Paola Jadeluca, la Repubblica – Affari & Finanza 28/4/2014, 28 aprile 2014
HOGAN D’ARABIA “FACCIO INVESTIMENTI NON A 12 MESI MA PER I PROSSIMI 40 ANNI”
E’ bastata una sua telefonata per sbloccare persino la costruzione del nuovo aeroporto di Sydney, a Badgerys Creek. che era in stallo da tempo. Per James Hogan, australiano di nascita, “arabo” per business, la nostra Alitalia è solo un tassello nel grande mosaico di alleanze internazionali che Etihad Arlines, la compagnia con base ad Abu Dhabi - di cui è presidente e Ceo - sta mettendo insieme per crescere rapidamente e poter competere ad armi pari con le sorelle del Golfo, Emitates Airlines, con base a Dubai, e Qatar Airlines, con base a Doha. N elle trattative con l’ex vettore di bandiera, il potere pende tutto dalla sua parte, non c’è dubbio. E gli incontri con il premier Matteo Renzi puntano a portare a casa il maggior incasso possibile, giocando di fino sul piano delle trattative politiche, tanto più in questa fase di clima pre-elettorale, con i nostri esponenti di governo attentissimi a non sbilanciarsi, a non prendere misure antipopolari. Né si può più parlare, come un tempo, di braccio di ferro con i sindacati. La manifestazione a Milano il 25, festa della Liberazione, guidata da Raffaele Bonanni, segretario Cisl, Susanna Camusso, segretatio Cgil e Luigi Angeletti, segretario Cisl, voleva ribadire che l’accordo dal punto di vista occupazione è un bagno di sangue. Ma l’incontro con i sindacati, domani, martedì, più che a concretizzare un accordo winwin, un incontro a metà strada, sarà in realtà impegnato a trovare il modo di rendere meno dolorosi possibili i tagli. Quando si parla di 3.000 esuberi, lo spazio per limare è poco. La strada sembra ormai segnata. «Il mandato che abbiamo avuto dagli azionisti, dal board, è che se riusciamo a raggiungere un accordo che soddisfi il mandato commerciale allora torneremo al Cda e glielo presenteremo », ha ribadito Hoogan la settimana scorsa. Prendere o lasciare. insomma. Da quando, nel 2006 ha raggiunto la compagnia, Hogan ha seguito sempre la stessa filosofia. Comprare, comprare, comprare. E’ cosi che la piccola Etihad, schiacciata tra i due big Emirates e Qatar è cresciuta rapidamente. Come i fondi locusta, ha fatto razzia di compagnie “cash- strapped”, piene di debiti, comprando azioni di sette vettori, dall’irlandese Aer Lingus, alla Virgin Australia, tessendo una ragnatela di rotte che si espandono dall’Europa alle sponde del Pacifico per incrementare il traffico nell’hub di Abu Dhabi. «Etihad può volare sullo stormo di compagnie malate?», titolava recentemente Bloomberg- BusinessWeek che ha riportato alla memoria il caso Swissair, la compagnia fallita miseramente dieci anni fa, dopo che aveva, appunto, cercato di mettere insieme tanti piccoli vettori. Un articolo un po’ al veleno, ispirato, in verità, da uno dei più diretti competitor di Hogan, al Baker, Ceo di Qatar Airways che ha spiegato a Bloomberg perché ha rifiutato di comprare la greca Olympic Airlines, Air Seychelles e Air Serbia, poi acquisite da Etihad. E come ha detto no anche ad Alitalia, che più volte si è offerta in sposa alla stessa Qatar, prima di fare rotta su Etihad. «Non vogliamo investire a “spizzichi e bocconi” (bits and pieces) per caricarci di un peso. Ogni compagnia nella nostra regione ha differenti strategie», ha detto Baker. Veste all’occidentale, ma è profondamente arabo nello stile e nei modi. Cosi come è arabo il Presidente e Ceo di Emirates, Sheikh Ahmed Bin Saeed al-Maktoum, spesso ritratto nell’abito tradizionale bianco, studi all’estero, ma ferma fede e forma mentis islamica. Hogan, 57 anni, è nato a Melbourne, dove ha frequentato la Ivanhoe Grammar School, e appena diplomato è andato a lavorare alla Ansett Airlines, ai tempi la principale compagnia australiana. Un australiano tipico, diretto e franco. Al Forum economico mondiale di Davos non è raro vederlo parlare dal palco col maglioncino sotto la giacca, senza cravatta. Dà subito l’idea di essere li, pronto a togliersi la giacca, e trasformarsi in un compagnone da chiacchiere da pub. Ma al tavolo delle trattative no, non scherza. Paragonare le strategie di oggi a quelle di un decennio fa appare alquanto anacronistico. In dieci anni lo scacchiere mondiale del volo aereo è completamente cambiato. La corsa alle fusioni e acquisizioni ha consolidato le principali compagnie tradizionali. Mentre l’avanzata delle low cost come Ryanair e easyJet in Europa, ha completamente rivoluzionato il modo di volare, la concezione degli aeroporti, la stessa pianificazione di rotte e flotte. L’irruzione sullo scacchiere internazionale delle compagnie orientali, a partire da quelle arabe, sta rimescolando ancora di più gli assetti. In questo scenario si inserisce la strategia del ragno di Hogan. «Questi non sono investimenti per 12 mesi, ma per i prossimi 20, 30, 40 anni», ha dichiarato. E il matrimonio con Alitalia conviene a entrambi. Su questo fronte ha un peso anche Alitalia, debiti a parte. Per capire le potenzialità future dell’accordo basta guardare all’accordo già stipulato tra Etihad e Air Berlin. Hanno ora voli a doppio brand e stanno sviluppando insieme il network comune, in particolare verso il sud-est asiatico. Air Berlin è molto forte in Germania, che è il primo per traffico outgoing, in uscita, dall’Europa. Lo stesso modello si dovrebbe replicare in Italia, dove si registra un forte traffico ma in entrata, incoming. Se l’accordo con Alitalia andasse in porto, Etihad avrebbe due porte principali d’ingresso nel Vecchio Continente verso destinazioni differenti e che potrebbe utilizzare in particolare per incrementare i voli in cosiddetta “quinta libertà”, ancora poco sviluppati. I voli in quinta libertà sono quelli che consentono a un vettore di emettere biglietti anche a partire da una tratta intermedia di volo, imbarcando o sbarcando passeggeri nello scalo di un altro paese. Facciamo un esempio: oggi Etihad può emettere biglietti solo da e per Abu Dhabi, anche se fa scalo a Roma-Fiumicino o Milano-Malpensa per poi proseguire, per esempio, verso New York. Pur essendo il quinto, come dice il nome, dei diritti fondamentali del traffico aereo, è difficilmente applicato in Europa, soprattutto in Italia, dove fino a poco tempo fa è stata proprio l’Alitalia a osteggiare la concessione di permessi alle compagnie straniere per paura di perdere clienti. Il primo vettore che è riuscito a superare tutti gli ostacoli è stata la Emirates con il volo Dubai-Milano Malpensa-New York. Ma già quando la compagnia araba ha provato a replicare la richiesta per lo scalo di Venezia non c’è stato niente da fare. No, e basta. Un’altra compagnia orientale, la Singapore Airlines, già opera in regime di quinta libertà tra Barcellona e San Paolo. Singapore ha richiesto un permesso analogo per la Singapore- Milano Malpensa-New York, con un iter travagliato che ha messo in moto persino un’interrogazione parlamentare. Nel frattempo il Tar ha bloccato la rotta Emirates Dubai- Malpensa-New York, ma il Consiglio di Stato a inizio aprile ha accolto il ricorso della compagnia. I voli in quinta libertà consentono di ampliare le rotte riducendo i costi, facendo leva sulla rete, sul network, la strategia chiave di Hogan, ma in generale di tutta l’industria del volo. Le prove generali Etihad le ha fatte in Belgio. Dopo il fallimento della compagnia belga Sabena s’è creato un vuoto che è stato subito riempito dal vettore indiano low cost JetAirways, di cui Etihad è azionista. Pur di riempire l’aeroporto di Bruxelles il governo belga non ha fatto difficoltà a stringere accordi con Jet Airways che ha iniziato a operare in regime di quinta libertà con New York, Newark e Toronto. Adesso tutti aspettano di vedere come si chiuderà la partita con il governo italiano. Il presidente e Ceo di Etihad Airlines, James Hogan visto da Dariush Radpour Nei grafici i viaggiatori di Alitalia, ancora oggi superiori a quelli di Eithad.
Paola Jadeluca, la Repubblica – Affari & Finanza 28/4/2014