Valentina Conte e Roberto Mania, la Repubblica 27/4/2014, 27 aprile 2014
DAI MINISTERI ALLE FERROVIE 600 POLTRONE DA RINNOVARE
Riparte il gran valzer delle nomine. Archiviata la pratica per la delicata scelta dei numeri uno delle aziende quotate in Borsa (Eni, Enel, Finmeccanica) ora si apre il nuovo capitolo che riguarda le 5-600 poltrone di tutte le alte società controllate direttamente o indirettamente dal Tesoro, in tutto poco meno di 50 consigli di amministrazione da rinnovare con i relativi consigli di vigilanza. Il 25 maggio poi scatta la tagliola dello spoils system.
Salteranno i capi dipartimento dei ministeri non confermati. Sono le 28 poltrone dell’alto potere burocratico. Sulla carta potrebbero cambiare pure il Ragioniere Generale dello Stato, Daniele Franco e il direttore generale del Tesoro, Vincenzo La Via. A maggio se ne andrà per raggiunti limiti di età il direttore generale dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera. E poi c’è il gigante delle Ferrovie dello Stato lasciate da Mauro Moretti per approdare a Finmeccanica, e anche l’Istat che continua ad avere un presidente facente funzioni (Antonio Golini). Ma entro la fine di settembre va nominato anche il nuovo presidente dell’Inps al posto del commissario, Vittorio Conti, arrivato dopo lo “scandalo Mastrapasqua”.
Si riaprono i giochi, dunque, del risiko del potere. Perché dietro le nomine si muovono le nuove e le vecchie cordate, lobby trasversali, intrecci, alleanze, clientele. Questo è il secondo tempo delle nomine nella stagione di Renzi. Il primo è stato segnato da una evidente continuità con timide iniezioni di rinnovamento: il poker delle donne alle presidenze. Adesso si cambia nelle aziende perlopiù non quotate e si entra nei gangli del potere burocratico dei potenti mega-dirigenti ministeriali.
Si parte con Terna, la società, quotata a Piazza Affari, che gestisce la trasmissione dell’energia elettrica. Il premier Renzi ha indicato il presidente (Catia Bastioli) anche se formalmente la scelta spetta all’azionista, in questo caso la Cassa Depositi e prestiti (Cdp) che controlla il 29,8% di Terna. Per martedì è stato convocato il consiglio di amministrazione della Cdp e dovrebbe uscire il nome del successore di Flavio Cattaneo, alla guida di Terna dal 2005. Due i candidati più accreditati: Matteo Del Fante e Gianni Armani. Del Fante, fiorentino, quarantenne apprezzato direttore generale della Cdp, già nel board di Terna. Del Fante è molto sostenuto sia da Franco Bassanini, presidente della Cdp, sia da Luca Lotti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, componente del “cerchio magico” renziano. Armani, anch’egli quarantenne con un passato nella McKinsey, è ad di Terna Rete Italia. Sembrano invece perdere quota le chance di Aldo Chiarini, ad di Gdf Suez Italia.
Se Del Fante non dovesse andare a Terna appare il candidato più forte alla Direzione del Tesoro, nel caso il ministro Padoan decidesse di cambiare La Via. Le partite, dunque, si intrecciano. Come sempre nel risiko nel potere.
E come nel caso di Cattaneo in uscita da Terna, il cui nome viene inserito nella rosa dei possibili successori a Moretti alle Ferrovie. Le porte girevoli del potere. L’eventuale scelta interna per le Fs si chiama Mario Elia, ad di Rfi, cioè della rete ferroviaria. Ma gira ancora il nome di Domenico Arcuri, attuale ad di Invitalia, sostenuto dall’area dalemiana. La quale, nella prima ondata di nomine, ha “piazzato” Marta Dassù nel cda di Finmeccanica. Nomina che ha provocato un’interrogazione parlamentare di Sel per chiederne la revoca in quanto in conflitto di interessi, dato che Dassù è stata viceministro degli Esteri nel governo Letta e dovrebbe aspettare un anno prima di assumere un incarico in un ente pubblico o economico. Una situazione simile potrebbe riguardare l’ex ministro Giovannini che si è candidato per un nuovo mandato alla presidenza dell’Istat. Il posto è vacante proprio da quando (il 28 aprile del 2013) Giovannini è stato chiamato al governo da Mario Monti. In 40 professori hanno manifestato l’interesse per assumere la presidenza dell’istituto di statistica, rispondendo alla novità della “call” introdotta da Renzi. Oltre a Giovannini ci sono, tra gli altri: Fiorella Kostoris, Antonio Schizzerotto, Luigi Paganetto, Sandro Trento, Maurizio Vichi.
Complessa pura la scelta del prossimo presidente dell’Inps. L’attuale commissario Conti scade a fine settembre. La riforma della governance dopo il caso Mastrapasqua è sparita dai radar della politica. Resta un nome gettonatissimo per la presidenza: Tiziano Treu, più volte ministro, oggi ascoltato consigliere dei renziani sulle questioni del lavoro.
C’è ben poca rottamazione nello spoils system targato Renzi, quello che riguarda i ministeri. Basta guardare a Palazzo Chigi, dove il valzer delle poltrone in teoria sarebbe già finito. La legge concede 45 giorni di tempo ai nuovi governi in carica per cambiare gli “apicali” del Palazzo. Eppure i decreti di nomina, attesi entro l’11 aprile, ancora non ci sono, almeno non tutti. Ma le caselle, quelle sì, sono state assegnate. E secondo due linee guida. Un tranquillo rimpasto interno per i capi dipartimento e i capi uffici, la prima. Personalità esterne di assoluta fiducia, la seconda, destinate alle poltrone che alla fine contano davvero: il segretario generale e il capo del Dagl, il Dipartimento affari giuridici e legislativi, vera fucina dei provvedimenti, tra decreti, ddl, dpcm.
Posti delicatissimi, spartiti secondo la logica di ferro che consente alla diarchia Renzi-Delrio di governare e controllare. Delrio ha ottenuto la casella del segretario, assicurandosi il fedelissimo Mauro Bonaretti, già con lui al comune di Reggio Emilia e al ministero degli Affari regionali (governo Letta). Mentre Renzi l’ha (quasi) spuntata con la Corte dei Conti su Antonella Manzione, sorella del magistrato “renziano” Domenico, sottosegretario agli Interni con Letta, ora riconfermato. La Corte aveva preteso chiarimenti sui titoli della Manzione per ricoprire la carica. Voleva cioè sapere se l’ex capo dei vigili urbani di Firenze fosse equiparabile a dirigente generale dello Stato, requisito indispensabile secondo la legge, non essendo la signora né alto magistrato né avvocato dello Stato né docente in materie giuridiche. Quel requisito esiste, visto il suo ulteriore ruolo di ex direttore generale del comune fiorentino. Lo stesso ricoperto da Bonaretti a Reggio Emilia. Eppure la Corte dei Conti non ha ancora registrato il decreto.
Ma c’è un’altra casellina di Palazzo Chigi che attira le attenzioni di Renzi. Meno nota ai più, eppure prossimo snodo di un fiume di miliardi di fondi europei, cofinanziati dall’Italia. Si tratta dell’Agenzia per la coesione, istituita nell’agosto 2013, ma ancora ferma. Ebbene Renzi e Delrio vorrebbero dotarla di super poteri, togliendo ai ministeri i programmi di spesa nazionali, e accentrandoli a Palazzo Chigi. In gioco ci sono 20 miliardi. Una super Agenzia che potrebbe avere un super presidente.
Interessante anche l’altra partita dello spoils system, quella che riguarda i ministeri. Qui la longa manus di Renzi dovrà tenere conto degli equilibri di coalizione. Le caselle che, secondo la legge 165 del 2001, devono essere riconfermate o cambiate dal governo entro 90 giorni dal voto di fiducia (dunque entro il 25 maggio), e che ora ballano, sono 28. Si tratta dei segretari generali e dei capi dipartimento dei tredici dicasteri. Difficile una rottamazione generale, ma il dossier è sul tavolo. Come l’altro, assai delicato, sulle Agenzia fiscali. Attilio Befera, già in pensione, ha fatto sapere di non voler essere riconfermato alle Entrate. In pole position c’è il delfino Marco Di Capua, stimato e competente, ex Guardia di Finanza. Come contendente, Giuseppe Peleggi - ora numero uno dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, ma in uscita - appare però senza chance. Stefano Scalera invece dovrebbe essere riconfermato come direttore del Demanio.
Un’altra triade di poltrone che scotta (a decidere alla fine saranno i presidenti di Camera e Senato) è quella dell’Ufficio parlamentare di bilancio, il super controllore indipendente dei conti pubblici previsto dal Fiscal compact. Ebbene, ricevuti 90 curriculum, le commissioni Bilancio di Montecitorio e Palazzo Madama sono riuscite sin qui a selezionare solo otto dei dieci candidati (servono due terzi dei voti). Tra i due rimasti in ballo è uscito vincitore solo Gianfranco Polillo, ex sottosegretario all’Economia. Mentre Veronica De Romanis, economista e moglie di Lorenzo Bini Smaghi, non convince tutti.
L’ufficio doveva essere operativo a inizio anno e bollinare il Def. E invece ancora fumate nere, tra beghe e veti politici, ambizioni degli economisti candidati, vacanze e ponti degli onorevoli. Anche questo è il risiko delle poltrone.
Valentina Conte e Roberto Mania, la Repubblica 27/4/2014