Fulvio Abbate, Il Fatto Quotidiano 29/4/2014, 29 aprile 2014
C’ERA UNA VOLTA COSTANZO LA MEMORIA PERDUTA DELLA TV
Proprio vero che nel Belpaese la memoria è materia facoltativa, dunque soprattutto disertata, dai concittadini, perfino quando vestono i panni del telespettatore. L’ho intuito facendo caso a “Domenica in” (su Rai1), dove la signora Venier intervista settimanalmente Maurizio Costanzo in una sorta di “come eravamo”. Era appunto come se quest’ultimo, Costanzo nostro, parlasse, raccontasse, provasse a rimettere in moto la dinamo di un tempo spettacolare e mediatico ormai remoto, sideralmente lontano.
Sto parlando di Maurizio Costanzo. Non mi dire che ti sfugge la persona, dai. Evidentemente, anche in questo caso, temo di dover ribadire ogni dettaglio. Maurizio Costanzo è l’inventore di se stesso e del suo show omonimo, lo stesso che per decenni, forse più dello stesso proverbiale ventennio, ha controllato i bastioni di Orione della seconda-terza serata televisiva. Fininvest e, in seguito, Mediaset, e tuttavia questa precisazione è assai riduttiva poiché nel bene, nel male, nell’orrore e nel vaudeville, da quel “suo” Teatro “Parioli”, passerella o meno, si sono affacciati davvero tutti, da Carmelo Bene all’insopportabile Sgarbi, da, che so?, Giancarlo Pajetta all’ultimo assessore o playboy cazzaro di provincia, e perfino il sottoscritto si ricorda lì sul palco seduto accanto a Karin Huff (almeno lei, Karin, la rammenterai, no?) e Claudio Bisio, così nel lontano 1989. Il MCS era una sorta di rotocalco serale, veniva giù come un festone con tutte le sue facce, e c’era perfino modo di trovarselo ancora in onda tornando a casa dopo essere stati fuori a cena, questo per dire che era molto difficile sfuggirgli.
Lì dalla Venier, Costanzo, se non l’ho detto, si produce in nome della memoria personale, come bene rifugio, come una sorta di impresario-capocomico che tutto e tutti ha ingaggiato nel suo salotto, ossia con il compito dichiarato di illustrare cos’era il mondo un tempo, e quali i suoi “ospiti”, e infatti eccolo pronto a raccontare di Alberto Sordi, di Vittorio Gassman e della sua depressione “che gli ha suggerito di avere un grande avvenire dietro le spalle”, di Marcello Mastroianni (“…era stupito che la Deneuve lo facesse sedere a capotavola, era rimasto semplice come un bambino”), di Totò conosciuto nella sua casa di via Monti Parioli da giovane cronista del settimanale Grazia, di Vianello e Mondaini, una sorta di Ade del ricordo spettacolare…
Gli anni trascorsi si leggono ormai davvero tutti nell’incedere verbale di Costanzo, il tratto un po’ beffardo della mimica che un tempo sottolineava ora complicità con l’ospite ora avversione ha lasciato posto a una lentezza cui sfuggono i dettagli che servono a far di cinismo virtù. Ma ciò che salta agli occhi, quasi che Costanzo lì agisse da carta tornasole, è il modo paradossale con cui la memoria televisiva sappia consumare se stessa, in una sorta di parodia dell’Ecclesiaste che rispetto al testo originale sembra conoscere ancor meno pietà, c’era una volta la televisione, sembra raccontare l’Ospite senatore Maurizio, e poi venne il buio.
@fulvioabbate
Fulvio Abbate, Il Fatto Quotidiano 29/4/2014