Paolo Valentino, Corriere della Sera 29/4/2014, 29 aprile 2014
LA (INSOSTENIBILE) COLPA DI CHIAMARSI ROMMEL
Manfred Rommel è stato il borgomastro di Stoccarda più amato del Dopoguerra. Esponente della Cdu, il partito cristiano-democratico di Helmut Kohl e Angela Merkel, ha governato la città del Baden-Wuerttemberg dal 1974 al 1996, all’insegna della buona amministrazione e della tolleranza. Fu lui, con un intelligente gesto di pacificazione, a consentire nel 1977 la sepoltura nel cimitero cittadino dei tre terroristi della Rote Armee Fraktion — Andreas Baader, Gudrun Ensslin e Jan-Karl Raspe — suicidatisi in circostanze mai chiarite nel carcere di Stammheim: «Con la morte deve finire l’ostilità», furono le sue parole. Rommel è morto lo scorso novembre all’età di 84 anni. Ed è sembrato ovvio al borgomastro verde Fritz Kuhn proporre al consiglio comunale, ricevendone l’unanime consenso, che l’aeroporto di Stoccarda venga ribattezzato col suo nome, giusto riconoscimento a colui che è diventato un’icona della città. Sarà il Consiglio di sorveglianza dello scalo a prendere la decisione definitiva in giugno. Che però non è scontata. Il problema è scespiriano: cosa c’è in un nome? Manfred Rommel era infatti il figlio di Erwin Rommel, la Volpe del Deserto, il più bravo dei generali di Hitler, poi costretto al suicidio per aver appoggiato l’operazione Valchiria, il fallito attentato al Führer del 20 luglio 1944. Sono in molti in Germania a temere che quel nome, dato a un aeroporto, possa generare equivoci e incomprensioni. Il dibattito è serio e intenso. Ne discute l’establishment. I social network e le redazioni dei giornali sono inondate di lettere: «Come potrò visitare i miei amici in Israele, con una targhetta sui bagagli che dice Aeroporto Rommel?». Pare che la soluzione possibile sia quella di chiamare lo scalo non Manfred Rommel ma «Borgomastro Rommel».
Succede nel Paese che, secondo la narrativa ignorante di un politico italiano, pensa che i lager nazisti non siano mai esistiti. Qui siamo addirittura all’autocensura preventiva sull’ineccepibile opportunità di onorare un grande servitore pubblico, che aveva solo il torto di portare un nome pesante. Portiamo rispetto.