Fausto Carioti, Libero 29/4/2014, 29 aprile 2014
HANNO CANCELLATO I DIRITTI DEI CONTRIBUENTI
Ma storie dell’orrore come quelle raccontate sabato su Libero dal maresciallo della Guardia di Finanza «specializzato» in controlli alle imprese, storie della disperazione e della rabbia come quelle che si possono leggere in queste pagine, non dovrebbero essere fuori dai confini di uno Stato civile? Davvero non c’è nessuna legge che proibisca simili vessazioni, nessun organismo che difenda la libertà e la dignità di chi paga le tasse? Certo che ci sono. E la loro è la storia più brutta di tutte: metafora perfetta del modo con cui lo Stato italiano tratta chi lo mantiene.
C’era una volta, dunque, il Garante del Contribuente. Atteso da anni, fu introdotto al suono delle fanfare nell’anno 2000 dalla legge 212. All’articolo 13 questa norma, nota come Statuto del Contribuente, annunciava la nascita delle nuove creature. Già, perché ne erano previste tante: un Garante per regione e provincia autonoma. Era stabilito che ognuno di essi operasse «in piena autonomia», fosse «un organo collegiale», composto da tre componenti scelti tra magistrati, giuristi, dirigenti dell’amministrazione finanziaria e ufficiali della Guardia di Finanza a riposo, avvocati, commercialisti e ragionieri. Ad esso spettava vigilare sulla legalità delle ispezioni e delle verifiche compiute dagli uomini delle Fiamme Gialle e dell’Agenzia delle Entrate. Anche su segnalazione dei contribuenti, poteva chiedere documenti agli uffici, richiamare gli inadempienti e proporre provvedimenti disciplinari quando «i comportamenti dell’amministrazione determinano un pregiudizio dei contribuenti o conseguenze negative nei loro rapporti con l’amministrazione». Un passo decisivo per «sdrammatizzare il rapporto fiscocittadino», assicurava l’allora ministro delle Finanze, Ottaviano del Turco.
La favola inizia e finisce qui. Già allora il lettore più scafato avrebbe potuto scovare in quella legge i primi segnali di come sarebbe andata a finire. Era stabilito, infatti, che il Garante avrebbe avuto i propri uffici «presso ogni direzione regionale delle Entrate», che le funzioni di segreteria sarebbero state assicurate «dagli uffici delle direzioni regionali delle Entrate» e che il compenso e i rimborsi spettanti ai componenti del Garante sarebbero stati decisi «con decreto del ministro delle Finanze». Come sarebbe stato possibile per il Garante operare «in piena autonomia», se le strutture e il personale appartenevano a quella amministrazione fiscale rispetto alla quale lo stesso Garante avrebbe dovuto essere terzo? E che libertà avrebbe potuto avere nei confronti della burocrazia delle Finanze se il suo stipendio era deciso dal ministro delle Finanze? Domande che all’epoca nessuno pose a voce alta.
I problemi emersero comunque molto presto. Già nel 2002 Giulio Tremonti, diventato ministro dell’Economia, chiedeva al Parlamento se non sarebbe stato meglio avere «un Garante indipendente a livello centrale» piuttosto che adottare «una formula regionale e debole di Garante». I poteri che la legge sembrava dare a queste mini-authority, infatti, sono stati subito vanificati dall’assoggettamento a quell’amministrazione fiscale che avrebbero dovuto giudicare, dalla mancanza di una reale facoltà sanzionatoria e da leggi successive, che hanno spuntato le armi a disposizione. Il risultato è che «quasi tutti i contribuenti che si rivolgono al Garante lamentano l’inefficacia del suo intervento. La protesta, che si esprime sovente con lettere cariche di amarezza e di rabbia, è fondata» (parole di Salvatore Paracampo, Garante per il Contribuente della Puglia).
Essendo questa la diagnosi, la terapia ovvia avrebbe dovuto consistere nel rafforzare i poteri del Garante. Rendendolo indipendente sotto ogni punto di vista dall’amministrazione fiscale. Stabilendo che lo stipendio dei suoi membri non sarebbe stato più deciso dal ministro, cioè da una sua controparte, ma ad esempio dal Parlamento. Ampliando il numero di casi in cui il Garante può intervenire e attribuendogli una reale capacità sanzionatoria nei confronti di quei funzionari che calpestano lo Statuto del Contribuente.
È stata presa la direzione opposta. Siccome così il Garante non serve a nulla, anziché renderlo efficace si è preferito metterlo sul binario morto, in attesa di dichiararlo ufficialmente «ente inutile». Prima la Finanziaria del 2012 ha ridotto la composizione del Garante da tre membri a uno. Durante la stesura della legge di Stabilità del 2014 si era anche pensato di sopprimerlo, affidandone i compiti al presidente della Commissione tributaria regionale. Progetto al quale si è rinunciato in extremis, limitandosi a dimezzare il compenso del Garante, figura ormai marginalissima.
Oggi chi vuole rivolgersi al Garante del contribuente del Lazio può scrivere un’email all’indirizzo «dr.lazio.garante@agenziaentrate.it», mentre chi cerca il Garante della Lombardia ha disposizione la casella «dr.lombardia.garante@finanze.it»: già da quei suffissi internet si capisce che il sistema non funziona. In alternativa ci si può recare nella sede del Dipartimento delle Finanze in via dei Normanni o dell’Agenzia delle Entrate in via della Moscova. Come se una corte d’Appello fosse ospite e dipendente del pm che ti ha fatto condannare in primo grado: chi mai presenterebbe ricorso? Chi si sentirebbe tutelato da un simile sistema?