Dina D’Isa, Il Tempo 26/4/2014, 26 aprile 2014
MITO E PASSIONE DI DUE DIVI AMANTI
Aveva 24 anni, quando, nel 1882 a Roma Eleonora Duse incontrò per la prima volta Gabriele d’Annunzio, all’epoca un ragazzo di 5 anni più giovane di lei, pieno di riccioli, sceso da poco dagli Abruzzi, ma già con tre opere pubblicate. Alla vista della Duse, il Vate non perse tempo e, dopo melodiose parole, le propose di condividere con lui la passione. Eleonora lo congedò con sdegno, ma dentro di lei il desiderio cominciava già ad accendersi e subito lo descrisse come «famoso e molto attraente, con i capelli biondi e qualcosa di ardente nella sua persona». L’inquieto d’Annunzio non si diede per vinto: qualche anno dopo, al teatro Valle di Roma, Eleonora, alla fine di un suo spettacolo, si ritrovò davanti al camerino, quel ragazzo esile ed elegante. Ma lei si mostrò ancora sdegnosa. Finché, nel giugno 1892 il poeta scrisse la dedica («Alla divina Eleonora Duse») su un esemplare delle sue «Elegie romane». Dai libri, crebbe in Eleonora il desiderio di un incontro con l’autore. Fondamentale fu l’appuntamento a Venezia, nel 1894, tra Duse e d’Annunzio, allora poco più che trentenne. Il tempestoso legame sentimentale ed artistico fra l’attrice e il giovane artista durò una decina d’anni e contribuì a far accrescere la fama di d’Annunzio. La Duse, già celebre, acclamata in Europa e oltre oceano, portò infatti sulle scene i drammi dannunziani («Il sogno di un mattino di primavera», «La Gioconda», «Francesca da Rimini», «La città morta», «La figlia di Iorio»), finanziando ella stessa le produzioni e assicurandone il successo internazionale. Eppure, già nel 1896, d’Annunzio le preferì Sarah Bernhardt per la prima rappresentazione francese de «La ville morte».
Tra crisi e rotture, nel 1898, il Vate affittò la villa trecentesca della Capponcina, a Firenze, nella zona di Settignano, per avvicinarsi alla Porziuncola, la dimora della Duse e, nel 1900, pubblicò il romanzo «Il fuoco», ispirato alla sua relazione con Eleonora, suscitando critiche da parte degli amici dell’attrice. Dopo la loro separazione, il poeta visse tutto il resto della sua vita (le sopravvisse 14 anni) struggendosi nel ricordo dell’amata e, alla notizia della morte di lei, pare abbia sussurrato: «È morta quella che non meritai».
Mentre Eleonora scriveva: «Gli perdono di avermi sfruttata, rovinata, umiliata. Gli perdono tutto, perché ho amato».
La Divina lo amò senza riserve, anche se il Vate la tradì e spesso si servì di lei, che fu costretta a pagare persino i creditori del poeta, amante del lusso e delle donne. La loro storia iniziò con uno scambio epistolare e alla Duse piaceva soprannominarlo il «poeta infernale». E ancora, «d’Annunzio lo detesto, ma lo adoro», confidò ad Arrigo Boito, compositore e fino ad allora l’uomo più importante della sua vita.
Intanto, il Vate intratteneva con disinvoltura le sue amanti (pare ne collezionò quattromila): tra queste, la duchessina Maria Hardouin di Gallese, 18 anni, abbandonata al terzo figlio (che poi dovette sposare); l’appassionata Barbara Leoni e la principessa siciliana che gli ha diede una bambina. Anche la Duse ebbe relazioni turbolente: venne sedotta, si ritrovò incinta (di un figlio che perse) e abbandonata dal giornalista Martino Cafiero; ebbe, dopo, la figlia Enrichetta dal marito Tebaldo Checchi di cui non fu mai innamorata e dal quale si separò; poi, fu la volta dell’attore Flavio Andò e del poeta Arrigo Boito.
Aveva una grande amica, Matilde Serao, mentre la sua amicizia con Isadora Duncan, con la quale si incontrava nelle tournée europee, fu oggetto di pettegolezzi. La sua più grande rivale (sentimentale e artistica) fu Sarah Bernhardt: per lei, d’Annunzio scrisse «Francesca da Rimini» e «La Città morta», opere finanziate dalla già indebitatissima Duse. E come se non bastasse, il ruolo de «La figlia di Iorio», scritto da d’Annunzio per la Duse, fu poi affidato, con grande sorpresa della Divina, a Irma Gramatica, più giovane e perciò più adatta a interpretare Mila di Codra. Fu l’inizio della rottura. Pochi anni dopo, nel 1916, l’attrice fu protagonista del suo unico film, «Cenere», tratto dall’omonimo romanzo di Grazia Deledda.
L’amore tra Duse e d’Annunzio fu grande e anticipò, per certi versi, quel divismo moderno alimentato dalle cronache mondane. E soprattutto, quell’amore nacque subito con un rapporto epistolare: quello che adesso è stato raccolto nel libro «Come il mare io ti parlo. Lettere 1894-1923» (Bompiani, pagine 1407, 30 euro), a cura di Franca Minnucci, nell’edizione diretta da Annamaria Andreoli e con la postfazione di Giorgio Barberi Squarotti). Nella sua prefazione, Franca Minnucci (che si è documentata presso gli Archivi del Vittoriale degli Italiani) racconta che questo materiale epistolare appartiene quasi esclusivamente alla Duse, «in quanto le lettere di d’Annunzio sarebbero state distrutte. Si deve a Enrichetta il falò che ha ridotto in cenere, nel 1924, il tesoro di copioni, manoscritti, lettere, comprese quelle di Gabriele, della madre, conservati nella casa di Asolo, ultima dimora dell’attrice lì sepolta. Come che sia, non restano che scarne tracce del poeta mittente del carteggio che qui si pubblica».
Tutto iniziò con queste parole gioiose, scritte dalla Duse a d’Annunzio, a Venezia, nel settembre 1894: «Vedo il sole e ringrazio tutte le buone forze della terra per avervi incontrato. A voi ogni bene, e ogni augurio».
Frasi strazianti e ben diverse conclusero la loro relazione, quando la Duse era già malata di tisi: «Io voglio l’incanto - e questo malessere fisico che è una diminuzione di forze, mi turba - è come una nebbia dall’anima al corpo - e temo disgustarti. Io sento tutta e tutte le forze che straripano in te, e non so andare a nuoto con te, per l’acqua fonda - Sei tu il più forte - E sia - che io sia la più fida - Vale? Non so. Io sento, (e quanto) l’incanto nell’arte che tu stesso sai creare e donare a te stesso? E Goditi il dono! Che più??».
Dina D’Isa