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 2014  aprile 29 Martedì calendario

PERISCOPIO


Nel dibattito televisivo su Sky Matteo Renzi parla a mitraglia, sincopato, gesticola, lancia slogan, usa parole concrete. Gli altri due escono dalle scuole quadri di partito. Cuperlo, professorino, Giuseppe Civati, detto Pippo, è una specie di Pierino barbuto che si concede le battute a effetto di chi non ha niente da perdere. Il Giornale.

Il primo incontro tra D’Alema e Berlusconi, alla fi ne del 1989, con il Cavaliere che offre a D’Alema, allora direttore de l’Unità, un posto di lavoro nelle sue reti: «Lei perché non fa un talk show con noi? Sa, con noi, in tv, lavorano tanti bravi giornalisti, come Ferrara...». Molti anni dopo, D’Alema commenterà: «In quell’occasione, Berlusconi ha dimostrato una delle sue migliori doti: la capacità di chiedere senza chiedere, anzi offrendo soldi. Perché la regola principale di Berlusconi è pagare». Giuseppe Salvaggiulo, Il Peggiore: Ascesa e caduta di Massimo D’Alema e della sinistra italiana. Chiarelettere.

Non c’è smania di Che Guevara, eroe e guerriero, che non sia diventata maglietta venduta o pubblicità per venderla. Ipocrisia reiterata negli origami dei concerti dove divi rock e miliardari reclamano denaro altrui per i poveri. Geminello Alvi, Il capitalismo. Marsilio.

Un amico che vive da anni dentro la sinistra, mi ha detto: «O Renzi accoppa il Pd, oppure il Pd accopperà lui». In entrambi i casi, comincerà l’ennesima guerra civile, resa più feroce dall’esiguità del bottino. Perché oggi la trippa è sempre più scarsa anche per i gatti della politica. Giampaolo Pansa. Libero.

Quando Odoacre, re degli eruli, depone Romolo Augustolo nel 476, comincia quella che noi chiamiamo il Medioevo. L’Italia (questa astrazione geografi ca) è variamente spezzettata, divisa, annessa, sconnessa, assegnata, conquistata, invasa e redistribuita. Fabrizio Rondolino, L’Italia non esiste. Mondadori.

La senatrice radicale Donatella Poretti ha ripresentato, nel 2010, un dl per il riconoscimento legale della prostituzione perché, ha detto, «non bisogna essere ipocriti perché la Merlin è una legge che poteva servire cinquant’anni fa, ora invece crea situazioni problematiche irrisolvibili». Carlo Vulpio. La Lettura.

Per me un giornalista non deve dire per che partito vota. In un altro Paese sì, ma qui non si può. Perché qui, tutto, viene strumentalizzato. Te lo buttano addosso. È evidente che ho le mie preferenze, le mie insofferenze, il mio disgusto. Ma io parlo attraverso il mio mestiere. Che è una rivendicazione d’indipendenza. Nel momento in cui dico cosa ho votato, non sono più indipendente. È così. Non vorrei, ma è così. Milena Gabanelli. Sette.

Il libro di Oscar Farinetti sui migliori produttori di vino è un libro ganzo, mi è piaciuto, io che, di solito, leggo molto poco, mi piace perché scrive come parla. E parla di coraggio, uno degli argomenti che metterò anche nelle mie prossime canzoni che non ho scritto per me ma per gli altri. Il coraggio è la voglia di esplorare e di conoscere e di dubitare di ciò che sai già: io sono così, mi butto sempre nel buio. Gianna Nannini. Corsera.

Leggendo il libro di Michele Serra (Gli sdraiati, Feltrinelli) mi viene in mente che l’educazione non si impartisce. È la libertà di una persona che incontra la libertà di un’altra. Ma se noi non abbiamo niente da dire sulla verità, di che cosa pretendiamo di parlare con i nostri figli? Come potranno cercare la loro verità, magari diversa, forse opposta, se noi ne abbiamo paura? Perché ci dovrebbero ascoltare mentre ci crogioliamo nei nostri riti borghesi arrivati e progressisti, che non hanno più niente di cui stupirsi e più nessuna novità cui aprirsi e ai quali la verità non interessa più perché il nostro pensiero si è fatto debole, debolissimo, quasi inesistente? Forse abbiamo paura delle libertà dei nostri figli; temiamo che la usino male, ma non abbiamo niente da proporre in cambio. Forse da adulti politicizzati, qualche volta li odiamo persino; perché, come ha scritto Gustavo Pietropoli Charmet, rimproveriamo loro «di non avere nessuna intenzione di intristirsi per le solite e appassite stagioni» per le quali abbiamo inutilmente sofferto noi. Forse gli alieni siamo noi. Antonio Polito. Corsera.

Dietro il successo c’è qualcosa di terribile: gli italiani perdonano tutto, i ladri, gli assassini, i delinquenti di tutti i tipi, meno che il successo. Enzo Ferrari. Il Fatto quotidiano.

Mi piaceva questa sua fedeltà verso Harding, chiunque fosse. Era una novità rispetto al tipico disprezzo ostentato dai giornalisti e al loro cinismo di persone immature. Graham Green, Un americano tranquillo. Mondadori.

Ci sono dei lutti che si portano come decorazioni. Piero Buscaroli, Una nazione in coma. Minerva editore.

Il mio amico Fernando Proietti, bravissimo giornalista e acuto osservatore di Roma, sostiene da anni che in questa città «meno si fa, meglio si fa». La sua ricetta per migliorare Roma è stare fermi e non fare niente. Il suo pessimismo nasce dalla consapevolezza che, nella capitale, i tentativi per migliorare lo cose si trasformano spesso in figuracce. Meglio una Roma antica, anche se modernizzata dai tanti lavori voluti dal Comune, di una improbabile New York all’amatriciana, dove poi le cose non funzionano. Enrico Vanzina, Commedia all’italiana. Newton Compton editori.

Le biro, poi, delle biro sono particolarmente vorace. E guarda qui che ben di Dio, dalle vecchie care Bic ai roller tecnologici che scivolano sul foglio, più veloci della mano, trascinandoti a scrivere. Ne acciuffo una mezza dozzina, avidamente. Marina Corradi. Tempi.

Negli anni Cinquanta se un bevitore entrava in Comune a lamentarsi, l’impiegato del Comune lo buttava fuori: «Ubriacone, vai ad allungarti da qualche altra parte!». Oggi è cambiato tutto. Se un ubriacone si presenta in Comune, è un ottimo cliente per giustificare tutta la baracca. Per cui gli fa il colloquio il team di esperti di disagio e viene inserito nei corsi di teatro e di computer. Alla fi ne hanno capito che un bevitore può far lavorare, oltre a venditori di vino, anche altri mediatori culturali. Maurizio Milani. Il Foglio.

I Gay pride mi mettono una tristezza infinita, proprio come il Carnevale di Viareggio. Questo bisogno di tenersi per mano come finocchie contente è roba di psicanalisti. Luca Scarlini, Alfabeto Poli. Einaudi.

La libertà ha un prezzo. Sta a noi deciderlo se pagarlo o no. Roberto Gervaso. Il Messaggero.

Paolo Siepi, ItaliaOggi 29/4/2014