2007" sostiene la Corte d’assise d’appello di Firenze.
Una conclusione alla quale il collegio approda dopo avere esaminato le testimonianze e gli altri elementi dell’indagine sul delitto compiuto a Perugia.
"E a questo lasso di tempo dovrà farsi riferimento" scrivono i giudici per affrontare la questione relativa all’alibi degli imputati.
La difesa. E’ una motivazione "con almeno dieci errori clamorosi per ogni pagina" quella della Corte d’assise d’appello di Firenze sostiene l’avvocato Giulia Bongiorno, difensore di Raffaele Sollecito."Come sulla presunta arma del delitto sulla quale la sentenza sbanda clamorosamente. Si afferma che ci sarebbero le tracce di Sollecito, un dato mai emerso dalle indagini. Il collegio ha evidentemente preso fischi per fiaschi". "Attendo con ansia la Cassazione - conclude l’avvocato Bongiorno - che sicuramente annullerà una motivazione densa di contraddizioni, errori e illogicità".