Federico Rampini, D di Repubblica 26/4/2014, 26 aprile 2014
LADY MONEY
[Christine Lagarde]
Le cicatrici della crisi sono profonde e ci vorranno anni per curarle. La cicatrice più grave di tutte è la disoccupazione. Questa deve diventare la principale preoccupazione». Non è un leader di sinistra che parla, e neanche papa Francesco, bensì la donna al comando di un’istituzione globale che un tempo veniva identificata con le politiche neoliberiste, l’austerity, i sacrifici impopolari. Con Christine Lagarde il Fondo monetario internazionale sta tentando di scrollarsi di dosso quell’immagine dal suo passato. Fa autocritica sugli errori che aveva commesso. Si dedica allo studio delle diseguaglianze sociali. Attacca la Banca centrale europea e il suo presidente Mario Draghi per non essere abbastanza vigoroso nel sostegno alla crescita.
Sono tante le sorprese che riserva Christine Lagarde, una donna la cui agenda di lavoro incrocia tutti i temi più caldi dell’attualità mondiale. La salvezza dell’Ucraina potrebbe annunciarla lei, firmando un assegno da 18 miliardi di dollari ai primi di maggio: l’agognato aiuto della comunità internazionale al governo di Kiev dipende dal Fondo monetario internazionale (abbreviato Fmi). E allo stesso tempo sta litigando garbatamente con Draghi sulla politica monetaria europea. Deve gestire un’impasse con il Congresso degli Stati Uniti dove la destra repubblicana considera il Fondo monetario come un nemico a cui negare risorse. Infine la stessa architettura dell’istituzione che Lagarde presiede è alla vigilia di un enorme cambiamento: per riflettere le nuove gerarchie dell’economia globale i pesi rispettivi degli Stati azionisti del Fmi saranno modificati, con una crescita delle potenze emergenti come Cina, Brasile, Messico, e un ridimensionamento della vecchia Europa.
Tutto ciò accade mentre di lei si mormora come di un jolly per risolvere la crisi dell’Unione europea. Se le prossime elezioni dell’Europarlamento dovessero consacrare l’avanzata di partiti anti-euro e anti-sistema; se le due grandi famiglie politiche tradizionali (socialisti e popolari) dovessero fallire nella scelta del prossimo presidente della Commissione Ue (il tedesco Schultz è candidato socialista, il lussemburghese Juncker lo è per i democristiani), ecco che il nome di Christine potrebbe sbloccare una pericolosa paralisi al vertice delle istituzioni europee. Pare che François Hollande sia pronto ad appoggiarla, pur di avere una connazionale in cabina di regìa a Bruxelles, anche se lei è una tecnocrate che viene dalla destra (fu ministro dell’Economia sotto Nicolas Sarkozy).
Christine Lagarde è una donna eccezionale senza dubbio, e per tanti motivi. Prima di essere chiamata dalla politica aveva avuto una brillante carriera come avvocato d’affari sulle due sponde dell’Atlantico, ma soprattutto qui negli Stati Uniti. Perciò parla un inglese perfetto, è riuscita perfino a liberarsi di quell’accento da “ispettore Clouseau” che affligge tanti suoi connazionali e spesso fa sorridere gli americani. Ma quando si arriva così in alto com’è arrivata lei, oltre alla competenza e al merito, anche un po’ di fortuna non guasta.
Sotto la voce fortuna si può catalogare il fatto che sia riuscita finora a navigare in uno scandalo politico-finanziario (l’affaire Tapie) che poteva rovinare la sua carriera a Parigi. Forse è fortuna anche il fatto che il suo predecessore Dominique Strauss-Kahn una sera abbia messo le mani addosso a una cameriera d’albergo a Manhattan, precipitando la fine del proprio mandato. Di certo Christine Lagarde è stata fortunata in questa particolare successione. Dopo che il numero uno della più importante istituzione finanziaria sovranazionale si era ridotto a una caricatura di maniaco sessuale sui giornali di tutto il mondo, una donna partiva con un capitale di fiducia in più... Inoltre la Lagarde ha mostrato quella flessibilità e quel pragmatismo che distinguono molte donne leader, dall’ego meno smisurato e meno “alfa” di molti maschi. Anziché fare piazza pulita dei collaboratori di Strauss-Kahn per circondarsi di collaboratori fidati e fedeli, lei ha valorizzato la tecnostruttura esistente nella sede di Washington del Fmi, ivi compreso un grande economista come Olivier Blanchard: più a sinistra di lei, e vicino a Strauss-Kahn, ma troppo bravo e intelligente per privarsene. E così la Lagarde ha saggiamente deciso di proseguire un lavoro avviato proprio da Strauss-Kahn: la revisione dei dogmi.
Tra i primi a farne le spese c’è l’austerity. In passato quando un paese era colpito da una recessione e rischiava di fallire per debiti, gli ispettori del Fmi arrivavano con delle valigette piene di ricette “lacrime e sangue”. Come quelle che sono state inflitte alla Grecia. Salassi così feroci che il malato può morirne dissanguato. Ora il Fmi ha iniziato a prendere le distanze da quelle terapie. Ha ammesso pubblicamente che i costi dell’austerity - costi sociali e umani sotto forma di disoccupazione, anni perduti prima di ritrovare la crescita - sono stati sistematicamente sottovalutati in passato.
Di qui deriva anche la sua polemica con certi banchieri centrali, Mario Draghi in testa. «La crescita è troppo lenta in Europa, si rischiano di subire molti anni di stagnazione, se non vengono prese le misure adeguate». Draghi sottovaluta un “drago”, quello della deflazione, secondo lei. Deflazione: strano termine che per molti di noi ha un suono positivo, amichevole. Perché anzitutto sta a significare il contrario dell’inflazione: un calo prolungato dei prezzi. Siamo vissuti per decenni in un’economia inflazionistica, perciò siamo sensibili al pericolo opposto. Se i prezzi aumentano il nostro potere d’acquisto si riduce, il nostro reddito “compra meno cose”. Gli italiani ancora non hanno perdonato all’euro quello shock inflazionistico, misteriosamente assente dalle statistiche, che “arrotondò” molti prezzi al rialzo nel passaggio dalla lira. Una parte del risentimento anti-euro di oggi è ancora legato a quella sensazione di essere stati impoveriti.
Tutto questo spiega ma non giustifica la disattenzione verso il pericolo opposto. Un’inflazione a zero non è una buona cosa. Proviamo a immaginare un paragone col corpo umano. Se abbiamo la febbre a 40 gradi, è segno che siamo malati e bisogna farla scendere in fretta. Ma la temperatura corporea deve comunque rimanere positiva, l’aspirina ce la deve ridurre al livello normale di 37 gradi, non al di sotto dei 35 gradi (saremmo in piena crisi di ipotermìa e a rischio di assideramento), certamente non a zero gradi: quella è la temperatura di un cadavere all’obitorio. In un’economia sana un po’ d’inflazione ci dev’essere, come la temperatura positiva nel corpo umano. L’inflazione zero è un pessimo segnale, anche perché facilmente si scivola sotto lo zero. Prezzi declinanti inducono i consumatori a rinviare le spese aspettando ulteriori ribassi; le imprese sono danneggiate nelle vendite e nei profitti; con i prezzi scendono anche occupazione e salari. Questa catena di conseguenze non è teoria: è accaduto in Giappone nell’ultimo ventennio, la deflazione è l’anticamera di una depressione.
È questo il “drago” contro il quale Christine Lagarde vorrebbe un Draghi più determinato e combattivo. In questo senso si può dire che sotto la sua leadership il Fmi sta pungolando “da sinistra” gli europei, li esorta a essere più audaci nelle terapie per la creazione di lavoro. Un po’ come ha fatto Obama negli Stati Uniti, senza le costrizioni di Maastricht. Se la Bce facesse quel che ha fatto la banca centrale americana (Federal Reserve) oggi l’euro non sarebbe così forte... e così odiato da tanti italiani, greci, spagnoli.
Lagarde non si è convertita politicamente, non è affatto una donna di sinistra. Ma da brava avvocata d’affari, è una mediatrice, una che sa interpretare bene i rapporti di forze. A differenza di Strauss-Kahn lei non ha una profonda competenza economica, e tuttavia intuisce al volo qual è la posta in gioco nei grandi dibattiti sulle politiche economiche. Si chiama fiuto politico, quella dote che la porta a fare gesti innovativi. «Sento che molti si stupiscono - dice - perché sotto la mia direzione il Fmi studia le diseguaglianze sociali. Non fa parte della nostra missione principale, mi obiettano alcuni. Certo, la missione istituzionale del Fmi è garantire la stabilità finanziaria. Ma di conseguenza tutto ciò che può destabilizzare le economie, ci riguarda e fa parte del nostro mandato. Le diseguaglianze sono tornate a crescere enormemente dopo l’ultima crisi, e questo è un problema rilevante». La Lagarde è diventata “obamiana” semplicemente sulla base di risultati incontestabili: l’America è uscita dalla recessione quattro anni prima dell’Europa, perché ha fatto tutto il contrario di quel che sta scritto nel “manuale” europeo dell’austerity. Con il risultato, paradossale, che adesso gli Stati Uniti hanno anche messo a posto i conti pubblici (il loro deficit sta scendendo sotto il mitico 3% del Pil), ma questo avviene nel modo più virtuoso: con la crescita aumentano automaticamente le entrate fiscali.
Ora lo stesso Barack Obama ha bisogno di lei per aiutarlo nella crisi ucraina. Da quando Vladimir Putin ha annesso la Crimea alla Russia, l’Occidente ha dovuto arrendersi davanti all’evidenza: non ha i mezzi per una risposta militare, tantomeno la volontà politica per lanciarsi in un riarmo. Le stesse sanzioni economiche contro Mosca sono modeste perché gli europei ne sarebbero danneggiati anche loro, vista la dipendenza energetica di paesi come Germania, Italia Olanda. Nell’immediato dunque la cosa più concreta che l’Occidente possa fare, è aiutare l’Ucraina... ad aiutarsi da sola. Di qui l’importanza di un prestito veloce e consistente, che solo il Fmi può erogare. È questa l’emergenza del momento che vede la Lagarde in prima linea. Nell’attesa che magari un’altra crisi, innescata dal prossimo voto europeo, la chiami a una nuova mission