Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  aprile 29 Martedì calendario

QUEL BALLERINO ALLUCINATO CHE UCCISE CON IL MACHETE E L’URLO DI DIANA IN OLANDA: «HO ANCORA PAURA DI LUI»


E una sera Pippo le disse: «Vieni nella mia stanza, dai, aiutami a cucinare qualcosa». Aveva trentadue anni, lei nemmeno quindici: praticamente un pedofilo. «Mi ci avevano portato i miei, alla scuola di danza dove lui insegnava... mi innamorai». Alto, bello, immigrato dall’Italia fin lassù a Rotterdam, matto come un cavallo; lei lo chiamava «Philip», più in tono col personaggio del seduttore. In capo a un paio d’anni ancora, Pippo-Philip la strappò due volte alla famiglia, poi la trascinò nella storia più agghiacciante dell’estate 1988: il giallo del catamarano. Il ballerino milanese e la bionda olandesina massacrarono il 10 giugno una skipper di Ancona, Annarita Curina, e scapparono per il Mediterraneo con il suo dieci metri, l’Arx, braccati dalle polizie di mezza dozzina di Stati: volevano arrivare in Polinesia e «viversela alla grande», sbausciava lui; furono acciuffati quaranta giorni più tardi, su una spiaggia della Tunisia, stremati e senza un soldo, perché assieme non sommavano due neuroni funzionanti. L’Italia che sotto gli ombrelloni non s’era persa una puntata della caccia sui quotidiani (c’erano ancora poche tv e niente Internet) tirò il fiato, un po’ ingenua com’era allora: i mostri infine stavano in gabbia.
Adesso che Pippo-Philip, al secolo Filippo De Cristofaro, è evaso dall’ergastolo e da una settimana vaga inseguendo le proprie allucinazioni da balordo fuori tempo massimo, lei, l’olandesina Diana Beyer, ha la voce tremante al telefono della sua rispettabile casa borghese di Utrecht: «Quello là mi fa ancora paura, molta paura! Non voglio vederlo! Non lo vedo da ventisei anni, ma solo l’idea che sbuchi da qualche parte mi fa rabbrividire». Si è sposata, ha tre bambini, una vita che ha girato pagina chissà a che prezzo, zero voglia di ricascare nel passato. Marina Magistrelli, l’avvocato che allora le fece da sorella maggiore e la salvò — rovesciando su Pippo tutta la responsabilità del delitto e facendole prendere soltanto sei anni e mezzo, risolti poi in quindici mesi di galera e in un lungo affidamento alla comunità Nomadelfia — prova a tranquillizzarla. Spiega che Diana «ha rielaborato tutto», ha esorcizzato sangue, colpa e orrore con l’aiuto degli psicologi, e che però il ritorno di De Cristofaro potrebbe riaprire le cicatrici. «Quando lui ha colpito Annarita ho chiuso gli occhi, mi sono tappata le orecchie, ma sentivo lo stesso: sembrava il rumore di una pallina da ping pong», fu il racconto dei fendenti sferrati col machete sulla testa della skipper quella mattina di giugno: buttarono il corpo a mare, zavorrato. Stefano Tornimbene, legale dei Curina e amico di Annarita, a fatica manda giù la rabbia: «Speriamo che si diano da fare per prenderlo, i giudici danno i permessi come buoni di benzina».
Già, perché questa, per quanto incredibile appaia, è la seconda fuga di Pippo-Philip, ormai alla boa dei sessant’anni. Era scappato nel 2007, grazie a un primo permesso, e l’avevano acchiappato proprio a Utrecht, a due passi dal suo amore. Nonostante l’evasione, gli è stato concesso adesso, per Pasqua, un nuovo permesso di tre giorni, da trascorrere nella comunità Il Dialogo di Portoferraio. Lo aspettavano fiduciosi nel carcere di Porto Azzurro per le dieci del 21 aprile, Pasquetta. La prima volta, Diana chiese alla Magistrelli: «Ma è vero che è scappato?». Adesso semplicemente non riesce a crederci: «Di nuovo? Ma come può succedere? È così assurdo». In verità l’ex biondina del delitto non è l’unica a stupirsi. L’avvocato della famiglia Curina cita con ironia al vetriolo il precedente dell’«amico Izzo», tornato assassino in semilibertà nel 2005. E l’idea che il carnefice di Annarita potesse usufruire di tanta clemenza persino dopo una prima evasione non resterà forse senza conseguenze.
De Cristofaro ha sempre raccontato la storia alla rovescia: lui un po’ bamba vittima di una lolita astuta e manipolatrice. Non gli hanno creduto. Al tempo del delitto, lo chiamavano Rambo dei Mari e i giornali inseguivano la pista della droga, perché ancora pareva impossibile a quell’Italia che si ammazzasse una donna così, per niente, come lui e Diana fecero invece con Annarita, giusto per non averla di peso mentre rincorrevano la «vita alla grande». Erano già scappati insieme una volta, l’anno prima, sotto il naso della famiglia Beyer. «Lui era bravo, creava balletti come Michael Jackson, mio padre gli chiedeva di riaccompagnarmi a casa dalle lezioni di danza, aveva paura che rientrassi col buio: lo invitava a cena». I soldi della prima fuitina d’amore De Cristofaro se li era fatti dare dalla sorella Marisa: era sempre rimasto un po’ bamboccione. Quando poi s’era messa male, aveva riconsegnato Diana a Milano, al consolato olandese, scansando i guai. Ma non gli bastava, si sognava Corto Maltese, la biondina accanto, nei mari esotici. Mentire ad Annarita, una generosa, che si fidava, non era stato difficile: «Andiamo a Ibiza», il vento gonfiava le vele, devono aver creduto fosse per sempre. Una foto della cattura in Tunisia li coglie per come erano allora: lei appoggiata alla spalla di lui, stretta nella maglietta nera con la scritta italians do it better , gli italiani lo fanno meglio. Arenato il catamarano, l’ultima fuga l’avevano tentata a cavallo, sulla spiaggia: sì, da idioti, ma con un superuomo come Pippo-Philip pure così potevano arrivarci, in Polinesia.