Augusto Frasca, Il Tempo 25/4/2014, 25 aprile 2014
CILE 1962 – IL BRASILE CONCEDE IL BIS
Tecnicamente, non fu una grande Coppa. Sul piano organizzativo, fu vero miracolo che il Cile riuscisse a superare il trauma causato da un terremoto che nel ’60 ebbe ipocentro in mare a seicento chilometri dalla capitale Santiago, attraversando con un impressionante tsunami l’intero oceano Pacifico, dagli Stati Uniti al Giappone, causando migliaia di morti nel paese ospitante la settima edizione della Coppa.
Fu record di iscrizioni, 57 nazioni, ridotte a 48 nelle qualificazioni e alle rituali 16 impegnate nei turni finali dal 30 maggio al 17 giugno. L’Italia vi fu ammessa dopo due affermazioni su Israele nell’ottobre e novembre precedenti, 4-2 a Tel Aviv (a rischio, con due reti in difetto al 38’) e un ingordo 6-0 nel ritorno al Comunale di Torino. Guidata da Paolo Mazza e da Giovanni Ferrari, si ritrovò in un girone con Germania, Svizzera e Cile. Con la prima, finì in pareggio (0-0). Con il Cile, andò male.
Quella che fu definita «battaglia di Santiago» ebbe come precedenti alcuni articoli pubblicati alla vigilia dei mondiali. Dei problemi del Cile scrissero Antonio Ghirelli sul Corriere della Sera e Corrado Pizzinelli sul Resto del Carlino e sulla Nazione, entrambi, con varie sfumature, sottolineando le miserie sociali del paese sudamericano. Ripresi dalla stampa locale, quegli articoli resero l’attesa incandescente, e la squadra italiana fu attesa al varco.
Il resto lo fecero, sul campo dell’Estadio Nacional, la scandalosa ottusità dell’arbitro Aston, l’animosità, ai limiti della delinquenza, di alcuni giocatori cileni, e la nervosa reazione degli azzurri alle provocazioni. Mentre Humberto Maschio, naturalizzato dall’Argentina, chiudeva l’incontro con il setto nasale rotto per una carezza a gioco fermo del più facinoroso dei padroni di casa, Lionel Sanchez, l’Italia chiudeva il primo tempo in nove per le espulsioni di Giorgio Ferrini (7’), accompagnato dalla polizia, e di Mario David al 45’ dopo l’ennesimo scontro con Sanchez. Ampiamente menomata, l’Italia tenne duro fino a sedici minuti dal termine. Il Cile segnò al 74’ e all’88’. A nulla servì, cinque giorni dopo, il 3-0 sulla Svizzera, rete di Bruno Mora, ala destra della Juventus, e due di un esordiente alla prima delle ventinove presenze maturate in nazionale. Giacomo Bulgarelli.
Al rientro in patria, la commissione tecnica fu azzerata, e al timone della squadra, per sbrigare la pratica in vista dei successivi mondiali in terra britannica, venne chiamato un quarantunenne di Castel Bolognese, Edmondo Fabbri, assertore di una splendida filosofia di gioco, «lo spettacolo prima del risultato». Al quale Fabbri, dopo quattro stagioni di apprezzabili esiti, il futuro riserverà, a sorpresa, un amaro finale.
Sospinto da un furore agonistico sistematicamente ai limiti del lecito, dopo aver superato di misura ai quarti l’Unione Sovietica (2-1) ed aver seriamente minacciato, con un calcio in testa, l’incolumità del numero uno avversario, Lev Yashin, vale a dire il più forte portiere dell’epoca, il Cile dovette arrendersi in semifinale al Brasile, non senza aver tentato di arrestare con ogni mezzo a disposizione l’istinto, la tecnica, l’irruenza, la geniale fantasia di Manuel Francisco Dos Santos «Garrincha»: una nascita misera, una poliomielite che lascerà al ragazzo una gamba più corta dell’altra, un riscatto sociale attraverso il calcio, un’immensa popolarità esaltata dalle cinquanta presenze in nazionale, una fragilità che al mezzo secolo di vita lo renderà preda e vittima dell’alcol facendolo precipitare nuovamente nell’irrimediabile infelicità dell’infanzia e in una morte prematura.
Contro il Cile, Garrincha firmò due reti, raddoppiando quanto realizzato in precedenza contro l’Inghilterra. Con i britannici, il Brasile aveva subìto l’assenza forzata di Pelé, infortunatesi contro la Cecoslovacchia e definitivamente fuori causa. Il fuoriclasse fu sostituito da Amarildo Tavares De Silveira: sarà lui, prossimo ad attraversare l’oceano volando in Italia, prima nelle braccia del Milan poi della Fiorentina, responsabile con una doppietta di una complicata eliminazione della Spagna condotta dal primo «mago» delle panchine mondiali, Helenio Herrera, da due stagioni trapiantato nell’Inter di Angelo Moratti.
Brasile-Cile ebbe una coda polemica. Espulso dopo aver reagito all’ennesima violenza (si aggiunse un sasso all’uscita dal campo, quattro punti di sutura al capo), secondo regolamento Garrincha avrebbe dovuto disertare la finale con la Cecoslovacchia. Da banale episodio di gioco, l’accaduto fu elevato a caso esaminato nelle alte sfere diplomatiche. Fu infine la stessa nazione europea, con grande sportività, ad aprire il 17 giugno la via dell’Estadio Nacional al brasiliano. Un’illusione iniziale originata dalla segnatura di Masopust, il pareggio di Amarildo dopo appena due minuti, poi, nel secondo tempo, il Brasile mise fine alle incertezze firmando il secondo titolo mondiale.