Giuseppe D’Amato, Il Messaggero 29/4/2014, 29 aprile 2014
PUTIN SI PREPARA A REGGERE UN ALTRO ANNO DI GUERRA ECONOMICA
MOSCA La crisi ucraina è, anche e soprattutto, una questione economico-finanziaria, dalla quale l’Italia rischia di uscire con pesanti perdite. Ma è l’intero progetto di creazione di uno spazio euroasiatico - in grado di competere con Usa e Cina nel 21esimo secolo - che potrebbe adesso venire ridimensionato. Andiamo, però, con ordine. Il fuoco sotto alla cenere del rapporto tra Russia da una parte ed il duo Usa-Ue dall’altra covava da tempo. Due episodi su tutti: il caso di Cipro nella primavera 2013 e lo strano fermo a New York del magnate Roman Abramovich, stretto amico di Vladimir Putin, l’estate scorsa. Nel primo caso, Bruxelles ha in pratica chiuso un off-shore, usato dai russi all’interno dell’Ue, per i loro traffici. Solo a Nicosia la partita valeva circa 30 miliardi di euro. Nel secondo caso le autorità americane hanno spiegato al presidente del Chelsea (in modo da dirlo anche agli altri) che quello che era permesso in Gran Bretagna non era possibile negli Usa. In generale, questa generazione di russi, arricchitasi in pochi anni, crede che qualsiasi cosa o persona abbia un prezzo e possa essere comprata. Gli occidentali hanno chiarito che i principi non sono in vendita e le regole o leggi vanno rispettate.
PREPARATA ALLO SCONTRO
L’altro vero problema è di carattere politico. I grandi capitali, affluiti per la vendita delle materie prime, sono stati utilizzati dal Cremlino per foraggiare una linea anti-americana, o perlomeno così percepita alla Casa bianca. Si pensi a tutta la retorica sui Paesi del Brics ed al tentativo di avere con la Cina relazioni in concorrenza con quelle di Washington. Ma attenzione a vendere la pelle dell’orso prima di averlo preso: la Russia è preparata allo scontro. Ha scelto il momento migliore, quando il prezzo delle materie prime (l’export vale metà delle entrate del budget federale) è ancora alto e stabile. Mosca ha le terze maggiori riserve auree e di valuta al mondo, all’incirca 500 miliardi di dollari. Nel recente passato la Duma ha approvato una legge che obbliga chiunque occupi incarichi pubblici a chiudere conti bancari all’estero e a dismettere le proprietà. Adesso saranno gli oligarchi nella “lista nera” Usa-Ue a riportare i capitali in Patria. Il rublo ha perso sì il 25% del suo valore dall’estate scorsa ad oggi, ma per la fuoriuscita delle grosse masse valutarie dai Paesi emergenti verso i mercati occidentali per la fine della crisi internazionale. Finora l’Ucraina ha influito soltanto sulla fuga di capitali, già imponente in passato.
I PUNTI DEBOLI
Ma presto le cose potrebbero cambiare: quando i “petrolrubli” piovevano a dirotto, Mosca non ha riformato le fondamenta della sua economia. È rimasta troppo dipendente dall’energia. Da un paio di anni il suo Pil cresce meno di quello che dovrebbe e nel 2014 potrebbe essere uguale a zero. L’inflazione, i tassi di interesse in aumento, i problemi di rifinanziamento del debito delle compagnie private non sono nodi da poco. Mosca ha, però, i mezzi per resistere a medio termine. L’Europa non può mica chiudere all’improvviso tutti i rubinetti del gas! E la Russia certo non può scontrarsi a lungo con economie che tutte insieme sono 15 volte più grandi della sua. Secondo alcuni esperti, metterla in ginocchio significa rischiare un effetto simile a quello della Lehman Brothers del 2007. Per l’Ucraina il Cremlino ha fatto il prezzo all’Occidente: 2,2+11 miliardi di dollari subito per colmare i debiti energetici di Kiev verso la Gazprom. Poi ne serviranno altri 100, quelli che Mosca ha sborsato per gli ucraini dal crollo dell’Urss in poi.
LA CAMPAGNA DI VLADIMIR
Vladimir Putin è concentrato solo sulle questioni geostrategiche e sulla storia. Sono gli oligarchi vicino a lui a pensare a quelle finanziarie. Il suo obiettivo è che la Russia torni ad essere rispettata nel mondo. Il messaggio recapitato al Cremlino dagli occidentali fino ad oggi è di estrema debolezza. Ecco perché Putin per ora non si fermerà, pur avendo pianificato una campagna al massimo di un anno. Il semestre di presidenza italiana dell’Ue capita a fagiolo.