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 2014  aprile 27 Domenica calendario

IL TESCHIO DELLA DISCORDIA


«Io non sapevo che i terroni avevano dichiarato guerra ai piemontesi fino al giorno in cui decisi di visitare il Museo storico di Antropologia criminale Cesare Lombroso a Torino». Incomincia così una documentata e appassionata inchiesta dell’antropologa Maria Teresa Milicia Lombroso e il brigante. Storia di un cranio conteso. La vicenda è quella dei neo-borbonici che vogliono riprendersi un teschio studiato da Lombroso.
Su un’istanza avanzata dal Movimento Neo-borbonico (che si autodefinisce "culturale" e che ha per fine «ricostruire la storia del Sud e con essa l’orgoglio di essere meridionali») il Tribunale di Lamezia Terme ha ordinato nel 2012 al Museo Lombroso del l’Università di Torino di restituire al comune di Motta Santa Lucia in provincia di Catanzaro il cranio del concittadino Giuseppe Villella, studiato da Lombroso per provare la sua tesi del l’"uomo criminale". Finora l’ordinanza non è stata messa in atto. Ma andiamo con ordine.
All’annuncio della inaugurazione del Museo (novembre 2009) si era scatenata in rete e su alcuni giornali, una campagna di movimenti neo-meridionalisti che chiedevano la chiusura del museo, accusato di «apologia di razzismo antimeridionale» di cui il "famigerato" Lombroso, padre del l’Antropologia criminale sarebbe stato l’ideologo. Si richiedeva la restituzione dei «martiri della resistenza duo siciliana» per dargli una «degna e cristiana sepoltura». Non solo, ma si sosteneva che con la riapertura del Museo dedicato a Cesare Lombroso «non a caso ebreo» ci sarebbe stata la precisa volontà di sostenere quegli interessi occulti che si coalizzarono, un secolo e mezzo fa, per conquistare il fiorente e cattolico Regno delle due Sicilie. La storiografia ufficiale – secondo i neo-meridionalisti – complice prezzolata dei "poteri forti", avrebbe alimentato non solo la falsa immagine del Sud arretrato, ma anche il senso di inferiorità dei meridionali, su cui il razzismo del Nord aveva costruito la propria egemonia economica e culturale.
Ora Maria Teresa Milicia, calabrese, docente di antropologia culturale all’Università di Pavia, ha con pazienza smontato punto per punto le posizioni sostenute dai neo-meridionalisti. Nel dicembre 1870 Lombroso esamina il cranio di Giuseppe Villella originario di Motta Santa Lucia in Calabria (morto a Pavia sei anni prima dove era stata eseguita l’autopsia non si sa da chi) e scopre un’anomalia (una fossetta riempita da un lobo del cervelletto) che interpreta come un segno di predisposizione naturale alla criminalità. Lo studio di quel cranio è una tipica testimonianza di quella scienza positivista sviluppatasi nella seconda metà dell’800 (anche in seguito alle teorie di Darwin) che intendeva basarsi su fatti e osservazioni e misurare ogni cosa, in particolare gli essere umani. Per un secolo e mezzo il cranio di Villella, non fu che un reperto scientifico. Poi l’inaugurazione del nuovo allestimento del Museo Lombroso ha fatto diventare Villella un personaggio mitico, emblema della lotta contro il razzismo antimeridionale. Diventa allora particolarmente significativa l’analisi dedicata all’identificazione anagrafica di Giuseppe Villella: fu davvero un famoso brigante, come sostengono i neo-meridionalisti, che avrebbe combattuto per difendere il Regno delle Due Sicilie dall’invasione sabauda?
Sicura di trovare notizie dettagliate di un brigante così famoso la Milicia si trova invece davanti a una biografia immaginifica che è come la «trama di un racconto dalle molte varianti» e tutte le varianti sono proposte come «notizie storiche» senza mai dubbi o incertezze. Il brigante eroe ribelle della tradizione romantica e nello stesso tempo lo scienziato pazzo, dissezionatore di cadaveri alla Frankenstein. Ma Villella, questo e nient’altro risulta dai documenti, era un poveraccio condannato una prima volta per il furto di una capra e due ricotte e successivamente per aver incendiato un mulino di un suo rivale. Un’altra parte del libro è dedicata alle teorie dell’atavismo e alle accuse di razzismo nei confronti di Lombroso. Per comprendere una teoria scientifica, o solo una specifica terminologia, è necessario, spesso, se non sempre, porre quella teoria, quella definizione in un preciso contesto storico. Usare il termine "razzismo", oggi, ad esempio, dopo i campi di concentramento nazisti, non vuol dire, la stessa cosa di un secolo fa.
E così parlare di atavismo dopo gli studi della biologia evoluzionista dello sviluppo (Evo-Devo) è piuttosto diverso che ai tempi di Darwin. Per quanto le teorie dell’Antropologia criminale siano oggi superate (l’allestimento del Museo di Torino lo mostra con chiarezza) le conoscenze scientifiche della metà dell’Ottocento rendevano del tutto plausibile l’idea dell’atavismo del criminale. Allora: si può parlare di un razzismo antimeridionale e in particolare anticalabrese di Lombroso? La ricostruzione storica – afferma la Milicia – a volte riduttiva e parziale, dell’aspra polemica fra intellettuali e scienziati dell’epoca ha contribuito a distorcere il senso di molte delle affermazioni di Lombroso sulla Calabria e i calabresi.
Il Comitato «No Lombroso» non solo ha sbagliato bersaglio (perché il Museo di Torino non è un museo razzista) ma i modi e il linguaggio e ha inoltre mistificato la verità storica. A conclusione del suo lavoro la Milicia dice «sono diventata stupidamente meridionale per difendere la mia Calabria dalla colonizzazione dell’ignoranza».

Riccardo de Sanctis, Il Sole 24 Ore 27/4/2014