Angela Zoppo, MilanoFinanza 29/4/2014, 29 aprile 2014
SCARONI SCHIERA L’ENI CON KIEV
L’Eni sta con Kiev. L’ad Paolo Scaroni, che a giorni lascerà il posto al successore Claudio Descalzi, è disposto a correre il rischio di irritare fortemente Mosca. «Questo è di gran lunga il periodo più complesso per la sicurezza energetica europea che io abbia mai vissuto.
Siamo in una situazione che potrebbe, potenzialmente, portare al fermo delle forniture russe», ha dichiarato al New York Times. Così, nonostante i consolidati rapporti con Gazprom, che resta il maggiore fornitore di gas all’Europa, l’Eni vuole dare una mano all’Ucraina. Il 17 aprile scorso, Scaroni è andato a Kiev per incontrare il ministro dell’energia Yuri Pradoan: al centro dei colloqui la necessità per il Paese di incrementare le proprie disponibilità di gas naturale. Come? Eni, presente sul mercato ucraino dal 2011, può aumentare il potenziale produttivo di gas da scisto e da giacimenti convenzionali all’interno del Paese, contando anche sull’assegnazione di nuove aree esplorative.
Ma non solo, nell’immediato la soluzione si chiama reverse flow: invertire i flussi di gas da occidente a oriente, garantendo inoltre il riempimento degli stoccaggi ucraini. Come prima mossa, Eni potrebbe convogliare gas addizionale verso l’Ucraina attraverso i Paesi limitrofi, per esempio la Slovacchia. «Non saranno quantità ingenti», ha detto Scaroni, «ma ogni metro cubo aiuta». La Slovacchia dovrebbe riaprire una vecchia condotta. L’obiettivo è fornire gas all’Ucraina per oltre 3 miliardi di metri cubi l’anno entro l’inizio della stagione autunnale, aumentando il flusso a 10 miliardi di metri cubi annui entro la prossima primavera (lo scorso anno l’Ucraina ha importato complessivamente circa 30 miliardi di metri cubi di gas). Per Scaroni, ricorda il New York Times, la crisi ucraina è un test della capacità dell’Unione Europea di elaborare una politica energetica coerente. Intanto, c’è attesa sui risultati del primo trimestre, che Eni diffonderà questa mattina.
Per Equita il gruppo sconterà alcune contingenze negative: il deconsolidamento della Russia e la faticosa ripartenza in Libia, il cambio sfavorevole euro/dollaro e il calo della divisione Gas&Power dovuta alle temperature generalmente miti dello scorso inverno. Le previsioni sono di un ebit rettificato di 2,950 miliardi di euro (-20% anno su anno) e un utile netto rettificato di 976 milioni di euro (-30% anno su anno). Anche Banca Akros si attende una frenata rispetto al primo trimestre dell’anno scorso, ma per la divisione G&P mette in conto i benefici derivanti dalla rinegoziazione dei contratti take or pay con Statoil, stimandone l’impatto positivo in circa 450 milioni di euro sull’ebit. Le prospettive restano buone. «La crescita della produzione attesa nei prossimi anni», spiegano gli analisti, «insieme a una struttura finanziaria sana e a un dividend yield unico, rendono Eni una delle azioni più interessanti del settore».
Resta il peso dell’incognita Kazakhstan, che graverà tutta sulle spalle del prossimo ad, Descalzi. Come noto, l’immenso giacimento kazako ha chiuso a ottobre scorso, un mese dopo l’inaugurazione, per una fuga di gas. Nella relazione finanziaria 2013 l’Eni ha già messo le mani avanti, lasciando intendere che se ne riparlerà più probabilmente il prossimo anno. Ma ora, a complicare la situazione, arrivano le dichiarazioni rese al Financial Times da esponenti del governo Kazako, secondo i quali la riapertura di Kashagan potrebbe slittare addirittura al 2016. Se risultassero danneggiate anche quelle offshore, infatti, la sostituzione delle tubature potrebbe richiedere fino a due anni di tempo.
Angela Zoppo, MilanoFinanza 29/4/2014