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 2014  aprile 28 Lunedì calendario

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Scrivere maiuscolo in chat equivale a gridare». Nei primi anni Duemila, quando le chatroom del protocollo IRC attiravano ancora le attenzioni degli adolescenti e Facebook probabilmente era solo un’idea che baluginava nella testa di Mark Zuckerberg, questo era un messaggio molto popolare. Lo vedeva apparire regolarmente chiunque si macchiasse del delitto, volontario o meno, di battere sulla tastiera con il tasto caps lock inserito. Allora Internet era un mondo diverso, e – per citare impropriamente un grande poeta e scrittore scomparso di recente – «molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito». Come chiamare allora la capillare avversione all’uso del maiuscolo su blog, forum e chat? Cosa c’era di male nello scrivere in all-caps? E soprattutto in che senso, mi chiedevo, «equivaleva a gridare»?
Quando venne commercializzata in maniera diffusa per la prima volta, nel 1878, la Remington 2 era già vista come la macchina da scrivere del futuro: oltre al design QWERTY della sua tastiera poteva vantare un bottone che, pur soddisfacendo un bisogno elementare dei suoi utilizzatori, avrebbe rivoluzionato per sempre la scrittura tipografica. Il tasto shift – così si chiamava – permetteva semplicemente di scrivere i caratteri maiuscoli. Rimaneva un problema, però: come battere una serie di maiuscoli senza doverlo premere continuamente? Alla Remington, che nel frattempo era diventata la prima vera multinazionale del settore, tagliarono il nodo gordiano introducendo il modello Junior, sulla cui pulsantiera faceva bella mostra di sé un nuovo tasto, lo shift lock, che garantiva un ampio risparmio di tempo bloccando il meccanismo del maiuscolo. Era il 1914, cent’anni fa, e in Europa soffiavano i primi venti di guerra.
Bisogna arrivare fino ai primi computer sperimentali degli anni Settanta per rivedere lo shift lock. Nel 1971 figurava sulla tastiera del Datapoint 2200, un terminale progenitore dei moderni Pc, in segno di continuità visiva con l’aspetto delle macchine da scrivere (qui, però, agiva su tutti i tasti con due livelli di caratteri stampati, non solo sulle lettere). Appena due anni dopo, nel ’73, Xerox mise in commercio il suo Alto, il risultato di anni di ricerca sull’evoluzione delle workstation. Aveva un’interfaccia grafica intuitiva fatta di scrivania e cartelle, la prima implementazione di Ethernet e un tasto ribattezzato caps lock, un diretto discendente dello shift riservato esclusivamente alle lettere. Nel 1984 al nuovo arrivato vennero concessi i crismi di IBM, che lo ammise nella sua celeberrima tastiera Model M – il modello che ha de facto deciso gli standard delle keyboard moderne – e gli diede la sua iconica forma rettangolare, con la parte destra che degrada verso la lettera A.
La storia del caps lock, il tasto che ci ha permesso di gridare online, è innanzitutto una storia degli albori di Internet. Nello stesso periodo in cui IBM iniziò a vendere Model M, su quel lontano parente della rete odierna dominavano i newsgroup di Usenet, le prime forme embrionali dei forum e le community che avrebbero poi colonizzato le nostre vite digitali. Il 13 marzo 1984 Dave Decot, un assiduo utente di Usenet, cercò di fare il punto sui modi escogitati dai pionieri della comunicazione online per caratterizzare i loro testi:

sembra che ci siano alcune convenzioni sviluppatesi attorno all’uso dei vari enfatizzatori. Ci sono tre tipi di enfasi in uso, in ordine di popolarità:

1) usare LETTERE MAIUSCOLE per far sembrare le parole più “vistose”, 2) usare *gli asterischi* per decorare la parola enfatizzata e 3) s p a z i a r e le parole, magari accompagnato da 1) o 2).

Tre mesi dopo un altro utente si lamentò in un post pirotecnico delle continue correzioni ortografiche fattegli dai frequentatori dei suoi thread. Tra le altre cose, ebbe a puntualizzare: «se è scritto in maiuscolo sto provando a GRIDARE!».
Paul Luna, responsabile del dipartimento di tipografia e comunicazione grafica all’Università di Reading, ha suggerito a New Republic che le origini del caps lock provengono da molto più lontano degli anni Settanta. «La scrittura tutta in maiuscolo garantisce la massima visibilità all’interno di una determinata area», ha detto il professore, spiegando che, non a caso, anche le iscrizioni sui monumenti imperiali romani sfruttano il fattore all-caps. Immaginate quanta gloria avrebbe portato all’imperatore Augusto un Pantheon con un frontone decorato da lettere minuscole. Come spiega John McWhorter, linguista della Columbia University, la pratica era ben conosciuta già molto prima dei newsgroup: negli anni Settanta un furente Robert Moses, il celebre pianificatore della New York di metà Novecento, fu così aspro nel criticare una bozza di The Power Broker, la sua biografia firmata da Robert Caro, che spedì al giornalista una lettera colma di maiuscole tonanti disprezzo (Caro vinse poi il Pulitzer per quel libro, ma questa è un’altra storia).
Quello che era nato come un espediente per far fronte alla mancanza delle sottolineature enfatiche tipiche della carta stampata (il maiuscolo e il grassetto) è in breve diventato uno degli osservati speciali della netiquette internettiana, il set di regole che nella teoria differenzia i gentiluomini del web dai più grezzi e adirati troll. “Gridare” in chat e forum, tuttavia, secondo alcuni studi degli ultimi anni potrebbe avere un effetto controproducente, in quanto il caps lock, uniformando la grandezza delle lettere, ostacolerebbe la lettura, specie in presenza di lunghi blocchi di testo.
La nostra ostilità istintiva alle invettive in maiuscolo, quindi, potrebbe venire da qualcosa di più di una semplice convenzione sedimentatasi con l’abitudine e il passare degli anni. Nel 2009 un caso divenuto famoso vide una donna neozelandese licenziata dalla sua azienda poiché troppo propensa all’invio massivo di email «aggressive» scritte in caps lock, che il giudice di una corte dell’emisfero australe reputò colpevoli della diffusione di discordia sul suo luogo di lavoro.
Negli anni si sono susseguite iniziative volte a cancellare l’odioso tasto dai computer di tutto il mondo. Nel 2001 in Svezia partì la campagna AntiCapsLock, mentre nel 2006 fu la volta di CAPSoff, nata da un’idea dello sviluppatore di software belga Pieter Hintjens, che proponeva di boicottare le tastiere tradizionali in favore di nuovi modelli caps lock-free e finì anche su testate come Wired.
In realtà il tasto del blocco maiuscole è ancora lì, più in forma che mai. Di più: è una parte integrante della nostra esperienza online, usato e abusato tanto da avventori occasionali della rete quanto da vip e celebrità, nonché preso in giro come stilema di una certa estrazione socio-politica e ultima spiaggia di inviperiti commentatori a corto di argomenti. A qualcuno, presumibilmente per insondabili ragioni affettive, piace a tal punto da celebrarlo annualmente in due giornate ad hoc, il Caps Lock Day, giunto alla quattordicesima edizione. Inizialmente si festeggiava soltanto il 22 ottobre, poi è stata aggiunta la data del 28 giugno, ricorrenza della morte di Billy Mays (un venditore Tv divenuto popolare grazie a un reality trasmesso negli Stati Uniti da Discovery Channel fino al 2011, PitchMen). Il merito che ha garantito questo tributo a Mays, una sorta di Roberto Da Crema della Pennsylvania, è quello di aver avuto un tono di voce peculiarmente sostenuto. Come se stesse sempre gridando.