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 2014  aprile 29 Martedì calendario

LA TIMIDA PRIMAVERA DELLA RIPRESA


Ai primi dello scorso luglio, quando scrissi su «La Stampa» che erano spuntati i primi «fili d’erba» della ripresa, molti lettori non ci credettero.
Anche perché i deboli segni «più» che comparivano nelle statistiche venivano sistematicamente sottovalutati dai mezzi di informazione, troppo abituati ai segni «meno». Ora dobbiamo prendere atto che, con molta difficoltà e molta esitazione, i fili d’erba si sono infittiti e continuano a crescere. L’economia italiana è come un prato che ha un pallido aspetto primaverile anche se è troppo presto per trarne delle conclusioni sul raccolto.
La produzione industriale ha praticamente smesso di scendere dalla scorsa estate e, secondo il Centro Studi della Confindustria, ha messo a segno un +0,5% nel 1° trimestre 2014, dopo +0,7% nel 4° trimestre 2013.
Nella media degli ultimi tre mesi, le esportazioni italiane sono aumentate del 2,6 per cento, assai più del commercio mondiale. Segnali di recupero ugualmente pallidi, ma forse ancora più preziosi, vengono dai consumi interni e di pari passo aumentano gli ordini di beni da investimento da parte di imprese italiane. Non saranno pochi quelli che continueranno a storcere il naso: le costruzioni rimangono il grande punto oscuro della produzione italiana (-3,7 per cento a febbraio, al penultimo posto in Europa dopo la Slovenia) e la situazione internazionale non permette certo un ottimismo incondizionato sulle esportazioni.
Il panorama del credito mostra ancora una contrazione, anche se in rapido alleggerimento, Ieri, però, è arrivata dall’Istat una ciliegina preziosa su questa torta ancora informe e ancora piuttosto insipida: il clima di fiducia dei consumatori ha compiuto uno dei più forti balzi in avanti degli ultimi anni, riportandosi ai livelli del 2010; miglioramenti sensibili e improvvisi si registrano anche nelle intenzioni di acquisto di beni durevoli e nella generica «fiducia nel futuro».
Certo, non è il caso di lasciarsi prendere dall’euforia. Aver vinto una partita non significa aver vinto lo scudetto e neppure essere entrati in zona Europa League, come certe squadre di calcio sanno bene, ma è sicuramente meglio di averla persa. Si aprono così nuove prospettive in una classifica europea della crescita nella quale l’Italia è da molti anni agli ultimi posti. La conferma ufficiale dell’aumento di fiducia è, in ogni caso, importante perché milioni di italiani dispongono dei mezzi per trasformare questa fiducia in crescita, a differenza di quanto succede in altri Paesi complessivamente più ricchi e dalle finanze pubbliche più solide, dove le famiglie presentano però una situazione di indebitamento netto.
E’ difficile non collegare quest’ondata di fiducia con il bonus di 80 euro in busta paga da maggio, con gli annunci di alleggerimenti fiscali per i lavoratori autonomi e di riduzione delle bollette dell’elettricità, possibili se – come sembra ragionevole supporre - i conti italiani supereranno l’«esame» europeo del 5 maggio. La riduzione fiscale dovrebbe andare di pari passo con l’estensione al 2015 della «spending review», ossia della sistematica revisione al ribasso della spesa pubblica, sperabilmente senza riduzione (e possibilmente con aumento) della qualità dei servizi, annunciata dal ministro Padoan.
L’aspetto paradossale è che di tutto questo nulla è ancora stato realizzato: i bonus non solo non hanno cominciato a essere spesi ma non sono neppure ancora entrati in busta paga e le bollette energetiche rimangono elevate. Su un terreno economico non più negativo ma sostanzialmente neutrale, è tuttavia bastato l’«effetto annuncio», con la martellante sequenza delle dichiarazioni del presidente del Consiglio, intervallate da dichiarazioni più rade e più tecniche del ministro dell’Economia, a risvegliare una voglia di recupero dopo il lunghissimo inverno della crisi. Se non ci saranno imprevisti, sempre possibili, la ripresa andrà avanti e aumenterà di intensità, anche se con molta gradualità e forse con qualche discontinuità.
La politica economica di Renzi si differenzia da quella dei suoi predecessori precisamente perché proiettata in avanti anziché rivolta all’indietro, a costruire scenari anziché a tappare buchi delle finanze pubbliche. Questa differenza è possibile proprio per le politiche precedenti: il governo Renzi può fare un «lavoro pulito» precisamente perché i due governi precedenti sono riusciti a fare il «lavoro sporco», evitando che l’Italia cadesse nel baratro dell’insolvenza e del caos finanziario.
Il governo Renzi parte quindi da una posizione che si può definire «fortunata». Cinquecento anni fa, un conterraneo di Renzi, Nicolò Machiavelli, scrisse ne «Il Principe» che, a suo parere, la fortuna è arbitra all’incirca di metà delle nostre azioni ma che lascia a noi, alla nostra «virtù» il governo dell’altra metà. Non si può dire che il governo Renzi non stia usufruendo della sua parte di fortuna, il che – cosa non trascurabile – sta facendo andare il Paese nella direzione giusta. Occorre augurargli, e augurare al Paese, che sappia cavarsela anche quando dovrà sfoderare la sua «virtù».
mario.deaglio@unito.it

Mario Deaglio, La Stampa 29/4/2014