(s.c.), Il Fatto Quotidiano 27/4/2014, 27 aprile 2014
MA COSA HA FATTO DAVVERO IL GOVERNO NEI PRIMI 2 MESI?
A Renzi si rimprovera di fare promesse eccessive, quasi da marinaio. Poi, al momento di fare i bilanci, i risultati sembrano piuttosto magri. Analizzando i principali annunci che ne hanno caratterizzato finora l’azione politica, ci si trova in una zona di mezzo, con progetti non del tutto realizzati anche se non ancora disattesi. I fatidici 80 euro sono in un decreto legge controfirmato, non senza qualche brivido, dal presidente della Repubblica e, quindi, saranno operativi a maggio. Il risultato è innegabile. Anche su casta, auto blu, province, qualche avanzamento il premier lo ha compiuto. Ma sul lavoro e, in particolare, su legge elettorale e riforma del Senato, Renzi resta ostaggio dei veti incrociati dei partiti su cui pure si è basato per arrivare a Palazzo Chigi con una manovra politica. È costretto a seguire le bizze di un Silvio Berlusconi a caccia di voti, ma anche le manovre interne al Pd. Su tutte le inadempienze, però, pesa quella sulla scuola: aveva promesso 2-3 miliardi di nuovi investimenti e ogni settimana, il mercoledì, va a trovare un istituto scolastico. Eppure in bilancio ci sono poco più di 200 milioni. Il premier ha dichiarato di volersi giocare la faccia sulla riforma costituzionale. Ma è sulla scuola che ha creato molte aspettative. La faccia, allora, sarebbe meglio se se la giocasse su altro.
80 EURO IN BUSTA. ALLA FINE IL BONUS ARRIVERÀ, EPPURE... –
La promessa principale Matteo Renzi l’ha mantenuta: da maggio i lavoratori dipendenti avranno 80 euro in più in busta pagata, almeno quelli che guadagnano tra gli 8 e i 24 mila euro lordi all’anno. Obiettivo raggiunto, anche se con una lunga serie di compromessi: non è una vera riduzione del cuneo fiscale (il costo del lavoro scende solo per i 700 milioni di euro di taglio Irap nel 2014 che diventano 3,1 miliardi nel 2015), le coperture sono certe per l’anno in corso mentre dovranno essere trovate dalla legge di Stabilità oppure l’intervento non sarà strutturale e quindi l’impatto sull’economia minimo (perché i beneficiari tenderanno a risparmiare invece che a spendere). E chi è esente da tasse, perché troppo povero o non è un lavoratore dipendente, non ottiene alcun aiuto.
JOBS ACT. PER ORA UN DECRETO E PIÙ PRECARIATO –
L’idea di riformare il complesso sistema del lavoro italiano ha fatto breccia fin dall’inizio. Il Jobs Act sembrava presagire una rivoluzione: contratto unico di inserimento, novità nei sussidi di disoccupazione, revisione delle norme. Lanciato in pompa magna già alle primarie del Pd, appena arrivato al governo Renzi ha sterilizzato tutto. Le principali ipotesi di riforma, a partire dal contratto unico, cioè il rapporto a tempo indeterminato come regola, è stato inserito in un disegno di legge delega la cui realizzazione è ipotizzata nel 2015. Sul tavolo resta solo il “decreto Poletti” che aumenta le possibilità di flessibilità e di impiego del lavoro precario. Anche questa ipotesi, però, al momento deve passare il vaglio del Senato, dove è nelle mani dell’ncd Maurizio Sacconi.
EDIFICI SCUOLA. 240 MILIONI INVECE CHE 3,5 MILIARDI
Il premier e subito dopo di lui il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, avevano promesso alle Regioni 3,5 miliardi da scorporare dal patto di stabilità per finanziare la ristrutturazione delle scuole, durante l’estate. Con un doppio effetto benefico: avere scuole più sicure e dare lavoro alle imprese. Invece, nel decreto Irpef appena pubblicato nella Gazzetta ufficiale, lo “spazio patto”, cioè la copertura statale per le deviazioni dai vincoli contabili delle Regioni, è di soli 240 milioni di euro, meno di un decimo rispetto a quanto annunciato. Gli investimenti pubblici, quindi, continuano a scendere, dal 1,7 per cento del 2013 all’1,5 del 2015. Anche della promessa del premier di visitare una scuola ogni mercoledì si sono ormai un po’ perse le tracce.
CASTA. TAGLI SIMBOLICI, MA ALMENO CI SONO
L’impatto sulla finanza pubblica è minimo, ma l’effetto simbolico è invece alto: Renzi è intervenuto molto sulle spese della “casta” anche se l’unico risultato già incassato è la vendita all’asta di 52 auto blu per 372 mila euro. L’altra conquista – ancora però da applicare – è l’introduzione del tetto massimo di 240 mila euro alla retribuzione dei dirigenti pubblici di vertice, il governo ha però rinunciato a tetti anche per le fasce intermedie. Taglio anche a consulenze e collaborazioni per la Pa (spese che però di solito servono a compensare organici insufficienti). Ancora in sospeso l’abolizione del Cnel, inserita nella legge costituzionale di riforma del Senato. Unica vera sconfitta finora: Renzi non è riuscito ad abolire il Pra, il Pubblico registro delle automobili.
FINE DELLE PROVINCE. AUMENTANO CONSIGLIERI E ASSESSORI DEI COMUNI
Il ddl è stato approvato a inizio aprile, ma le Province sono ancora lì: questa legge non le abolisce, anzi le perpetua finché (e se) arriverà la riforma costituzionale che le cancella dalla Carta. Per il momento, presidente e consiglieri provinciali – non retribuiti – verranno eletti da consiglieri comunali e sindaci. L’assenza di stipendio (ma qualche rimborso ci sarà) è quello che permette a Matteo Renzi di sostenere che vengono abolite tremila poltrone. Ma in realtà i posti aumentano: il ddl Delrio prevede l’incremento dei consiglieri e degli assessori eletti nelle cittadine con meno di 10 mila abitanti. La prima tranche arriva con il voto del 25 maggio: 13.488 nuovi consiglieri comunali, 2.612 assessori. Alla fine in Italia ci saranno circa 25 mila consiglieri e 5.500 assessori in più.
LEGGE ELETTORALE. ITALICUM CON BERLUSCONI, SI RICOMINCIA DA CAPO
È la riforma chiave, quella su cui i governi cadono o vanno avanti. Renzi l’ha capito da subito e per non essere ostaggio dei propri alleati di governo ha cercato l’assist di Silvio Berlusconi. Ne è venuto fuori “l’Italicum”, modello maggioritario spinto con possibilità di doppio turno per chi supera il 37%. Per onorare il patto del Nazareno, il premier si è scontrato con mezzo Pd, ha chiuso su preferenze multiple e quote rosa fino a ottenere l’approvazione della legge a Montecitorio. Manca, però, il passaggio in Senato e, qui, non si sfugge al legame tra questa riforma e quella costituzionale che prevede l’abolizione di Palazzo Madama. Dopo il voltafaccia di Berlusconi e il colloquio di ieri con Napolitano, a questo punto non è escluso che occorra ricominciare da capo.
CAMERA DELLE REGIONI. L’ADDIO AL VECCHIO SENATO HA TROPPI NEMICI
Se fallisco questa riforma mi ritiro dalla politica”. Sull’abolizione del Senato Renzi vuole giocarsi tutto. La proposta costituzionale è stata licenziata all’unanimità dal Consiglio dei ministri ma è ferma al Senato dove il premier vorrebbe fosse approvata entro il 25 maggio. Sarebbe già un successo se fosse approvata in commissione Affari costituzionali. Anche in questo caso pesa il “no” di Berlusconi ma soprattutto quello del Pd che si è raccolto attorno all’opposizione di Vannino Chiti e che a palazzo Madama può essere decisivo. Il progetto di Renzi si presta a numerose accuse, tra cui quella di incostituzionalità avanzata, tra gli altri, da Rodotà e Zagrebelsky. I “professoroni”, li ha definiti il ministro Boschi. Ma il progetto attuale non ha molte chance di rimanere intatto.
DEBITI DELLA P.A. NUOVE REGOLE APPROVATE, OBIETTIVI LONTANI
Nelle slide presentate il 12 marzo, Renzi aveva promesso il pagamento di 68 miliardi euro di debiti arretrati della Pubblica amministrazione entro luglio. Un obiettivo che pare difficile da raggiungere, visto che il decreto Irpef si limita a creare le condizioni per saldarne soltanto 13 (e dall’effettivo pagamento dipende il gettito Iva che serva a coprire parte delle riduzioni fiscali). Il governo ha cambiato le regole per ottenere il rimborso del dovuto, prevedendo un maggiore coinvolgimento della Cassa Depositi e Prestiti e l’introduzione di una garanzia di Stato che dovrebbe permettere ai fornitori di scontare il credito in banca. Ma il problema dei debiti fuori bilancio, la cui entità è per definizione incerta, non ha ancora una soluzione definitiva.
SPESE MILITARI. BLUFF F-35: RINVIATO L’ACQUISTO DI UN AEREO
“Le spese militari in Italia vanno ridotte. Punto. E noi le riduciamo. Obama si arrabbia? Ha fatto la stessa cosa”. Quanto agli F-35, “quando la commissione sugli F-35 avrà chiaro cosa si può fare” anche in base al contratto, “vi diremo qual è la riduzione su quel capitolo”, ha promesso Matteo Renzi a Bersaglio Mobile, su La7 il 28 marzo. Detto, non fatto: a copertura degli 80 euro è previsto un taglio di 400 milioni per la Difesa e di questi soltanto 153 vengono dal programma di acquisto dei discussi cacciabombardieri (13 miliardi per 90 aerei). Ossia poco più di un esemplare (costano 135 milioni l’uno). Anzi, a guardare bene, si tratterebbe di un rinvio di spesa del lotto numero 10 (che presuppone che gli aerei 8 e 9 vengano presi) al 2015.
(s.c.), Il Fatto Quotidiano 27/4/2014