Gianluca Veneziani, Libero 29/4/2014, 29 aprile 2014
ELOGIO DEL «BAR SPORT», IL PIÙ SPECIALE DEI LUOGHI COMUNI
Se il calcio è diventato talk show e i personaggi del pallone sono degni di fama, il merito è del Bar dello Sport. Eppure quel luogo viene denigrato da coloro che dovrebbero esserne i beneficiari. Antonio Conte aveva definito «chiacchiere da bar» le parole di Rudi Garcia sulla possibilità che i giocatori del Sassuolo non si sarebbero impegnati ieri sera. Roberto Donadoni ha parlato di «chiacchiere da bar dello sport» per smontare le voci che lo vorrebbero nuovo allenatore del Milan.
Disprezzare quell’ambiente, considerandolo «provinciale» (Conte) e «inaffidabile» (Donadoni), significa smitizzare il nucleo dal quale il calcio ha costruito la sua epopea. Il bar dello sport è l’alveo dove il pallone è divenuto oggetto di culto monoteistico (non esistono altri sport al di fuori del calcio, sebbene il bar si chiami “dello sport”); è il termometro dell’umore di una tifoseria (sta capitando al Milan: i tifosi vogliono Seedorf, non Donadoni); ed è il microcosmo in cui, al di là del linguaggio paludato delle interviste, si dice quasi sempre la verità. Oltre a una consolidata mitologia: nel film Al bar dello sport con Banfi e Calà, l’unico a non pronunciare chiacchiere da bar era un certo Parola, ma solo perché muto; nel libro Bar sport di Stefano Benni, gli uomini del paese, al solo entrare nel bar, si svestivano del proprio ruolo (carabiniere, professore, facchino) e indossavano gli abiti del tecnico di calcio. Allora non malediciamo le chiacchiere da bar: tramandandosi, aiutano i personaggi del calcio a distinguersi dall’anonimato. Sono chiacchiere e distintivo.