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 2014  aprile 26 Sabato calendario

CRISI E TAGLI, COME CAMBIA LO «STATUS» DEL BANCARIO


Intesa-S.Paolo.Unicredit e Montepaschi hanno annunciato l’elaborazione di piani che dovrebbero portare, nei prossimi anni, alla chiusura complessiva di 1.500 sportelli. La riduzione della presenza fisica della clientela nelle dipendenze bancarie in conseguenza dell’utilizzo delle innovazioni tecnologiche e, in particolare, del ricorso alla funzione di banca on-line, è alla base di questa progettazione. Resta, tuttavia, difficilmente superabile una presenza territoriale degli istituti, sia pure razionalizzata e concentrata, sia per lo svolgimento di operazioni più complesse, a cominciare dalla stipula di mutui e dalle diverse forme di impiego del risparmio, per le quali il confronto personale tra il cliente e l’addetto dell’istituto è fondamentale, sia perché questa articolata presenza costituisce ancora un modo per penetrare nel profondo della conoscenza economica, sociale e istituzionale delle diverse aree del Paese, necessaria per poter esercitare la funzione principe del banchiere, scrutinare, cioè, il merito di credito tutelando il risparmio. Tuttavia, le innovazioni organizzative e operative indotte dalle nuove tecnologie fanno sentire i propri effetti. Ciò non sarà indolore, ma gli impatti negativi potranno essere evitati se ci si attrezzerà per un adeguato governo di questa fase di trasformazione, che ricorda quando, agli inizi degli anni ottanta, l’introduzione dell’incipiente automazione liberò risorse dai comparti contabili e di riscontro manuale, che però furono poi impiegate in altri comparti.
In questi giorni Unicredit, in vista di un incontro con i sindacati che si terrà il 9 maggio, si prepara a presentare per il periodo 2014-18 un piano di riduzione del personale di oltre 5 mila unità (sui 50mila addetti in Italia). Anche questo può essere considerato un progetto rispondente alla necessità di adeguare orari e mansioni, nonché di accentuare la produttività. Ma una rimeditazione dello status del bancario – una figura che da tempo non può essere ritenuta privilegiata, come accadeva fino a 25/30 anni fa – esigerebbe un confronto nazionale e di sistema. Certo, le esigenze di competitività e di valorizzazione delle iniziative aziendali militano per la peculiarità delle scelte definitive dei singoli istituti di credito. Ma non può negarsi che il cambiamento ha una valenza sistemica che richiederebbe un’analisi approfondita della riconversione professionale, tanto più perché spesso con leggerezza si danno i numeri sulle decine di migliaia di esuberi che sarebbero oggi riscontrabili nel settore. Una cornice nazionale per il governo di queste trasformazioni, che debbono vedere una stretta coerenza tra innovazioni istituzionali, funzionali, organizzative e operative, sarebbe senz’altro opportuna. Anche perché occorrerà decidere come tutelare l’esodo aziendale, a cominciare dal pieno utilizzo del Fondo di solidarietà, il ricorso al quale, per esempio nel caso Unicredit, sembra trovi ostacoli dalla parte datoriale.
Insomma, bisognerà ricordare la positiva esperienza della metà degli anni novanta quando, in una situazione di crisi di diverse banche e dopo le vicende che avevano riguardato il crollo della lira e la crisi messicana, fu affrontato il tema della riorganizzazione e del rilancio di alcuni istituti e, insieme, fu definito un meccanismo di agevolazione dell’esodo, facente leva su forme di prepensionamenti per dipendenti vicini alla quiescenza. Ma ciò fu conseguenza di innovazioni istituzionali e organizzative importanti, ivi inclusa la sistemazione delle sofferenze, e dell’applicazione di uno schema innovativo di relazioni industriali, alla cui costruzione parteciparono le segreterie nazionali dei sindacati confederali. L’impulso alla riorganizzazione e al consolidamento venne dalla Banca d’Italia; le banche parteciparono in una logica di sistema; anche il Governo fece la propria parte. Oggi, la capacità dei banchieri si misura con il modo in cui affronteranno questa complessa problematica. La via più facile, che non richiede alcuno sforzo di progettualità, è quella di parlare immediatamente di esuberi. Ma da ciò discenderebbe anche un giudizio sull’operare dei banchieri, o almeno su alcuni di essi, non certo esaltante e giustificherebbero le critiche che vengono mosse alla scarsa capacità di innovazione in altri e ancora più impegnativi versanti. E allora confidiamo che ciò non accada.