Chiara Bussi, Il Sole 24 Ore 28/4/2014, 28 aprile 2014
UN EUROPARLAMENTO CON PIÙ POTERI
Non un semplice organo consultivo, ma sempre più un’Aula a tutti gli effetti che può modificare o bocciare le proposte di legge, fare le pulci al bilancio e porre veti sugli accordi internazionali. Un’istituzione che costa 1,7 miliardi di euro all’anno - il 20% delle spese ammnistrative comunitarie –, ma ha un aggravio per abitante inferiore a quello delle Assemblee nazionali. Si presenta così il Parlamento europeo che i cittadini italiani saranno chiamati a rinnovare il 25 maggio, con un calendario diverso nei 28 Paesi.
Come mostra il bilancio dei cinque anni della legislatura che si è appena conclusa, l’emiciclo di Strasburgo si è ritagliato nel tempo un peso politico sempre maggiore, in virtù di nuovi poteri assegnati dal Trattato di Lisbona. Nelle 76 sedute plenarie dal 2009 al 2014 su 952 atti legislativi approvati per ben sei su dieci (il 62%) è stata utilizzata la procedura di «codecisione», che consente all’Aula di mostrare i muscoli e innescare un vero e proprio braccio di ferro con i ministri Ue. Tanto da rendere necessari ben 1.549 «triloghi», riunioni informali tra Parlamento, Consiglio e Commissione per raggiungere un accordo. Nella precedente legislatura, invece, gli eurodeputati hanno potuto esercitare questo potere solo per una legge su due (nel 48% dei casi). Dalla protezione dei consumatori passando per i trasporti e le tlc, dalle questioni economiche all’agricoltura, in circa 70-80 aree politiche la parola del Parlamento conta sempre di più su questioni che riguardano direttamente la vita dei cittadini.
La bocciatura più sonora degli ultimi cinque anni è arrivata con il bilancio pluriennale della Ue 2014-2020, la cornice che fissa tutti gli obiettivi di spesa dell’Unione (compresi i fondi strutturali). Nel marzo 2013 l’Europarlamento ha detto no all’accordo raggiunto dai capi di Stato e di governo rivendicando maggiori risorse per il rilancio della crescita e per la lotta alla disoccupazione. Dopo otto mesi di fitti negoziati è arrivata la schiarita con il compromesso finale. I rappresentanti del Parlamento hanno puntato i piedi e sono riusciti a ottenere una maggiore flessibilità nello spostamento dei fondi non utilizzati verso altre voci di bilancio. Non solo: gli eurodeputati hanno fatto sentire la loro voce anche sul meccanismo unico di risoluzione delle crisi degli istituti di credito, uno dei tasselli fondamentali dell’Unione bancaria, finendo in rotta di collisione con i governi e soprattutto con la Germania. Dopo tre mesi di confronti serrati e un ultimo round di 16 ore consecutive lo scorso marzo i delegati del Parlamento e quelli del Consiglio Ecofin sono riusciti a trovare la quadratura del cerchio. Nel testo di compromesso l’Assemblea è riuscita a strappare alcune importanti concessioni: gli anni di rodaggio del Fondo sono scesi da dieci a otto ed è previsto un colpo d’acceleratore per arrivare alla piena operatività dal 2017. Un altro dossier che ha tenuto impegnato il Parlamento è quello dei bonus dei manager bancari. Gli eurodeputati hanno insistito per includere nel testo un tetto fissato per legge. La procedura è stata utilizzata anche per l’esame del regolamento che abolisce il roaming - ovvero i costi supplementari per chi usa il telefono cellulare al di fuori del Paese d’origine – all’interno dei confini della Ue entro il Natale 2015. O per votare il provvedimento che prevede una maggiore tutela per i passeggeri aerei, con il rimborso di 300 euro per i ritardi di più di tre ore.
L’Europarlamento ha anche l’ultima parola sugli accordi siglati dalla Ue a livello internazionale, ma non può modificarne il testo. Una dote - chiamata in codice «procedura del consenso» – ricevuta dal Trattato di Lisbona ed esercitata negli ultimi cinque anni nel 18% dei casi contro il 4,6% appena della legislatura precedente. Nel periodo 2009-2014 l’Aula ha respinto due iniziative: il Trattato anticontraffazione «Acta» e l’accordo antiterrorismo sui trasferimenti dei dati bancari agli Usa tramite la rete «Swift». Il primo era il frutto di un negoziato tra Ue, Usa e altri nove Paesi per rafforzare l’applicazione dei diritti di proprietà intellettuale su internet. Un’intesa bollata dal Parlamento come «la soluzione sbagliata». Così, in conseguenza del voto, né la Ue né gli Stati membri potranno partecipare all’iniziativa. Nell’altro caso, nel febbraio 2010 Strasburgo ha respinto l’accordo chiedendo una nuova versione del testo. Cinque mesi dopo e ottenute alcune garanzie, l’Aula si è poi pronunciata a favore, aprendo la strada all’entrata in vigore del provvedimento.
A conferma del maggiore peso politico del Parlamento sono anche i numeri sulla procedura di consultazione, che assegna all’Aula di Strasburgo un parere non vincolante oggi limitato ad alcuni dossier del mercato interno e delle politiche della concorrenza. Nell’ultima legislatura solo una legge europea su cinque è stata esaminata con questo iter contro il 47% del periodo 2004-2009.
Sul fronte dei costi della macchina burocratica, grande tema del dibattito elettorale, uno studio realizzato dall’Europarlamento ha calcolato l’importo medio per cittadino. In base alle simulazioni gli europei spendono 3,10 euro all’anno per il funzionamento dell’Aula comunitaria contro gli 8,2 sborsati dai tedeschi per il Bundestag e i 17,7 di aggravio per mantenere il Parlamento italiano. Nel dettaglio, il bilancio della Ue destina ogni anno 1,75 miliardi per il funzionamento del Parlamento europeo, di cui 583 milioni servono per pagare il personale e le traduzioni nelle 24 lingue ufficiali dell’Unione, 208 finanziano le retribuzioni e le indennità degli eurodeputati e 187 sono versati agli assistenti parlamentari.
Chiara Bussi, Il Sole 24 Ore 28/4/2014