Fabrizio d’Esposito, Il Fatto Quotidiano 29/4/2014, 29 aprile 2014
“NAPOLITANO MI PROCESSÒ PER IL MIO LIBRO”
Ermanno Rea viene da lontano. Non solo per l’età, dal momento che ha 87 anni. La politica per lui, scrittore giornalista e anche fotoreporter, resta un concetto denso, profondo, tipografico, non televisivo. Tipico per un comunista antico. Argomenta la sua candidatura nella lista Tsipras per le Europee, capolista al sud, e parte da una vicenda dimenticata degli anni Quaranta e Cinquanta a Napoli: il gruppo gramsciano di Guido Piegari e Gerardo Marotta, osteggiato dal Pci di Togliatti, Amendola e del giovane Napolitano. Una storia, questa, che sarà un capitolo aggiuntivo a uno dei suoi libri di maggior successo, bellissimo: Mistero napoletano.
Vent’anni dopo la pubblicazione per Einaudi, ritorna in libreria con Feltrinelli. Ma per la “coda” inedita bisognerà aspettare un altro po’. Rea la sta scrivendo in questi giorni. Prende in mano una copia di Mistero napoletano, la alza e spiega: “Nella seconda parte del libro ho già scritto di Piegari. All’epoca avevo raccolto una testimonianza drammatica che raccontava la pazzia di Piegari, perché cacciato dal Pci, ma lui era ancora vivo e non la inserii. Adesso è il momento. Vede, Piegari era un personaggio geniale e la sua polemica nei confronti del meridionalismo di Amendola ha una straordinaria attualità. Per Piegari, l’unità nazionale era decisiva per la questione del Mezzogiorno. Oggi, gramscianamente parlando, lo stesso vale per l’unità politica europea”. Come sottotitolo, Mistero napoletano, recita: “Vita e passione di una comunista negli anni della guerra fredda”. Ossia la vita di una figura tragica e sublime del Pci napoletano di quegli anni: Francesca Spada, che si suicidò nel Venerdì Santo del 1961. Francesca è il fantasma che compare nella scalata del Vesuvio che Mario Martone fa fare ad Antonio Bassolino, interpretato da Toni Servillo, nella Salita, episodio del film I Vesuviani. La Spada aveva una relazione con Renzo Lapiccirella, altro comunista di genio e antistalinista del Pci napoletano. Lo stalinismo togliattiano è la chiave per decifrare tutto, “come gestione dispotica del potere, come strumento di polverizzazione di ogni forma di dissenso, come complotto, menzogna, trama, morta gora”. Per i quadri del Partito, Francesca era “puttana” ed eretica. Ancora dal libro: “Lo stalinismo fu anche questo: continua violazione dell’altrui vita privata, ipocrisia di stampo moralistico, maschilismo”. Ed è per questo che quando Mistero napoletano uscì, nel 1995, Giorgio Napolitano e tutti gli amendoliani superstiti, poi miglioristi, non gradirono. Di più si arrabbiarono e tentarono di boicottare e ignorare il libro. L’attuale capo dello Stato, di estrazione borghese, fu allevato nel Pci di Napoli dallo stalinista Salvatore Cacciapuoti, su mandato di Giorgio Amendola. Rea ha uno sguardo dolce. Negli anni di “Francesca” e “Renzo”, lavorava all’ufficio partenopeo dell’Unità: “Io volevo fare il professore, mi presentai al partito e dissi: ‘Sono qui, come posso dare una mano?’”. Racconta: “Con Napolitano ho litigato per il libro. Non una cosa diretta, più obliqua, critiche riferite da più persone. Cascai pure in una trappola preparata dai miglioristi di Napoli. Mi invitarono a una presentazione che si trasformò in un piccolo processo. Ma fu tutto il partito che perse un’occasione per discutere, che preferì rimuovere. Ricordo che Nilde Iotti si rifiutò di rispondere sulla questione, infastidita”.
Un altro modo, stalinista, per stroncare Mistero napoletano fu quello di degradarlo a romanzetto: “Fu Maurizio Valenzi, di cui ho un grande ricordo, a spronarmi polemicamente: ‘Dillo apertamente che hai scritto un romanzo’”. Nel corso dei decenni, Napolitano ha revisionato gran parte della sua parabola comunista, ma sul suo periodo stalinista napoletano ha concesso poco o nulla. Solo fastidio e irritazione, come nel caso dell’opera di Rea.
Continua lo scrittore: “Dopo il litigio di vent’anni fa, ci sono stati incontri successivi per chiarirci. Di Napolitano ho apprezzato la prima fase del suo settennato, poi dopo per me è stato tutto incomprensibile. Va svilendo il suo passato di cui io stesso sono stato critico. Non lo capisco. Dovrebbe tutelare meglio il suo passato, anche perché è diventato un moderato troppo spinto, difficile da comprendere. E poi, qualunque cosa sappia più di noi, non giustifica tutto quello fa”. Rea si alza. Sono quasi le diciotto. Tra poco, suo figlio Carlo, artista, inaugura una mostra personale a Roma. E la campagna elettorale? “Ho aderito alla lista Tsipras perché è la forza a me più vicina. Quando mi hanno chiesto di candidarmi, ho risposto: ‘Tenete presente la mia età, ma se voi ritenete che il mio nome possa attrarre voti, sono qua’”. Ermanno Rea. Dopo una vita come la sua, sì, basta il nome.
Fabrizio d’Esposito, Il Fatto Quotidiano 29/4/2014