Fabio Monti, Corriere della Sera 29/4/2014, 29 aprile 2014
DALL’ANELLO DI DJALMA SANTOS ALLA PALLONATA DI BOATENG
Sono almeno sessant’anni che il calcio deve fare i conti con il razzismo. A Djalma Santos, campione del mondo con il Brasile nel 1962, un tifoso aveva lanciato dagli spalti una banana, e in campo era arrivata anche la fede nuziale. «O’ lateral eterno», senza scomporsi, aveva subito restituito allo spettatore banana e anello: «Questi sono suoi». Per combattere il razzismo, a volte conta di più un’idea geniale delle prolungate (e giustificate) proteste. Il 3 giugno 2001, i giocatori del Treviso si erano presentati in campo dopo essersi dipinti la faccia di nero, per solidarietà nei confronti di Oluwashegun Omolade, nigeriano, che l’allenatore Sandreani aveva mandato in campo a Terni il 27 maggio. I tifosi, al seguito del Treviso, per protesta, avevano ritirato gli striscioni e, sommersi dai fischi degli avversari, avevano abbandonato lo stadio.
Sarà un caso, ma Mario Balotelli non ha mai esultato con tanto entusiasmo, dopo un gol, come il 18 aprile 2009, quando aveva segnato l’1-0 alla Juve: dall’inizio della partita, il pubblico gli urlava di tutto («non esistono negri italiani» il coro più gentile), al punto che lo stadio (era ancora l’Olimpico) sarebbe stato chiuso dal giudice sportivo per la successiva partita con l’Atalanta. Meno di un anno dopo, 6 gennaio 2010, in Chievo-Inter, Balotelli, dopo essere sostituito, invece di stare zitto, come gli era stato consigliato, si era sfogato in tv: «Ogni volta che vengo qui, il pubblico di Verona mi fa sempre più schifo. Con questi buu non si va da nessuna parte».
Kevin-Prince Boateng, in Pro Patria-Milan, amichevole (3 gennaio 2013), se n’era andato dal campo (e con lui tutti i rossoneri), perché oggetto di cori razzisti, insieme a Muntari, Emanuelson e Niang: aveva preso il pallone con le mani e lo aveva calciato in tribuna verso chi lo stava insultando. Prima di Boateng, era stato Zoro a smettere di giocare. Era successo al 21’ della ripresa di Messina-Inter del 27 novembre 2005; il difensore della Costa d’Avorio si era fermato, aveva preso il pallone in mano e stava uscendo dal campo, bloccato da Adriano e Cambiasso che, a fatica, lo avevano convinto alla retromarcia: «Sono rimasto in campo, perché non mi interessava vincere la partita a tavolino, ma non sopporto che la gente venga allo stadio per insultare». La domenica successiva, le partite sarebbero cominciate con 5’ di ritardo. Nell’estate 1995, Moratti appena presa l’Inter, aveva voluto acquistare Ince, anche come risposta alle tentazioni razziste della curva nerazzurra. Per due anni, Ince era stato il più amato dagli interisti, ma non dagli avversari.