Giuseppe Bottero, La Stampa 27/4/2014, 27 aprile 2014
“GLI ORECCHINI DI NONNA? CI PAGO LA VACANZA”
L’avvocato quasi mimetizzato nella tuta da ginnastica, il piccolo imprenditore in abito elegante. E poi una decina di «nuovi italiani», tutti in fila. Sono nati in Tunisia, Marocco, Albania: cercano soldi per far entrare i parenti. In fretta. Fotografia della stanza: sembra la sala d’attesa del medico di base, i numerini per regolare la coda, gli interni sobri, gli sportelli isolati per garantire le privacy. Il palazzone che ospita il Monte dei Pegni di Torino, quello storico di Intesa SanPaolo, lo riconosci da fuori: zero insegne, ma il gruppo di avvoltoi che ci staziona davanti da una vita. Ti abbordano lì: c’è sempre una tariffa più alta, per i gioielli che uno è pronto a impegnare. C’è sempre, dice chi li conosce da decenni, una truffa da tentare.
La Banca d’Italia calcola che dal Monte dei pegni transitino almeno trentamila italiani al mese. Solo qui, nella filiale di via Botero, ne passano 400-500 al giorno. Alla fine del mese – tempo di scadenze – il numero aumenta.
Il business evoca ricordi antichi di miseria e disperazione, ma in realtà è più attuale che mai. Anzi, cresce. Lentamente, ma cresce. Anche se non così tanto come ci si potrebbe aspettare negli anni più duri della crisi. Era l’ ultima spiaggia, si è trasformato, ha resistito all’avanzata dei compro-oro (una fiammata, adesso già battono in ritirata), alle sirene dei siti web che promettono guadagni facilissimi. Insomma, ha cambiato pelle: ora il credito su pegno funziona come una piccola bombola d’ossigeno per superare i momenti difficili, o per scommettere – ancora una volta – sul futuro.
In anni di rubinetti chiusi, ci si finanzia anche così: portando al banco l’anello di fidanzamento, la pelliccia, l’orologio prezioso. Convinti che tre, al massimo sei mesi più tardi, i soldi per riscattarli saranno comparsi. «Il credito su pegno è attuale per la sua semplicità: il finanziamento arriva nel giro di pochi minuti», spiega la direttrice della filiale Giusy Bollo. Lavora qui da sette anni, ha imparato a sorridere, a incassare gli sfoghi. A non giudicare. Per accedere al prestito basta presentarsi con il bene, la carta di identità, il codice fiscale e rispondere a un breve questionario. Nessuna indagine sul passato, in cambio un tesoretto da spendere immediatamente. La banca anticipa subito il 35-40% del valore. In qualche caso, soprattutto al Sud, anche di più.
Insieme alla Bollo lavorano 23 persone: ragionieri e laureati in economia, ovvio. Ma soprattutto tecnici specializzati nel capire quanto valgano, davvero, gli oggetti in pegno. Lo scorso anno un cliente s’è presentato con un anello antico. «Quanto può costare?». Risposta: oltre novantamila euro. Ma è un’eccezione, anzi un piccolo record.
«La clientela, nell’ultimo periodo, è cambiata molto», spiega la Bollo. «Agli sportelli si presentano professionisti, padri separati». I nuovi poveri, certo. Ma anche la classe media che non si rassegna: un paio di orecchini, racconta una ragazza, valgono una vacanza. Un quadro, lo stipendio per i dipendenti in attesa che i fornitori sblocchino i pagamenti. Negli ultimi anni sono quasi spariti i tappeti. L’oro, invece, non passa mai di moda.
Mediamente, ragionano da Unicredit – 35 agenzie specializzate, oltre 196 mila contratti solo nel 2013 –, il bene impegnato vale 700 euro. Il tasso del finanziamento per chi stipula il contratto è piuttosto alto: si viaggia oltre il 10%. Eppure quasi tutti riescono a recuperare gli oggetti: solo una piccola percentuale, attorno al 5-10%, non viene riscattato e finisce all’asta. Prima, però, resta a lungo nel caveau. La polizza si può rinnovare fino a sei mesi, in qualche caso un anno. Poi scatta la vendita all’incanto.
Per chi ha qualche soldo da parte un salto all’asta è un’opportunità: nell’ultima, alla sede di via Barbaroux di Torino, per un anello d’oro e diamanti si partiva da 1500 euro. Per il «Rolex Explorer ll» bastava sborsarne 2200. Nei giorni di Pasqua Unicredit ha aperto la sala romana per le «aste speciali». Al ritmo del martello scorrevano ricordi di centinaia di vite diverse: uno scaldavivande da 120 euro, due fedi da 600 euro. Ma non c’è malinconia, tra i clienti che si mettono in fila con i preziosi nelle valigette. Piuttosto consapevolezza. «Di qui, spesso, si riparte», racconta la Bollo. O se non si riparte, almeno ci si prova. Almeno così la pensa V., «ma il cognome non lo scriva», promotore finanziario, cinquant’anni da compiere. Per lui, la bussola in argento da scambiare con un biglietto da 500 euro, vale un fine settimana fuori con il figlio.
Giuseppe Bottero, La Stampa 27/4/2014