Laura Anello, La Stampa 27/4/2014, 27 aprile 2014
NELLO STORICO SPORTELLO DI PALERMO “CHI VIENE QUI EVITA GLI STROZZINI”
«I nostri periti sono ormai psicologi. Capaci di vedere se nello sguardo dall’altra parte dello sportello c’è vergogna o dolore, timidezza o fiducia». Gioacchino Chiavetta, da dieci anni responsabile della filiale Pegno di Unicredit di Palermo – la seconda più grande d’Italia dopo Roma – governa una realtà che fa 150 operazioni al giorno, 33 mila all’anno, e che ha un laboratorio gemmologico «in house» per la valutazione delle pietre preziose, unico dalla Capitale in giù. Davanti ai sette sportelli aperti nella centrale via Borrelli c’è una fila quotidiana di varia e insospettabile umanità. «Non sono più i poveracci a venire da noi, quelli che portano la collanina d’oro del battesimo. Adesso – dice – arrivano gli impiegati, i commercianti, gli insegnanti, i liberi professionisti, che hanno bisogno di denaro contante per una spesa straordinaria, persino per un funerale, o perché non arrivano alla quarta settimana del mese. Siamo un presidio di legalità e anti-usura». Non a caso il volume delle operazioni si è ridotto del 20 per cento ma il valore medio degli oggetti è cresciuto moltissimo. I poveri, evidentemente, non hanno più nulla da impegnare, e quel poco che hanno viene assorbito dal circuito dei «Compro oro». «È la classe media a portare il gioiello di famiglia. Pensi che all’ultima vendita natalizia c’era un anello la cui base d’asta era di 28 mila euro e che è stato poi battuto per quasi il doppio». La legge consente alla banca di mettere all’asta l’oggetto impegnato dopo tre o sei mesi. «Ma noi – spiega Chiavetta – a volte aspettiamo anche tre o quattro mesi, non vogliamo certo arricchirci con le vendite. Il proprietario può ripensarci fino all’ultimo minuto, è successo persino che una donna ha cambiato idea quando la sua spilla era stata già messa all’asta e ha fatto un’offerta altissima per riacquistarla. Mi disse che aveva sognato la bisnonna che le preannunciava disgrazie nel caso se ne fosse privata».
Soltanto nel 5 per cento dei casi il bene impegnato viene venduto (e il ricavato, detratto il valore del prestito e gli interessi, spetta al titolare della polizza). La stragrande maggioranza riesce a riscattarlo, restituendo il prestito. «E non c’è solo disperazione tra i nostri clienti. Di recente un giovane impiegato si è presentato allo sportello portandoci quasi tutti i pezzi di valore che aveva in casa. Ha ottenuto circa 20 mila euro e ci ha spiegato che doveva stipulare il compromesso per acquistare la casa. La banca non gli avrebbe concesso il mutuo altrettanto velocemente. È tornato e mi ha voluto offrire il caffè al bar. “L’appartamento l’ho comprato - mi ha detto - anche grazie a voi”. È stato bello».
Laura Anello, La Stampa 27/4/2014