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 2014  aprile 29 Martedì calendario

UNA NUOVA CLASSE DIRIGENTE PER WALL STREET


Dipende tutto dal ristorante.
Una delle mie fonti è un pezzo grosso di una banca di Wall Street e da anni abbiamo questo codice segreto per pranzi e cene da lavoro: se il business va bene, lui sceglie un ristorante newyorchese d’alto livello – tipo il tempio del pesce del Le Bernardin, la grande cucina italiana di Marea o il menu storico di Le Cirque; se invece la sua banca non tira, lui opta per posti più modesti: durante gli anni bui della crisi finanziaria siamo stati in bisteccherie un po’ rozze, trattorie senza infamia e senza lode e persino fast-food.
La scelta tra stelle Michelin e stalle di McDonald’s è diventata un simbolo dello stato d’animo di Wall Street, il barometro culinario di un’industria finanziaria che negli ultimi anni ha avuto più alti e bassi di un sottomarino.
La settimana scorsa la mia fonte e io abbiamo toccato il fondo. «Vediamoci all’incrocio della sesta avenue e la 46a strada», mi ha scritto e la mia memoria di buona forchetta ha cominciato a fare il censo di tutti i ristoranti della zona.
Ma quando sono arrivato lì, il mio amico stava facendo la fila a Moshe, un furgoncino che vende falafel, la specialità medio-orientale a base di ceci, all’angolo della strada.
Amo Moshe – un signore che assomiglia a Matusalemme e ne ha più o meno l’età – e amo le falafel, ma il nostro codice non mente.
«Devo tornare in ufficio a scrivere che state andando in malora?» gli ho chiesto, tra il serio e il faceto. «Non è un problema finanziario, è il morale», mi ha risposto senza nemmeno tentare un sorriso. «Sono stanco. Siamo tutti stanchi».
Ed è lì – proprio prima di ordinare il mio piatto di falafel e insalata – che ho capito la vera condizione della finanza mondiale: è stremata. La crisi del 2008-2009, seguita da anni di lunghissime battaglie con governi, authority di settore e un pubblico ostile ha lasciato i generali e le truppe dell’esercito della finanza come la Grande Armée di Napoleone in Russia.
I numeri raccontano parte della storia. Le grandi banche americane come la Goldman Sachs e la J.P.Morgan e le loro rivali europee - Deutsche Bank, Credit Suisse, Ubs e così via - non riescono più a fare i soldi di un tempo.
Tra economie lente, mercati balzani, regole sempre più dure e società e consumatori che non fanno granché, non c’è tanto bisogno di intermediari tra compratori e venditori.
Harvey Schwartz, il direttore finanziario di Goldman Sachs, lo ha spiegato bene agli investitori un paio di settimane fa, quando ha detto che il futuro del settore sarà una «guerra di logoramento». Altro che Wolf of Wall Street, con i parties sfrenati e le droghe come se piovessero, la finanza di oggi è condannata a rimanere in trincea.
Il problema, però, non sono solo gli utili ma l’utilità sociale: dopo la crisi, buona parte dell’opinione pubblica americana e europea odia le banche o quanto meno pensa che servano a poco o nulla. Quando il Wall Street Journal ha chiesto a CarreerCast.com di fare l’hit parade dei migliori e peggiori lavori, il bancario è finito dopo lo spazzino (il giornalista era ancora più giù…)
In un certo senso, non bisogna piangere per l’alta finanza. Le banche hanno contribuito, se non addirittura causato, la crisi del 2008; i banchieri rimangono pagati bene, anzi benissimo; e Wall Street ha dimostrato che a lungo andare riesce sempre a trovare un modo per fare soldi.
Ma le conseguenze di un settore finanziario in ginocchio non sono trascurabili. In questo momento, le banche americane ed europee stanno prestando pochissimo denaro a imprenditori e consumatori, privando settori economici fondamentali dell’ossigeno per crescere.
Nei mercati, soprattutto quello delle obbligazioni, banche come la Goldman e la J.P.Morgan stanno facendo sempre di meno per paura delle nuove regole del gioco. Senza di loro, investitori e società devono pagare di più per comprare azioni e obbligazioni e per proteggersi dai movimenti spesso inconsulti nei prezzi di prodotti quali il petrolio e l’oro.
E le migliaia di licenziamenti in quasi tutte le banche del mondo hanno sottratto a città come New York e Londra enormi entrate fiscali e consumi. Un dollaro su sei di tasse pagate nello Stato di New York viene dal settore finanziario. Senza questi banchieri pacchiani e spocchiosi, arroganti e un po’ beceri, la Grande Mela non è più tanto appetibile.
Come andrà a finire? Siamo sull’orlo di un ricambio generazionale a Wall Street non dissimile dall’attuale svecchiamento della politica italiana. I cinquantenni, come il mio banchiere, e i sessantenni non ne possono più e se ne andranno. O in pensione, o in posti meno «pubblici», come ha fatto il numero due della J.P.Morgan Michael Cavanagh, che di recente è finito al gruppo private equity Carlyle.
Una nuova classe dirigente è pronta a prendere le redini, senza l’esperienza ma anche senza le remore e fissazioni di chi li ha preceduti.
Questa nuova élite ha un compito molto arduo: pilotare Wall Street verso acque più calme, dove le banche ritornano a fare quello che sanno senza mettere a repentaglio l’economia mondiale con i loro eccessi.
Il cambio della guardia arriverà ma per ora a Wall Street si mangia falafel.
Francesco Guerrera è il caporedattore finanziario del Wall Street Journal. Francesco.guerrera@wsj.com e su Twitter: @guerreraf72

Francesco Guerrera, La Stampa 29/4/2014